Dopo Capitol Hill, il tempo della “guarigione”

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Sgomento, tristezza, rabbia. Sono alcuni dei sentimenti che prevalgono tra i cittadini degli Stati Uniti dopo l’assalto di manifestanti pro-Trump al Campidoglio che ha provocato la morte di 5 persone. Nelle ultime ore il presidente uscente Donald Trump, in un videomessaggio, ha assicurato che verrà garantita una transizione ordinata con il successore Joe Biden che, dal canto suo, ha nuovamente stigmatizzato le violenze del 6 gennaio assicurando il suo impegno per la riconciliazione del Paese. Sulla situazione e il significato che gli ultimi eventi rappresentano per gli Stati Uniti e, con essi, per i valori democratici dell’Occidente, abbiamo intervistato Alessandro Gisotti, vicedirettore editoriale dei media vaticani:

R. – Questa giornata del 6 gennaio è stata uno shock per gli americani, uno di quei momenti, secondo me, che rappresenta drammaticamente anche una svolta nel percorso sociale, culturale e politico degli Stati Uniti. Ci sono stati dei momenti drammatici, critici, nella storia contemporanea degli Stati Uniti che hanno determinato un forte cambiamento di direzione, a volte per cause esterne, esogene – penso a Pearl Harbor nel ’41 o all’11 settembre del 2001 – oppure, altre volte, per situazioni che nascevano proprio dall’interno, come per esempio l’uccisione di John F. Kennedy e poi di Martin Luther King e Robert Kennedy, ma anche ciò che ha rappresentato la guerra in Vietnam per gli americani. Oggi siamo di fronte ad una situazione – ovviamente con le differenze del momento storico – che secondo me rappresenta un punto di svolta. Non solo evidentemente quello che è successo al Campidoglio, ma proprio questa stagione di polarizzazione e frammentazione che gli Stati Uniti d’America stanno vivendo su diversi fronti e che è sfociata in questa manifestazione drammatica con cinque morti.

In particolare, che significato dare a quanto successo proprio poche ore fa nella più grande democrazia del mondo?

R. – A me sembra che l’editoriale di Giuseppe Fiorentino sull’Osservatore Romano abbia ben centrato quale sia la questione di fondo che deve essere un avvertimento per tutti noi, non solo per gli americani: il “bene fragile”. Veramente quello che ci sta dicendo questa vicenda negli Stati Uniti è quanto sia fragile ciò che noi abbiamo sempre invece considerato, anche in Italia e in Europa, come un bene consolidato e “per sempre”, cioè la democrazia, le istituzioni democratiche e parlamentari. Invece, ci accorgiamo – in questa nuova era, nuovo secolo e nuovo millennio – di quante spinte disgregatrici si affaccino oggi negli Stati Uniti d’America, ma non solo in America, rispetto alle istituzioni democratiche.

Volevo proiettarmi su quello che è il futuro più o meno immediato, che è quello di Joe Biden, il presidente eletto, che ha un compito in questo momento difficile: riconciliare il Paese. È una sfida, secondo te, ardua per Biden?

Sicuramente lo è. Healing, “guarigione”, è uno dei termini che vengono più utilizzati in questo momento. Ha usato questo termine anche Donald Trump in un videomessaggio delle ultime ore dopo quanto accaduto al Campidoglio. Su questo tema della “riconciliazione”, Biden ha battuto durante tutta la campagna elettorale e poi anche in queste settimane dopo la sua elezione. Certo, bisognerà vedere come concretamente svolgerà la sua politica. Le prime mosse saranno fondamentali. Va considerato anche che Biden ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato, quindi potrebbe avere la “tentazione” di affermare in un modo molto assertivo le politiche più progressiste del suo partito, il Partito Democratico. Forse in questa fase, anche la sua grande esperienza di uomo politico navigato, senatore per decenni e poi vice presidente con Obama, gli consiglierà di essere più moderato e di ricercare un equilibrio, perché credo che l’America in questo momento abbia proprio bisogno di questo: riconciliarsi, ritrovare se stessa, riprendere i valori che ne hanno fatto il simbolo della democrazia occidentale.