Svitlana Dukhovych e Antonella Palermo – Città del Vaticano
Don Oleksandr Khalayim è un sacerdote ucraino della diocesi di Kamjanets-Podilskyj dei latini. Dalla regione di Khmelnytskyi, ieri, era tra i Missionari della Misericordia che hanno partecipato all’incontro con Papa Francesco in Vaticano. Un’occasione per parlare anche di quanto sta accadendo nella sua terra, dell’urgenza del dialogo a livello politico e della vicinanza sul piano umano. “Perdono” e “misericordia” le parole chiave anche in uno scenario di guerra, un percorso lungo ma necessario. Nelle parole del missionario anche un rinnovato grazie per quanti con tanta solidarietà e sollecitudine stanno cercando di curare le ferite di un conflitto di cui ancora non si vede la fine:
Come cappellano e come ucraino, come sta vivendo questi oltre due mesi di guerra?
I primi giorni del conflitto era difficile credere e accettare che nel ventunesimo secolo abbiamo ancora la guerra e che questo sta succedendo nel mio Paese, con il mio popolo. Poi mi sono subito posto la domanda: cosa posso fare io? E’ maturata la decisione di essere con la gente [con i soldati, con i tanti volontari civili, ndr] che adesso attende la Parola di Dio e l’assistenza spirituale. La funzione del cappellano è di ascoltare, celebrare le messe, confessare, dare coraggio e stare con queste persone. Loro sanno perché combattono: per la propria famiglia. Sono pronti a dare tutto per difendersi. E’ importante essere vicino anche alle persone anziane che sopravvivono ai forti bombardamenti, affinché nessuno si senta da solo.
Nel terzo incontro con il Papa, a voi missionari è stato chiesto di essere segno concreto della misericordia di Dio. Cosa è la misericordia in guerra e cosa il perdono?
Prima del perdono deve arrivare il dialogo. Il perdono deve essere accettato. Il perdono è un lungo percorso. Per me adesso è difficile parlare di perdono se ancora arrivano le bombe, se ancora si uccidono i bambini, se le nostre città sono ancora bombardate. Se cesserà il fuoco, se ci sarà la pace, non solo la tregua, allora si potrà parlare di perdono, ma sarà una lunga strada di tre o quattro generazioni. Perdonare ciò che hanno patito le donne e i bambini è veramente molto difficile. Sì, noi cristiani dobbiamo parlare di perdono ma non dobbiamo sfruttare questa parola, perché perdono è responsabilità. Dio ha perdonato non solo con le parole ma con il cuore. Servirà una lunga cura dell’anima.
Riesce a parlare di misericordia di Dio ai militari?
Sì. La misericordia è chiedere ai soldati di non uccidere, se possibile. Quando si sta in prima linea non è facile. Dico loro di difendere il Paese. Anche questo è misericordia: difendere le proprie case e famiglie. Ci sono tantissimi miracoli che questi ragazzi hanno visto in questi due mesi: si chiedono, per esempio, come è possibile che sono ancora vivi in mezzo a tanta distruzione. Ecco, la misericordia di Dio è la Sua presenza qui con la Sua protezione.
Nel buio della guerra stanno emergendo anche molte storie di solidarietà e di accoglienza che alleviano un po’ il dolore di tante ferite. Cosa serve al popolo ucraino oggi?
Credo che Ucraina non abbia mai avuto questa unità e solidarietà. Ringrazio per tutto ciò che sta facendo il popolo italiano e tanti altri. Servono la solidarietà, la vicinanza, ma serve anche cercare la verità. Il nemico si nasconde attraverso tante bugie e propagande. La verità grida, non bisogna avere paura di dire la verità, nonostante questo voglia dire la perdita di sicurezze materiali. Dietro una verità non detta c’è sempre qualcuno che dà la vita. E se ciò succede si diventa corresponsabili per la morte degli innocenti. E poi c’è la preghiera. La guerra è sempre contro i diritti umani. Vorrei ringraziare anche per gli aiuti ai militari. Noi stiamo difendendo la nostra terra. La libertà non è solo parole ma è una responsabilità. E in nome di questa bisogna essere disposti a dare non solo un pezzetto della propria vita ma alle volte tutta la vita.
Lei parlava dell’”odore” della guerra…
Dai primi giorni del suo pontificato il Papa ha detto che i sacerdoti devono avere l’odore delle pecore. E ora la Chiesa in Ucraina ce l’ha questo odore. L’odore di bruciato, l’odore della guerra. Non si può spiegare a parole. Con un diacono siamo passati vicino Donetsk e lo abbiamo sentito l’odore di guerra. L’odore di morte non si può spiegare. A Bucha, a Gostomel si sente il tanfo di bruciato. A Chernihiv c’è l’odore di abbandono, tutto è distrutto. Poveri anziani soli. Una persona da cinque giorni non si poteva muovere, nessuno la poteva aiutare. Riusciva solo a prendere l’acqua dai termosifoni per bere. Così è sopravvissuta. Ogni città ha il suo odore di sofferenza. Non si può descrivere. Qui la Chiesa deve impregnarsi di questo odore e restare accanto con diverse modalità di aiuto. La vera Chiesa è una Chiesa ‘flessibile’.
Quanto è palpabile la speranza tra la gente ucraina?
Non sappiamo quanto durerà questa via Crucis per l’Ucraina. E’ ancora una Quaresima, per noi, anche se cantiamo “Cristo è risorto”. Ciò nonostante, continuiamo a tenere accesa la speranza. Ciò che stiamo facendo non lo facciamo per giocare, perché non abbiamo altro da fare. Ma perché è nostro dovere. Le persone sono sfinite ma hanno nei loro occhi si intravede la fiducia verso Dio e verso chi sta loro accanto. Un soldato dalla Crimea, con tutta la famiglia atea, prima di andare a combattere voleva ricevere tutti i sacramenti. Per una settimana si è preparato così bene che capita di rado vedere una tale gratitudine. Per lui accostarsi ai sacramenti è stato davvero un dono. Di questo sono testimone. Speriamo che un giorno possiamo cantare che siamo risorti con Lui.