Si è concluso questa mattina, giovedì 11 aprile, il 44.mo convegno nazionale delle Caritas diocesane, ospitato a Grado, in provincia di Gorizia. Quattro giorni di confronto tra le varie realtà regionali, con uno sguardo ai confini internazionali. Don Marco Pagniello, direttore Caritas italiana: “Dobbiamo allontanare da noi la paura della diversità che probabilmente è una delle più grandi povertà di questo tempo”
Gianmarco Murroni – Città del Vaticano
Quattro giorni di confronto, di dialogo, di dibattito intorno al tema dei confini e dei limiti, da superare e insieme valorizzare. Ma anche abbracci, armonia, condivisione di esperienze: gli oltre 600 rappresentanti delle 218 Caritas italiane si sono ritrovati a Grado, in Friuli Venezia Giulia, per raccontare i propri territori e incontrarsi, trovando linee comuni e nuovi spunti. “Ci siamo incontrati, c’è stata la gioia di stare insieme e di imparare gli uni dagli altri”. Per don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, il bilancio del convegno gradese è positivo: “Torniamo a casa con tante diverse consapevolezze. La prima riguarda la scelta di abitare nei confini, intesi come luogo di contatto e di incontro, come crocevia, che riguarda ciascuno di noi: stare nei nostri limiti ci custodisce, custodisce la nostra identità e ci permette di diventare artigiani di pace. Nei confini si incontra l’altro, si incontra chi è diverso da noi e si impara a vedere gli altri come una risorsa, non come una minaccia. Dobbiamo allontanare da noi la paura della diversità che probabilmente è una delle più grandi povertà di questo tempo”.
Il sogno europeo
“L’altra grande consapevolezza è il voler fare la propria parte, non soltanto nell’assistere e sostenere persone che attraversano i confini, ma soprattutto per riscoprire quel mandato di dare voce a chi non ha voce e rilanciare il tema dei diritti: il diritto alla cittadinanza, al poter vivere dignitosamente ed essere in grado di costruire il proprio futuro”, continua don Marco Pagniello. Tutto questo, secondo il direttore di Caritas italiana, è possibile se viviamo il confine come luogo in cui riusciamo a connettere le varie realtà: “Quello che accade oggi in Italia a volte ha radici distanti e dobbiamo riuscire a connettere il locale con il globale. Non è una cosa nuova, ma noi la rilanciamo. È importante sapere quello che accade nel mio quartiere, ma avendo uno sguardo un po’ più aperto al mondo. Ripartendo anche dal cosiddetto sogno europeo che non vogliamo mettere da parte, anzi vogliamo spingere sull’idea di un’Europa unita che non si divide di fronte alle grandi sfide e che rimette al centro la dignità delle persone”. Sfide che si declinano sui vari progetti che Caritas Italia, insieme a Caritas Europa, porta avanti: il tema del lavoro povero o delle migrazioni, per esempio: “In questo caso l’Europa guarda con molta attenzione alla nostra esperienza con i corridoi umanitari. Il confine credo che per noi sia anche l’occasione per poter rilanciare alcune nostre questioni come la non violenza, la pace, la risoluzione dei conflitti, la difesa della legge 185. Siamo chiamati soprattutto a formare le nostre coscienze e non limitarci. È un richiamo all’unità tra l’essere e il fare: a volte è più facile fare delle cose che essere, serve una coerenza che porti a esprimere chi siamo”.
Le storie dei territori
Tante storie e tante testimonianze provenienti da tutta Italia: anche questo significa oltrepassare i confini e sperimentare la convivialità delle differenze. “Le Caritas del nord del Paese apparentemente hanno più risorse rispetto a quelle del sud: quest’ultime vivono sicuramente una situazione particolare, ma aiutano a riscoprire, ad esempio, la bellezza di una Chiesa che può contare ancora su numeri che a volte le realtà settentrionali non hanno”. Ricchezza di esperienze, di volontariato: “Uno degli aspetti più belli è avere la possibilità di toccare con mano la bellezza delle nostre chiese, quanto siamo capaci di fare, con poco o con tanto, mettendo al centro il bene dell’altro. Il convegno diventa, poi, l’immagine concreta di tutta questa bellezza. Ci sono tanti sacerdoti che con le loro parrocchie mettono in pratica ogni giorno quell’accoglienza che permette di avviare nuovi processi di inclusione: senza di loro questo convegno sarebbe un semplice parlarci addosso”.
Confini da superare
Don Marco Pagniello spiega, poi, quali sono gli obiettivi per il futuro di Caritas Italia: “Il primo confine da superare è una sorta di autoreferenzialità, dovremmo sempre di più saper fare e saper essere insieme agli altri: costruire reti, alleanze all’interno della Chiesa e fuori. Per cambiare concretamente non dobbiamo essere soli”. Un’altra grande sfida è creare consapevolezza nelle persone: “Mettere su un centro di accoglienza per i migranti, in questo momento, non è solo un’esperienza positiva solo per chi viene accolto; quell’esperienza diventa possibilità per tanti volontari, diventa l’occasione non solo di fare qualcosa di buono, ma anche di mostrare alle persone la realtà di questi migranti in cammino. Dobbiamo far sì che le nostre opere non siano soltanto risposte concrete ai bisogni, ma siano l’occasione per fare cultura, per far crescere consapevolezza, per sensibilizzare più persone possibile sulla verità delle cose”. Con un messaggio, quello del Vangelo, che secondo don Marco deve essere sempre centrale: “Caritas italiana è nata come organismo pastorale per aiutare tutta la comunità, non una parte, a vivere il Vangelo della carità. Questa è un’altra grande sfida che abbiamo sempre avuto, ma che oggi come mai deve essere rimessa al centro.