Si è conclusa la seconda edizione del forum ecumenico per studenti e laureandi in teologia cattolici, ortodossi e protestanti, promosso a Lovran, nel Quarnaro, sulla costa adriatica croata, dall’arcidiocesi di Rijeka-Fiume. L’arcivescovo Uzinić: “Sono giovani che vogliono una Chiesa che accetta e include, che riflette e non ha paura”. Il parroco ortodosso di Dubrovnik: “Cristo è la nostra identità comune, sono incontri che aiutano la libertà”
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sono “buoni frutti” degli Incontri Teologici del Mediterraneo di Rijeka-Fiume, che hanno chiuso sabato 22 luglio la loro seconda edizione, la possibilità offerta a più di 40 studenti e laureandi in teologia cattolici, ortodossi e protestanti, di confrontarsi su temi sui quali alle volte nelle loro comunità si preferisce tacere. E di permettere a questi giovani di tutti i Paesi dei Balcani occidentali, dalla Croazia alla Serbia, dalla Slovenia al Montenegro di intervenire liberamente, dopo le lezioni di affermati teologi, su argomenti come il rischio di deviazioni settarie nelle nuove comunità religiose e sulla pastorale per le persone Lgbtq+ e quelle migranti. Lo hanno sottolineato nella giornata di chiusura, dopo le relazioni dei lavori di gruppo stilate dagli studenti stessi, l’arcivescovo di Rijeka Mate Uzinić, promotore dell’iniziativa, in assemblea e al nostro microfono, come pure il parroco ortodosso di Dubrovnik, e già docente di teologia patristica, Vladan Perisic, che ha partecipato alle 4 edizioni del programma.
Pubblicato un volume con gli atti delle prime tre edizioni
In serata, nella sala conferenze della Domus Laurana di Lovran, c’è stata la presentazione del volume “Teologia in dialogo”, curato da Bruna Velčić , Vjeran Martić e Branko Jurić, e pubblicato dal Kršćanska sadašnjost, una raccolta ragionata di tutte le lezioni dei docenti delle due edizioni della Scuola Estiva di Teologia di Dubrovnik (2019-2021) come i teologi Tomas Halik e Teresa Forcades, e quelle della prima edizione degli Incontri Teologici del Mediterraneo (2022) di Rijeka, come l’intervento del cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo. E le introduzioni dell’arcivescovo Mate Uzinić, fino al 2020 vescovo di Dubrovnik. A lui abbiamo chiesto un commento finale su questa edizione, incentrata sulk tema Chiesa o setta? Tra apertura ed esclusività”.
Quale bilancio a caldo vuol fare di questa seconda edizione degli Incontri Teologici del Mediterraneo e quarta del vostro progetto di scuola ecumenica per giovani teologi? Ha notato una crescita, in questi quattro anni, nei giovani e anche nei docenti?
Di solito riconosciamo facilmente le caratteristiche di una setta in altre comunità, ma non le notiamo all’interno delle nostre comunità. È desiderio di tutti noi, che partecipiamo all’organizzazione degli Incontri Teologici del Mediterraneo, attraverso le lezioni dei professori e il dialogo reciproco, incoraggiare i giovani studenti a riconoscere le eventuali caratteristiche settarie all’interno delle proprie comunità ecclesiali e ad essere coloro che lotteranno affinché queste siano meno una setta e più una Chiesa. A proposito di evoluzione del dialogo tra i cristiani, è bello notare, ora che abbiamo concluso già la quarta edizione di questo progetto, come giovani studenti di diverse scuole teologiche, diverse confessioni cristiane e diverse nazionalità – che su questo territorio del Sud-Est Europa non molto tempo fa erano in guerra tra loro – parlino apertamente tra loro di teologia e delle realtà che vivono.
E tutti noi troviamo più facile impegnarci in conversazioni su quei problemi a proposito dei quali i membri più anziani delle nostre comunità ecclesiali preferiscono tacere. Questi sono i buoni frutti che speravamo di ottenere quando abbiamo avviato questo progetto.
