Michele Raviart – Città del Vaticano
Nel 2020 sono stati uccisi nel mondo venti missionari: otto sacerdoti, un religioso, due religiose, due seminaristi e sei laici. Lo riferisce l’Agenzia Fides nel consueto rapporto annuale che registra “tutti i battezzati impegnati nella vita della Chiesa morti in modo violento”. Otto le vittime nelle Americhe, sette in Africa, alle quali si devono aggiungere anche le centinaia di sacerdoti e religiose uccise del coronavirus, spiega a Vatican News don Giuseppe Pizzoli, direttore delle Pontificie opere missionarie:
R. – È stato un anno difficile. Questa lista di venti missionari uccisi ci dice che certamente, come ci ricorda sempre Papa Francesco, il martirio è più frequente oggi che non ai tempi della Chiesa delle origini e ci testimonia come il mondo dei missionari sia un mondo particolarmente motivato a portare a termine la sua missione, anche a costo della vita. Dobbiamo anche ricordare che quest’anno un buon numero di missionari non sono stati uccisi dalle persone, ma dal Covid-19. Missionari che sono rimasti, per una decisione personale, nella loro terra di missione, condividendo la vita della gente giorno per giorno e proprio per questa loro fedeltà si sono esposti anche al rischio del contagio. Alcuni sono morti per mancanza delle cure essenziali di fronte a questa pandemia.
I sacerdoti sono la seconda categoria più colpita dal Covid-19 dopo i medici. Che significato ha questa loro testimonianza in quest’anno così particolare?
R. – Per me questa è una testimonianza di fedeltà alla propria missione. Neanche la pandemia è riuscita a fermare il desiderio di portare a termine quel mandato di portare il Vangelo e di stare vicino alla gente nei suoi momenti di maggiore difficoltà. L’abbiamo visto qui in Italia, dove parecchi sacerdoti sono morti proprio a causa del contagio. Ma l’abbiamo visto anche in maniera molto forte nelle terre di missione. Quando il Ministero degli esteri italiano aveva proposto che i missionari potessero rientrare, aveva offerto loro anche la possibilità di voli straordinari, ma molti hanno ripetuto che non pensavano alla propria sicurezza, ma pensavano alla propria missione e quindi sono rimasti sul posto.
Allarghiamo lo sguardo al mondo. I continenti in cui sono stati purtroppo uccisi più missionari sono l’America con otto – cinque sacerdoti e tre laici – e l’Africa con un sacerdote, tre religiose, un seminarista e due laici. Che situazioni si vive in queste aree?
R. – Sono Paesi che soffrono particolarmente queste situazioni di guerra “spezzettata”, non dichiarata. Sono Paesi che soffrono molto per queste violenze e i nostri missionari rimangono al fianco della gente, condividendo le stesse difficoltà, gli stessi pericoli e, spesso, anche le stesse conseguenze estreme. (Non è un caso che) nei Paesi dove ci sono state più vittime di violenza o di aggressioni, c’è anche la presenza di missionari a fianco di quella gente.
Colpisce che quest’anno è aumentato il numero di laici uccisi in quanto missionari. Su tutti c’è l’esempio in Indonesia di Rufinus Tigau, un catechista ucciso a colpi di arma da fuoco durante un’operazione dell’esercito. Che significato ha questo gesto e qual è l’impegno dei laici?
R. – Noi che abbiamo sperimentato la vita in missione abbiamo visto veramente un impegno dei laici molto molto significativo. La nostra Europa viene da una tradizione di clericalismo molto forte. Lo stesso nella mia diocesi, sono stato cresciuto pensando che tutta l’opera pastorale fosse opera dei sacerdoti. I laici, casomai, in qualche maniera aiutavano in alcuni aspetti, ma non si rendevano protagonisti della pastorale. Così almeno sono stato abituato nella mia infanzia e l’Europa fa ancora fatica a uscire da questo modello che è stato portato avanti per secoli. Nelle giovani chiese e nei territori di missione, invece, si è creato fin da subito questo spirito di partecipazione autentica dei laici assumendo responsabilità pastorali importanti e si vedono anche la loro forza morale e spirituale e mettono anche a rischio la loro stessa vita nel servizio e nell’evangelizzazione. I laici, nelle giovani chiese, sono veramente protagonisti della vita della Chiesa.
Gli unici due sacerdoti uccisi in Europa sono in Italia. Parliamo di don Roberto Malgesini e di Fra Leonardo Grasso. Che testimonianza possono dare a tutti quanti con il loro sacrificio?
R. – Io lo chiamerei il “martirio della carità”. In Europa diventa sempre più evidente quella cosiddetta forbice che si allarga sempre di più tra i ricchi, sempre più ricchi, e i poveri, sempre più poveri. Chi sceglie di stare dalla parte dei poveri sa che si espone anche a dei rischi, perché nel mondo della povertà spesso ci sono anche situazioni di scarsa cultura, di ignoranza e quindi anche di brutalità. C’è anche tanta rabbia che a volte si manifesta in maniera estrema. Quindi, io li chiamerei “martiri della carità”, proprio perché sono sacerdoti che si sono posti pienamente con tutta la loro vita, con tutta la loro spirtualità al servizio dei più poveri.