Dopo tragedie come quelle di Giulia Cecchettin, la psicoterapeuta Vittoria Lugli, autrice di “In volo con le emozioni” (ed. San Paolo) e coordinatrice del Servizio Cei di Tutela dei minori del Lazio e di Roma, suggerisce in base alla sua esperienza professionale di prendere spunto dal tirocinio dei piloti: imparano a gestire ansia e situazioni difficili crescenti, un training che può essere utilizzato per chiunque
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Se l’idea della sofferenza del partner ci dispiace più della nostra, e l’allontanamento diventa difficile, dobbiamo chiedere aiuto a una persona esperta. Perché la fine di una relazione affettiva è un lutto da elaborare, che spesso rimanda ad altre ferite”. E’ il consiglio che, dopo la tragedia dell’omicidio di Giulia Cecchettin compiuto dall’ex fidanzato, e tanti casi di violenza sulle donne, offre Vittoria Lugli, psicoterapeuta sistemico-relazionale, esperta di famiglie, coppie e dinamiche intrafamiliari, che ha appena pubblicato il libro “In volo con le emozioni”, edizioni San Paolo. Lugli è coordinatrice, dal 2019, del Servizio per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei per il Lazio e dello stesso Ufficio della Diocesi di Roma, ma nel volume riporta la sua esperienza, per più di un decennio, di collaborazione con l’Aeronautica Militare per l’addestramento al volo dei piloti, e una decina di casi clinici affrontati in più di 20 anni di supporto psicoterapeutico nel proprio studio.
Imparare a dire “no” e gestire la propria rabbia
Storie che si leggono come piccoli “gialli”, in gran parte a lieto fine, come quella di Azzurra (nome di fantasia come tutti quelli dei pazienti), che supera il trauma e la vergogna autoimposta per uno stupro subito da chi l’aveva drogata per indurla a concedersi. “lei trovava sempre uomini non adatti, non un grado di corrispondere il suo bisogno d’amore – racconta la psicoterapeuta – e questo è il segnale di una trascuratezza affettiva della vittima” che deve imparare ad ascoltare i suoi bisogni e anche a dire dei sani “no”. I maschi violenti, dal canto loro, hanno “il grande problema della rabbia”, ma come imparano a gestirla i piloti, spiega Lugli, insieme a paura e ansia, “possono farlo anche loro”. Insomma, in un mondo digitale e globalizzato, i cui stimoli “sono simili a quelli di un volo di caccia”, dobbiamo “addestrare”, con gradualità, i nostri bambini e giovani “a tollerare meglio le frustrazioni” e gli insuccessi della vita, a saper dire anche dei “no”, “a vivere situazioni a difficoltà crescente, senza che ci sia sempre la presenza di genitori o educatori”.
Una Chiesa che accoglie chi è stato tradito nella fiducia data
Situazioni, violenze, senso di ingiustizia e vergogna, che provano anche molte vittime di abusi, con le quali la psicoterapeuta si è confrontata negli uffici per la Tutela dei minori del Lazio e di Roma, legate “ad una fiducia tradita”, che è importante “riparare attraverso un’accoglienza”. Per far vedere “alle persone abusate che c’è anche una Chiesa che è in grado di accogliere, ascoltare, difendere, proteggere”. Di seguito, l’intervista di Vittoria Lugli a Vatican News.
Gli ultimi casi di cronaca, come purtroppo il femminicidio di Giulia Cecchettin, ci dicono che spesso le vittime di violenza sono legate da dipendenza affettiva con i loro carnefici e che temono di ferirli allontanandoli. Lei nel suo libro affronta questo tema. Che consiglio si sente di dare a queste donne per proteggere la loro vita?
Il consiglio è di non trascurare le difficoltà che si incontrano quando si capisce che il partner ha una difficoltà o le sta legando troppo a loro, e diventa troppo geloso, violento. Se si fa strada l’idea di non riuscire ad allontanarsi dal partner, l’idea che la sofferenza del partner dispiace di più della propria sofferenza, lì è il momento di rendersi conto che forse da soli non si è in grado di affrontare la situazione e si deve ricorrere all’aiuto di una persona esperta. Che può dare i consigli giusti, soprattutto non solo per allontanarsi, ma anche per tenere il punto su questo distanziamento. Perché la fine di una relazione affettiva è un lutto da elaborare e spesso questi lutti, queste sofferenze e separazioni rimandano ad altre ferite. Per questo ci sono delle difficoltà nell’allontanamento, soprattutto se sono storie affettive importanti.
Una risposta può essere quella di Azzurra, nome di fantasia della sua giovane paziente che, grazie al suo aiuto e la propria forza di volontà, ha superato il trauma e la vergogna di uno stupro subìto da chi l’aveva drogata per indurla a concedersi?
Azzurra è stata molto coraggiosa, perché si è resa conto che non era una casualità il fatto di trovare sempre persone non adatte a lei, non in grado di corrispondere il suo amore come donna. Spesso questo è il segnale di una trascuratezza affettiva che vive la vittima, che non è in grado lei di avere rispetto di sé e quindi imparare prima di tutto come ascoltare i propri bisogni, come imparare anche a dire dei sani “no”. Questo si può imparare attraverso un graduale percorso di psicoterapia, perché oggi sappiamo che le abitudini emotive, anche le più radicate, si possono cambiare, vista la plasticità di cui il nostro cervello è dotato.