Nella costruzione di una Chiesa veramente sinodale, una Chiesa dell’ascolto, come sogna e vuole Papa Francesco, crede che qui i giovani teologi con i docenti e tra loro si siano ascoltati anche su temi delicati come l’accoglienza di chi vive ai margini, come le persone migranti e Lgbtq+?
Sì, è esattamente quello che è successo. Uno dei momenti salienti di questi Incontri teologici del Mediterraneo è stata la visita al punto di transito per i migranti presso la stazione ferroviaria di Fiume, dove l’arcidiocesi di Rijeka-Fiume ha organizzato una accoglienza per i migranti, attraverso la Caritas e il seminario. In questo abbiamo il sostegno della città di Fiume e dei volontari che si sono impegnati fin dall’inizio nell’aiutare i migranti che attraversano la nostra città. E abbiamo anche tenuto una conferenza in cui abbiamo riflettuto sul nostro rapporto con le persone Lgbtq+, chiedendoci come, secondo i Vangeli, Cristo stesso si è comportato verso le persone che vivevano ai margini. Certamente, una delle persone che si è maggiormente impegnato nella pastorale in questo campo è il gesuita padre James Martin, che ha tenuto la conferenza. Più volte lo stesso Papa Francesco lo ha pubblicamente ringraziato per i suoi sforzi, e anch’io vorrei ringraziarlo per la pastorale che svolge e per la conferenza tenuta.
Quale tipo di Chiesa vogliono questi giovani teologi? Aperta, accogliente e inclusiva, anche col rischio di qualche “incidente”, come chiede il Papa, o chiusa nella sua esclusività, tanto da diventare una setta, ma evitando così ogni “incidente” con il mondo d’oggi?
Penso sia abbastanza chiaro che quelli che hanno risposto al nostro invito, tra cui molti presenti nei precedenti incontri, vogliono una Chiesa aperta, una Chiesa che accetta e include, una Chiesa che riflette e non ha paura. A volte si ha l’impressione che le nostre Chiese non siano così. Ecco perché abbiamo incontrato una grande resistenza, fin dall’inizio. Proprio questo è il segnale che dobbiamo continuare ad impegnarci per comprendere e trasmettere il Vangelo all’uomo di oggi.
Il parroco ortodosso: incontri che aiutano la libertà
Conosce molto bene il progetto e la realizzazione delle Scuole Estive di Teologia e poi degli Incontri Teologici del Mediterraneo, per aver partecipato a tutte le edizioni, il parroco ortodosso di Dubrovnik Vladan Perišić, docente emerito di filosofia e patristica della facoltà di Teologica Ortodossa dell’Università di Belgrado. Gli abbiamo chiesto di parlarcene e di commentare l’andamento di quest’ultima settimana sulle sponde croate dell’Adriatico.
Ha notato un’evoluzione in questi quattro anni, nei giovani e anche nei docenti? Il dialogo teologico tra i cristiani sta crescendo o è fermo?
Colui che ha ideato questi Incontri Teologici, e nella cui arcidiocesi ci troviamo, ha svolto un lavoro intelligente e buono che non resterà certo senza frutti, anche se non devono e non possono essere visibili nell’immediato. Lo ha fatto saggiamente per la Chiesa, perché questi incontri sono finalizzati alla sua unità, che Gesù stesso esige, e ha fatto del bene a tutti coloro che vi hanno partecipato, perché lo scambio di idee e l’amicizia con altri cristiani ti cambia certamente in meglio. L’evoluzione, del tutto naturale, non può essere notata tra i relatori, semplicemente perché ne arrivano di nuovi ogni anno. E tutti sono stati davvero molto bravi e in linea con gli obiettivi di questi incontri ecumenici.
