Centrafrica, padre Gazzera: mai avrei pensato di fare il vescovo, pregate per me

Vatican News

Il carmelitano scalzo, da 33 anni missionario nel Paese africano, racconta come ha accolto la notizia della nomina a coadiutore della diocesi di Bangassou. È una regione estesa come metà Italia, difficile da raggiungere e molto insicura. “È un Paese che ha bisogno di strutture, di sviluppo. Ci vorrebbe un impegno più serio, soprattutto da parte delle autorità locali. Bisogna disarmare cuori e mani”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Un impegno “enorme” per il quale si affida alle preghiere di tanti. È ciò che racconta padre Aurelio Gazzera, missionario dei Carmelitani Scalzi nella Repubblica Centrafricana da oltre trent’anni, che ieri, 23 febbraio, Papa Francesco ha nominato vescovo coadiutore di Bangassou. “Più leggo e studio, e più mi sento piccolo e incapace”, scrive da Bouar, in un post sul suo blog che cura da tanti anni: c’è tutta l’umiltà di un religioso pienamente intriso di vita spirituale ma capace di stare ben incollato con i piedi a terra, spesso schivando le insidie di una guerra mai sedata nel Paese, dalla parte dei vulnerabili a difesa di giustizia e dignità. Il viaggio che attende padre Gazzera è da nord-ovest, dove si trova ora, a sud-est, per raggiungere una diocesi di 135 mila chilometri quadrati, molto rischiosa per la guerra che ancora semina trappole e per cui ancora due missioni sono chiuse. Lo abbiamo raggiunto al telefono:

Ascolta l’intervista a padre Aurelio Gazzera

Come accoglie questa nomina, padre Aurelio?

Con tanta gioia e tanta paura perché è un impegno enorme assumere questo ministero in una diocesi che è grande quasi come metà Italia. Sarò con un grande vescovo con cui lavorerò almeno per qualche tempo, monsignor Aguirre, spagnolo, che fa davvero dei miracoli lì. Bisognerà cercare di portare avanti una diocesi così vasta e così lontana. In realtà dista solo 750 chilometri dalla capitale ma non ci sono strade, quindi bisogna andarci con l’aereo, i camion ci mettono un mese o due per arrivarci, quindi si farà un po’ come si può, ed è una diocesi con parrocchie sparse in molte delle quali ci sono ancora grossi problemi di sicurezza, con milizie ribelli di una parte e dell’altra del Paese. Il lavoro e l’impegno sono grandi, da un lato c’è un po’ di paura per non essere all’altezza ma dall’altro c’è anche il dono della grazia del sacramento, la misericordia di Dio, soprattutto la preghiera e l’affetto di tantissime persone che mi stanno tempestando di messaggi, di scritti…

Avverte anche la paura di una esposizione maggiore che, in qualità di vescovo, si troverà inevitabilmente a sperimentare?

La paura non è tanto quella relativa alla mia persona. Ci possono essere delle violenze, senz’altro, fatti più o meno gravi. Ma la paura non è tanto quella, quanto soprattutto di poter essere bene al servizio di quella che ormai è la mia gente. Ho finito adesso una riunione con i seminaristi più grandi della diocesi, che sono qui nella capitale, quindici ragazzi che stanno studiando filosofia e teologia, ed è una delle prime cose che abbiamo voluto fare insieme, venire a salutarli. Sono loro un po’ la speranza della Chiesa e ci sarà anche il lavoro di seguire tutti i sacerdoti e i seminaristi che sono sparsi in questa grande porzione della Chiesa di Dio che è a Bangassou.

Che realtà lascia?

Io sono qui in Centrafrica da 33 anni. Ho fatto una decina d’anni come direttore del Seminario Minore. I ragazzi di quegli anni lì sono adesso i nuovi Superiori della Missione. Il provinciale del Centrafrica era commosso, è entrato in Seminario quando ero rettore. Poi c’è anche il lavoro fatto per 17 anni a Bozoum come parroco, una grazia grande con tutte le sue cose belle ma anche con tutte le difficoltà, come i momenti di guerra, l’accoglienza dei rifugiati, la mediazione con i vari gruppi per cercare di risparmiare vite umane. Poi c’è anche l’impegno come Caritas nelle fiere agricole, nell’aiuto in questi lunghi anni a tutta la gente possibile. Poi, gli ultimi tre anni nei piccoli villaggi che seguo, la scuola di meccanica. Tutto quello che la grazia del Signore concede di fare… Ieri ripensavo che il Signore, quando chiama, dà sempre tanto. Io non avrei mai pensato di fare qualcosa del genere, e mai assolutamente pensato di diventare vescovo. Faremo quello che possiamo, con l’aiuto di Dio, con la preghiera di tanta gente.

La guerra è sempre un assillo…

Purtroppo abbiamo ancora zone del Paese esposte continuamente ad attacchi. Monsignor Aguirre mi diceva che ci sono zone dove, se ci sono strade, è facile incappare in ribelli e gente armata. Una grossa parte del Paese è veramente fuori da ogni criterio di sicurezza. Il governo, sinceramente, fa poco. La Corte internazionale fa quello che può, c’è un grosso impegno dell’Onu però sono impegni che poi concretamente non portano grandissimi frutti. Penso che invece il frutto grosso sia questo sforzo che in particolare le Chiese portano nell’educazione, nel favorire gli incontri, nel cercare di calmare gli spiriti e arrivare a una riconciliazione vera. Questo è un lavoro grosso, non quantificabile ma che il Signore ci aiuta a fare.

Cosa serve per una riconciliazione vera?

Disarmare i cuori e le mani. E poi questo è un Paese che ha bisogno di strutture, di sviluppo. Invece non si vede nessun impegno. Le strade, come dicevo, sono sempre più disastrate, nella capitale stessa. Se si pensa che per fare 750 chilometri ci vogliono un paio di settimane in macchina, nella stagione secca, vuol dire che non ci sono proprio strutture. Ci vorrebbe un impegno più serio, non tanto da parte della Comunità internazionale quanto dalle autorità locali.

Siamo alle porte di un nuovo Giubileo. Ricordiamo nel 2015 l’apertura del Giubileo della Misericordia proprio a Bangui. Dopo dieci anni, come vivrete questo nuovo evento ecclesiale?

Sarà senz’altro una occasione per ritornare sempre al centro della nostra vita che è Gesù, ritornare alle radici della nostra fede, ritornare a concentrarsi sulle cose più importanti. Sarà senz’altro un bel momento. Qui, peraltro, c’è grande ricchezza di manifestazioni anche esteriori di fede e di preghiera.

Come vivere la missione alla luce del carisma carmelitano?

La vita come missionario è il dono più grande che abbia ricevuto. In questi giorni dicevo alla mia famiglia carmelitana che nel Carmelo io ho ricevuto il dono della missione, dai primi passi al fatto di poter vivere qua. C’è sicuramente l’aspetto della preghiera e della vita spirituale. Curiosamente nel carisma nostro è stato sempre molto forte l’aspetto missionario. E così continueremo, con la grazia di Dio e con la preghiera di tanti e tante.

Sente qualche volta la solitudine?

Benedetto XVI diceva che chi prega non è mai solo, chi ha Dio non è mai solo. Certo, dovrò lasciare i miei confratelli ma al momento è la cosa che mi spaventa meno.