Per i maschi violenti, invece, in molti casi si fa risalire il loro comportamento a traumi subiti in giovane età, magari in ambito familiare. Come riconoscerli e come aiutarli a farsi aiutare, prima che questi traumi si trasformino in violenza sull’altro sesso?
Sicuramente le persone violente, soprattutto i maschi, hanno un grande problema con la rabbia. La rabbia è un’emozione che a volte porta i maschi ad avere più la tendenza ad agire piuttosto che ascoltare. Ma dietro alla rabbia si nasconde tanto dolore. Allora è importante per i maschi, che a volte hanno poca capacità di avere un’introspezione verso le proprie emozioni, capire e riconoscere le ragioni di questa rabbia. Lo dico anche all’interno del libro, dove racconto come i piloti dei cacciabombardieri vengono aiutati e istruiti nella gestione della rabbia, della paura e dell’ansia. Come lo fanno i piloti, possono imparare anche tutti gli altri uomini ad occuparsi delle proprie emozioni. Oggi non è più qualcosa che riguarda solo le donne, ma tutte le persone che vogliono rimanere in equilibrio con la propria salute mentale.
Tornando al caso di Azzurra, il senso di ingiustizia e di vergogna che lei ha provato dopo il primo rapporto indotto dalla droga è anche quello che provano molte vittime di abusi, dei quali venite a conoscenza negli uffici per la Tutela dei minori del Lazio e di Roma?
Esattamente, perché quando noi parliamo di abuso non è solo l’abuso fisico e sessuale. Prima di tutto c’è proprio l’interezza della persona, perché con quegli atti è stata tradita la fiducia che la persona ha dato a qualcuno. Nella Chiesa poi si dà ancora di più questa fiducia e quindi gli abusi lasciano questo senso di vergogna, di inadeguatezza, che è importante riparare attraverso un’accoglienza. Infatti il mio lavoro in questi anni è stato soprattutto non tanto fare segnalazioni ma aprire la porta per poter avere un dialogo, avere informazioni e far vedere alle persone abusate che c’è anche una Chiesa che è in grado di accogliere, ascoltare, difendere, proteggere.
In un mondo globalizzato digitale come il nostro, i cui stimoli sono simili a quelli di un volo di caccia, lei dice che non siamo educati a gestire le piccole e grandi emergenze del quotidiano. E spesso siamo incapaci di gestire anche le emozioni conseguenti. Questo è davvero il disagio psichico del terzo millennio?
In realtà, inavvertitamente, c’è una troppa patologizzazione di tutto. Purtroppo la psicologia ha preso una deriva troppo volta solo a fare diagnosi, all’uso massiccio di psicofarmaci, che in alcuni casi sono anche utili, ma nella maggior parte dei casi sarebbe molto più utile invece fare anche un lavoro di addestramento, magari con una certa gradualità. Insegnare ai nostri bambini, ai nostri giovani, a vivere la frustrazione, saper dire anche dei “no”, aiutarli anche a vivere delle situazioni a difficoltà crescente, senza che ci sia sempre la presenza dei genitori o degli educatori. La sfida di questo millennio è che la realtà è difficile, ma i nostri giovani non sono abbastanza addestrati a queste sfide e dobbiamo tornare come educatori a aiutarli. Educare vuol dire tirare fuori, condurre per mano, ma li dobbiamo condurre a una crescita e ad una capacità di tollerare maggiormente le frustrazioni della vita.
Così diventeremo davvero buoni “piloti” della nostra vita?
Sicuramente, perché il volo ci insegna che abbiamo molti limiti, perché andare a 900 chilometri orari non è stato mai affrontato nei secoli precedenti. Ma il volo ci insegna un’altra cosa straordinaria: che siamo pieni di risorse. Ci vuole un addestramento mirato, e ci vuole anche grande motivazione, perché quello che ho trovato nei piloti è anche una grande motivazione a superare i propri limiti. Ma è stato vinto un premio Nobel sulla plasticità del cervello, che ci dice che le nostre connessioni sinaptiche possono essere riscritte e possono essere modificate fino al momento della morte. E dal mio punto di vista, la psicologia oggi dovrebbe entrare in una fase più preventiva, più educativa e, diciamolo, spingersi anche verso un campo della salute, piuttosto che muoversi continuamente solo nel campo della patologia. Noi non siamo solo le nostre patologie, siamo anche tutte le risorse che abbiamo e che aspettano di essere usate.
Incontri alla Casa dell’Aviatore e all’Università Santa Croce
Il libro di Vittoria Lugli “In volo con le emozioni”, edizioni San Paolo, viene presentato questa sera, lunedì 27 novembre, alle 18, nella Casa dell’Aviatore, dall’autrice, con il capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, il generale Luca Goretti, e dal colonnello Francesco Torchia, esperto di medicina aeronautica e spaziale, e venerdì 1 dicembre, alle 15, alla Pontificia Università della Santa Croce, dove con Vittoria Lugli ci saranno il biblista don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma, e i docenti dell’ateneo Ilaria Vigorelli, docente di Teologia Trinitaria, Francisco Javier lnsa Gomez, professore associato di Bioetica presso la Facoltà di Teologia e segretario del Centro di Formazione Sacerdotale, e Federica Bergamino professore associato di Antropologia e Letteratura.