Tra gli studenti, però, alcuni sono nuovi, ma c’è anche chi è venuto prima. E con loro è davvero possibile notare l’evoluzione, sia nella conoscenza che nel comportamento. La loro conoscenza si sviluppa solo studiando, ma qui imparano a familiarizzare con il pensiero di autori teologici di altre confessioni cristiane, non solo con quelli della propria comunità. E il comportamento ancora di più: inizialmente sospettosi e riservati, a diretto contatto con studenti e professori di altre confessioni, si liberano lentamente ma inesorabilmente da pregiudizi, sia personali che quelli della società e della Chiesa di appartenenza, che portano con sé. E la conoscenza personale dell’altro e del diverso è il modo migliore per rompere i pregiudizi. Quei pregiudizi che separano le persone e che ognuno di loro porta con sé possono essere accidentali, ma sospetto che molti di essi siano stati creati, anche deliberatamente, in varie “officine del male”, che non mancano nei Balcani.
Sul tema scelto per questa edizione: “Chiesa o setta? Tra apertura ed esclusività”, quali ricchezze pensa possano condividere, nelle diverse tradizioni, gli ortodossi, i cattolici e i protestanti per arrivare ad essere davvero Chiese cristiane aperte al mondo, senza perdere la propria identità?
La scelta del tema di quest’anno è stata ottima. A volte bisogna distinguere tra Chiesa e setta. Ma non sempre. Potrebbe aiutarci il suggerimento di un teologo illustre e contemporaneo. Egli afferma che almeno due erano le caratteristiche specifiche della Chiesa primitiva a differenza delle sette. Primo: la Chiesa aveva di fronte al mondo un atteggiamento affermativo, mentre la setta aveva un atteggiamento negativo; secondo: nella Chiesa vi era una pluralità di opinioni, mentre nella setta c’era esclusione ed uniformità. Spetta a noi di plasmare la Chiesa in base a questi antichi precetti, che valgono pure oggi.
E per quanto riguarda il termine oggi così popolare, “identità”, posso dire che non è il mio preferito. Dato che analizzato un po’ meglio, diventa chiaro che, con la scusa di preservare ciò che a ciascuno appartiene come determinante significativo, in realtà serve a mostrare come quel qualcuno sia diverso, differente e spesso culturalmente o religiosamente superiore a colui da cui difende la sua “identità”. In questo modo diffonde il cosiddetto “panico di identità”, cioè la paura, che può sfociare nella paranoia, che il nemico minacci la nostra esistenza nazionale, la nostra “identità”. Pertanto, il discorso sull’identità può condurci molto facilmente a nuove divisioni e ha anche il potenziale per sostituire il termine “razza”, un tempo ideologicamente noto, come indicatore di identità biologica che darà la preferenza ad alcune razze rispetto ad altre. Proprio per questo è stato inventato il termine “identità nazionale”, che oggi significa più o meno la stessa cosa che significava il termine “razza”, che nel frattempo è stato compromesso, per cui ora è stato trovato un termine inutilizzato: “identità nazionale”. Se bisogna parlare di identità, allora ad ogni cristiano dovrebbe essere chiaro che la sua identità è dovuta solo a Gesù.
Cosa apprezza in particolare della formula di questi incontri e che vede innovativa? I temi e i docenti scelti dagli organizzatori? Lo scambio tra docenti e studenti nei workshop? Lo spazio dato al confronto nel tempo libero?
Mi sembra particolarmente importante lo scambio di idee tra gli studenti ed anche tra i professori, e questo non solo nel tempo previsto per il lavoro, ma altresì nel tempo libero. Devo osservare tuttavia che a volte noto che gli studenti si trattengono dall’intervenire liberamente. Certamente quando questo avviene non è una cosa buona. Questi incontri pertanto aiutano la libertà. Dato che una Chiesa i cui membri non sono liberi di esprimere quello che dicono e quello che pensano, non è la Chiesa di Cristo. Gesù liberava, mentre tale Chiesa riduce in schiavitù. Gesù aveva il compito di trasformare gli schiavi del peccato in persone libere e amici di Dio. La Chiesa in cui vi è il delitto di opinione invece, da amici di Dio li rende veri schiavi. Se i membri della Chiesa non si sentono liberi, o ancora peggio impauriti, allora questo è un segno che non vivono ancora nella Chiesa di Cristo ma in una Chiesa non si sa di chi. In realtà, se l’uomo entrando in Chiesa non ha più libertà di quella che aveva fuori, di tale Chiesa l’uomo non avrà bisogno.