Dialogo in salita alla Cop29 di Baku: ecosistema terrestre sempre più a rischio

Vatican News

Il difficile compito dei delegati di 193 Paesi delle Nazioni Unite, riuniti fino al 22 novembre nella capitale dell’Azerbaigian con l’obiettivo di creare i presupposti per affrontare una crisi climatica senza precedenti. Intanto al G20 di Rio, concluso ieri, l’ong Oxfam ha denunciato le forti diseguaglianze nel mondo

di Pierluigi Sassi

Un antico proverbio cinese recita che «il ricco trova parenti anche fra gli sconosciuti; il povero trova sconosciuti anche fra i parenti». La Cop29 sta cercando di comporre il difficilissimo dialogo tra ricchi e poveri del mondo: 193 Paesi delle Nazioni Unite sono riuniti a Baku con l’obiettivo di creare il presupposto fondamentale per affrontare una crisi climatica senza precedenti. Oltre 50 mila delegati sono venuti in Azerbaigian per definire gli urgentissimi investimenti necessari a garantire lo sviluppo sostenibile dei paesi poveri, senza il quale l’ecosistema terrestre, già al limite del “collasso”, rischia di produrre un numero mai visto di vittime ambientali, e danni economici irreparabili.

Mentre tutto questo avviene, i paesi ricchi hanno avuto la loro riunione “privata” proprio in Brasile, Paese che nel 2025 ospiterà la trentesima Cop. Tutti hanno sperato che la circostanza del contemporaneo G20 offrisse l’occasione giusta per semplificare il dialogo tra ricchi e poveri e dare la spinta decisiva ai negoziati sul clima. Tutti pensavano che non ci potesse essere occasione migliore per compattare su una posizione finanziaria accettabile le 20 economie più floride ed inquinanti del pianeta. Ma non è andata così. Anzi, per dirla tutta, il G20 non ha prodotto un risultato credibile né per la Cop29 né per i suoi stessi obiettivi.

A Rio de Janeiro, l’ong Oxfam ha presentato i suoi sconvolgenti dati sulle disuguaglianze, verso i quali evidentemente i grandi della terra hanno ormai sviluppato una solida “immunità di gregge”. L’1% più ricco della popolazione di questi 20 Paesi — nei quali concentra l’85% del pil mondiale e l’80% delle emissioni globali di Co2 — ha visto crescere la propria ricchezza del 150% in soli vent’anni arrivando ad un valore pari ai due terzi del pil mondiale.

Forse la cosa non ha colpito molto la presidenza del G20, visto che il Brasile è il Paese dove si registrano le più drammatiche disuguaglianze al mondo, con l’1% della sua popolazione che detiene una ricchezza equivalente al 48% più fragile. Di fatto le “tiepide” e vaghe dichiarazioni fatte dal G20 sul clima — come su tutti gli altri temi sociali, quali fame, povertà, giustizia fiscale, transizione energetica, riforma della governance globale — hanno inferto un duro colpo ai negoziati della Cop29 già gravemente complicati dall’esito delle elezioni americane e dalle guerre in corso.

L’aria che si respira oggi allo Stadio Olimpico di Baku non è certo quella della fiducia. Mancano ancora due giorni e la speranza, si sa, è sempre “l’ultima a morire”. Una cosa però è certa: se questa Cop così importante fallirà, il significato stesso dei negoziati mondiali sul clima delle Nazioni Unite cambierà inesorabilmente. Sarà infatti evidente a tutti che da questi consessi non può arrivare una soluzione audace ed ambiziosa per salvare l’umanità dalla più grave crisi di sempre. E a quel punto sarà molto meglio che tutti, nessuno escluso, si rimbocchino le maniche.