Dieci anni fa il naufragio della nave Concordia tra dolore e solidarietà

Vatican News

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

La Messa di suffragio nella chiesa dei santi Lorenzo e Mamiliano, la fiaccolata fino al molo e il suono delle sirene dalle imbarcazioni nell’orario esatto dell’impatto. Sono queste alcune delle iniziative commemorative per ricordare quanto avvenuto dieci anni fa davanti all’isola del Giglio.

La tragedia

Sono le 21.45 di venerdì 13 gennaio 2012. La nave da crociera Costa Concordia, con a bordo 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio, urta uno scoglio. L’impatto provoca una falla di circa 70 metri sul lato sinistro dello scafo. Si allagano velocemente vari compartimenti. In poco tempo anche il generatore diesel e il quadro elettrico principale vanno in tilt, provocando un blackout. Seguono momenti di concitazione e di panico. I passeggeri vengono radunati nei punti di riunione. Alle 22:33 viene lanciato il segnale che indica l’emergenza generale. Alle 22:54, dopo esplicita richiesta della Capitaneria di Livorno, viene ordinato l’abbandono della nave. Alle 00:32 il comandante della Costa Concordia riferisce alla Sala operativa di Livorno della presenza in mare di naufraghi. Alle 00:42 un lato della nave è interamente sommerso. Muoiono 32 persone, tra le quali una bambina di cinque anni. Alcune persone scivolano nella zona allagata o nei vani ascensori perdendo la vita. Altre annegano dopo essersi tuffate o dopo essere cadute in mare.  Gli abitanti dell’isola sono tra i primi a soccorrere i naufraghi.

Il processo e il trasferimento del relitto

È la rotta decisa dal comandante, di “navigare secondo il suo istinto marinaresco, più a ridosso dell’isola, confidando nella sua abilita”, hanno scritto i giudici, a far finire la Concordia sugli scogli. Nel 2017 il comandante della nave, Francesco Schettino, viene condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione. Per più di due anni l’imbarcazione rimane adagiata sugli scogli delle Scole come un cetaceo spiaggiato. Il relitto viene poi spostato con un’operazione mai tentata prima al mondo e durata tre anni. La nave viene prima ‘ruotata’, sollevata, rimessa in asse e poi ormeggiata nel porto di Genova. Lo scafo, in 22 mesi, viene demolito e i suoi materiali vengono recuperati all’80%.

L’ospitalità dei gigliesi ai naufraghi

Subito dopo la sciagura, anche le parrocchie dell’isola si mobilitano per offrire ospitalità ai naufraghi. Questa è la testimonianza di don Vittorio Dossi, all’epoca parroco della Chiesa di San Pietro Apostolo, raccolta il giorno successivo alla tragedia da Antonella Palermo per Radio Vaticana.

Ascolta la testimonianza di don Vittorio Dossi (14-01-2012)

Questa notte stavano malissimo: c’era chi cercava il proprio figlio e chi cercava sua moglie. C’era confusione e un’agitazione tale da non crederci. Le persone presenti erano di ogni nazionalità: tedesca, inglese, giapponese, coreana. Abbiamo dato loro tutto quello che avevamo, coperte e materassi. Nel mio asilo c’era davvero molta confusione. Adesso, dopo un primo momento di concitazione, sono andate a riposarsi un po’ ed io mi sono adoperato per far sì che venisse rintracciato uno di loro. C’era una madre che aveva perso suo figlio, si trovava giù al porto. Voglio nuovamente dire grazie alla mia gente, ai gigliesi, che si sono adoperati molto per far fronte a quest’emergenza. Ho visto, ancora una volta, che quest’isola è composta da persone che vogliono ancora bene all’umanità.

A bordo anche tanti bambini

Il 13 gennaio del 2012 a bordo della nave Costa Concordia si sono vissuti momenti di terrore. Nell’intervista rilasciata due giorni dopo la sciagura a Sergio Centofanti di Radio Vaticana, il cappellano di bordo, don Raffaele Malena, ricorda alcune fasi dell’evacuazione e l’ospitalità ricevuta dagli abitanti dell’isola.

