Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La follia non esiste! La follia è il calcio, perché è lo sport più bello e perché l’esperienza più bella è giocare con la maglia azzurra
E c’è da crederci se a raccontarlo sono i calciatori del progetto ‘Crazy for football’, che il sogno di vestire la maglia della Nazionale l’hanno vissuto per due volte: la prima in Giappone nel 2016, la seconda a Roma, nel 2018, per la Dream World Cup, i campionati del mondo, dove a vincere è stata l’Italia, tuttora campione in carica. Il progetto della Nazionale italiana di calcio a 5 di persone con problemi di salute mentale, riconosciuta dalla Figc, nasce a Roma nel 2016, grazie alla tenacia e alla convinzione della potenza terapeutica dello sport da parte dello psichiatra Santo Rullo, al coinvolgimento di Enrico Zanchini, l’allenatore, e dell’ex pugile, campione del mondo, Vincenzo Cantatore.
Il cammino di Crazy for football
“Crazy for football”, il film che andrà in onda lunedì su Rai 1, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, con protagonisti, tra gli altri, Sergio Castellitto e Max Tortora, segue il documentario, vincitore del David di Donatello nel 2017, realizzato da Francesco Trento e da Volfango De Biasi, quest’ultimo regista anche del film, il cui racconto parte dalle selezioni per la squadra e arriva sul campo di calcio di Osaka, per i mondiali per pazienti psichiatrici. I protagonisti del progetto sono persone affette da patologie psichiatriche certificate, provenienti dai centri di salute mentale di tutta Italia. Un esperimento sociale che, a detta dei suoi protagonisti, ha lo scopo di ‘portare avanti le conquiste della legge Basaglia, tra i cui obiettivi primari vi era quello del reinserimento sociale dei pazienti che hanno subìto trattamenti psichiatrici’.
Il sogno della maglia azzurra
“Tutte le persone che hanno giocato a pallone hanno sognato di vestire la maglia azzurra”, racconta a Vatican News lo psichiatra Santo Rullo. “Le persone con problemi di salute mentale, purtroppo, vincono un altro scudetto, che noi chiamiamo stigma, un marchio di cattiva qualità, perché si vergognano di vivere quello che vivono, perché la società tende ad aiutarli ad emarginarsi. Sognare di rivestirsi della luce della maglia azzurra e di quello scudetto, che invece è un marchio di buona qualità, per noi è una cosa straordinaria. Quando li abbiamo visti sul campo con l’inno nazionale, con quella maglia …vabbè, ci siamo pizzicati per dire: sì, non è un sogno, ci siamo, ce l’abbiamo fatta!”
Il calcio per tornare alla società
I sogni, per chi è paziente psichiatrico, spesso diventano un incubo, perché è il tentativo dei malati di combattere ciò che non accettano: il confronto con le emozioni. “Le emozioni – prosegue lo psichiatra – non sono sempre belle, ma indicano la strada per trovare la soluzione. La strada del chiudersi dentro la stanza non è quella giusta, perché trasforma i propri pensieri in realtà, quando invece la realtà è fuori dalle stanze, sta nella società e, per noi, sta su un campo di calcio”. È stato quindi importantissimo riportare i ragazzi su quegli stessi campi, fargli vivere il momento interrotto all’inizio delle loro patologie, che hanno messo un punto alla socialità o alla scuola di calcio.
L’esempio vincente della Figc
Sono i ragazzi stessi, nel documentario, a raccontare la difficoltà dell’avere contatti fisici con il prossimo, che però scompare sul campo di calcio, lì la relazione cambia. “Sul campo vengono aggirati l’aspetto verbale e quello del pensiero, il corpo riprende il contatto con la mente, si risintonizza, ed ecco che è più facile anche con gli altri”. Questa ripresa di contatto con la mente, diviene ripresa di contatto, raccontano loro stessi, anche con la memoria emotiva, di quando non erano malati. “Stiamo parlando di disturbi funzionali, di persone che hanno cominciato ad avere problemi ad un certo punto della loro vita. I familiari ci raccontano: mio figlio, era normale, mio figlio ha preso 60 alla maturità, mio figlio aveva la ragazza, aveva tanti amici, improvvisamente me lo sono ritrovato sul letto, isolato da tutto. È quella ripresa di contatto emotivo che va riattivata, attraverso interventi che possono essere farmacologici, psicologici, ma anche psicosociali. L’importante è rendersi conto che il miglior trattamento psichiatrico è fatto dell’integrazione di tutto”. Di qui l’avvertimento di Rullo: “Guai a pensare, soprattutto le istituzioni, che basta un intervento sanitario e la situazione si risolve, no! Ci vuole una integrazione e la partecipazione della società civile”. Ed ecco l’importante esempio dato dalla Federazione italiana gioco calcio, che ha riconosciuto il progetto, “segno che la società civile, quando viene chiamata alla propria responsabilità, c’è e non dobbiamo dimenticarci di chiamarla”.
Il Papa: i disturbi mentali non vengano discriminati
Non si lascino soli quanti soffrono di disagio mentale, era stato l’appello del Papa dello scorso 10 ottobre, Giornata mondiale della Salute Mentale, occasione per Francesco di “ricordare i fratelli e le sorelle affetti da disturbi mentali e anche le vittime, spesso giovani, di suicidio”. Il Papa aveva quindi chiesto di non lasciare sole queste persone, di non discriminarle, ma di accoglierle e sostenerle. La persona che si isola manda un messaggio agli altri: io non ho bisogno. La società, invece, spiega ancora Rullo, “deve cercare di sintonizzarsi con quel bisogno, perché non è un bisogno di isolamento, quanto di proteggere la propria sensibilità”. Ecco che quindi, accanto alle giuste cure farmacologiche e biologiche, e alle terapie di vario genere, la persona ha bisogno di “relazioni con gli amici, con i parenti e, soprattutto, nei momenti di difficoltà, dovrà rientrare in connessione con il proprio tessuto sociale”.
Prossimo sogno, il mondiale in Qatar
Anche durante il lockdown imposto dalla pandemia di Covid, la squadra non si è fermata, seppur attraverso solo il contatto visivo, gli allenamenti non sono mai stati interrotti, e ora le selezioni sono riprese. Dopo l’ultima, a Roma, ve ne sarà una a Bari, il 6 novembre, e poi una successiva nel nord Italia, perché ora da inseguire c’è un altro sogno, forse più folle del primo: programmare un terzo mondiale, in Qatar, in contemporanea con quello FIFA, nel 2022. “Stiamo tentando di convincere la Federazione, è un sogno che tenteremo di realizzare – conclude Rullo – sarebbe veramente una cosa molto bella, molto bella, e anche molto folle! Per cui ci crediamo fortemente”.