Il ricordo di don Raffaele Malena (15-01-2012)

Il cappellano dove è chiamato deve correre. Li ho incoraggiati… C’erano tanti bambini, una bambina me la sono presa in braccio, ho chiamato la mamma e ho detto di mandarla subito nella scialuppa e la mamma l’hanno fatta evacuare per prima. Sono momenti di panico e di paura per i passeggeri. Poi, devo ringraziare molto il parroco del Giglio, che ha aperto subito la chiesa. Questa è un’isola di mille e 200 persone in estate e 700 in inverno. Tutti volevano dare una mano: hanno aperto gli alberghi, ci hanno dato da mangiare, ci hanno dato coperte e tutto quello che avevano ce lo davano. Agli abitanti dell’Isola del Giglio dovremmo fare un monumento… Non ci hanno abbandonati!

Una gara di solidarietà

Le ore successive alla tragedia sono dunque scandite anche da una “gara di solidarietà”. Monsignor Guglielmo Borghetti, l’allora vescovo della diocesi di Orbetello, di cui fa parte anche l’isola del Giglio, ricorda in particolare la grande risposta offerta ai naufraghi dai gigliesi. Questa è la sua testimonianza, raccolta da Luca Collodi per la Radio Vaticana, il 19 gennaio del 2012.

La testimonianza di monsignor Guglielmo Borghetti (19-01-2012)

Nella tragedia è stato rincuorante assistere a questa gara di solidarietà, di vicinanza, di attenzione. Io ho seguito la situazione fin dal momento in cui è sorta. Il parroco dell’Isola del Giglio mi ha telefonato nel momento in cui stava accadendo la cosa, quando ancora non era ben chiaro che cosa fosse effettivamente successo, chiedendomi l’autorizzazione di aprire la chiesa. Ed io gli ho detto: “Figuriamoci”. Immaginiamoci se non sia giusto aprire la chiesa! Da lì poi siamo andati avanti, restando permanentemente in contatto, fino a quando poi nella tarda mattinata del sabato i naufraghi sono stati trasferiti a Porto Santo Stefano, dove anche lì c’è stata una splendida attenzione da parte del nostro volontariato, sia delle parrocchie locali che della Caritas diocesana. Questa gente dell’Isola del Giglio non ha avuto timore di aprire le case, anche durante la notte, e di accogliere questi naufraghi e dar loro un primo conforto, mettere loro addosso una coperta, dare un qualcosa di caldo. È stata una nota di luce in una notte molto buia per tanti aspetti.

Il senso della sofferenza

Pochi giorni dopo la sciagura, l’allora parroco all’Isola del Giglio, anche don Lorenzo Pasquotti, ricorda in una intervista a Radio Vaticana, i primi tragici momenti dopo la collisione.

Testimonianza di don Lorenzo Pasquotti (24-01-2012)

Gente infreddolita che stava rannicchiata per terra tutta bagnata, perché magari si era buttata in mare. E allora li abbiamo aiutati ad alzarsi, li abbiamo portati in casa, li abbiamo cambiati, gli abbiamo dato qualcosa di caldo da bere, anche gli anziani, i bambini… Andavo in giro con le caramelle, con qualche dolcetto per attenuare un po’ il disorientamento. Insomma, tutti abbiamo fatto qualcosa. Loro ci guardavano con un sorriso di gratitudine, vedevano che noi cercavamo di fare quello che potevamo. Non avevamo niente. Cercavamo di fargli capire che eravamo con loro, eravamo dalla loro parte.

Il dolore, aggiunge don Lorenzo Pasquotti nell’intervista rilasciata a Massimo Pittarello nel 2012, non può essere disgiunto dalla speranza.

Il senso della sofferenza, la condivisione, l’opportunità di stare vicini, di dare un’occasione per testimoniare la nostra speranza: questo è ciò che dobbiamo fare. Domenica scorsa, nella predica durante la Messa, ho detto che nella visione economica della salvezza, anche questo dolore ha una funzione redentrice.

Vivere la solidarietà

Di quella notte tragica restano il dolore per le 32 vittime e l’orrore vissuto dai naufraghi. Ma anche le luci della solidarietà e dell’ospitalità, bagliori che non solo nei momenti di disperazione devono illuminare il cammino dell’umanità. Anche in questo tempo scosso dall’emergenza sanitaria, quella della solidarietà è la via da percorrere per affrontare lo “scoglio” della pandemia. E per soccorrere i tanti “naufraghi” che in tutto il mondo hanno bisogno di aiuto. Di fronte a mani tese che implorano di essere aiutate non si può restare indifferenti. Come ha scritto Papa Francesco in un tweet nel 2015, dobbiamo imparare “a vivere la solidarietà”. “Senza la solidarietà, la nostra fede è morta”.