Becciu si difende su Londra, Sardegna, Pell e Marogna: “Tutte accuse infondate”

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Dai rapporti con la manager Cecilia Marogna e con monsignor Alberto Perlasca, ai bonifici in Australia e i dettagli sulla compravendita del Palazzo di Londra, fino alla fatidica udienza con il Papa del 24 settembre 2020 in cui perse i diritti del cardinalato. È durata oltre due ore e mezza la lettura della dichiarazione spontanea del cardinale Angelo Becciu alla quattordicesima udienza del processo in Vaticano per presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. Udienza, presieduta da Giuseppe Pignatone, che si è aperta con la notizia che Perlasca si è costituito parte civile. A rappresentarlo sarà l’avvocato Angelo Alessandro Sammarco.

Dichiarazione spontanea di Becciu

Seduto al centro dell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani, con in mano una cartellina di pelle blu, il porporato – al secondo interrogatorio – ha voluto offrire “nel rispetto della verità, dichiarazioni utili a comprendere i fatti”. Prima, però, ha ribadito con forza la sua “assoluta innocenza”, come pure il rammarico per essere stato esposto a una “gogna pubblica di proporzione mondiale”. Dicendosi “dilaniato da un dissidio interiore” tra la volontà di difendersi e “la dignità sacerdotale che mi porta a non sbandierare il male compiuto da altri”, il cardinale dalle 10.05 alle 12.35, senza interruzione, si è soffermato su ognuno dei capi di imputazione.

I bonifici in Sardegna

Anzitutto Becciu è tornato sulla vicenda Sardegna, quindi i bonifici alla Caritas di Ozieri e alla cooperativa Spes, di cui è socio il fratello Tonino. Proprio del familiare, il porporato ha contestato che fosse “fatto passare come faccendiere”, laddove si tratta di un uomo che si è speso tanto per i poveri e la comunità. Poi ha rievocato il momento in cui “per la prima volta” gli furono rivolte tali accuse, cioè l’udienza con il Papa di fine settembre 2020, al termine era uscito dimissionario. “Il Santo Padre – ha detto Becciu – mi disse che in seguito ad indagini svolte ad hoc, gli era stato riferito che le somme dell’Obolo di San Pietro da me inviate alla Caritas della mia diocesi di Ozieri erano servite ad arricchire i miei fratelli, in particolare mio fratello Tonino. Mi aggiunse pure che lo addolorava che un settimanale italiano avesse già la notizia di questa grave accusa e che da lì a poco sarebbe uscito con un articolo sull’argomento”.

L’udienza con il Papa del 24 settembre 2020

Il cardinale, ha spiegato in aula, rimase “senza parole, tanto era assurda ed infondata quell’accusa”. “Lo storno dei 125 mila euro era l’unica accusa che mi faceva. Il Santo Padre mi disse espressamente che non ne aveva altre. Preso atto di tale accusa, seppure certo della sua infondatezza, per amore della Chiesa considerai quindi necessario, con immenso dolore, presentare le dimissioni dall’incarico che ricoprivo, quello di prefetto”. Da lì, la sua vita fu “sconvolta”: “Fui sbattuto sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo; privato di ogni ufficio ecclesiastico; relegato ai margini della Curia e della Chiesa”. Il cardinale ha detto di continuare a chiedersi ancora oggi “perché sono state riportate al Papa queste false accuse”, creando nella Chiesa “uno scandalo di inaudita gravità”.

Gli investimenti della Segreteria di Stato

“Infamanti”, per Becciu, sono anche le accuse sugli investimenti della Segreteria di Stato: la carenza di legittimazione a disporre delle finanze interne e l’uso dell’Obolo di San Pietro per finalità diverse da quelle caritative. “Avrei abusato dei miei poteri, non per lucro personale ma per far arricchire persone a me sostanzialmente sconosciute”, ha affermato. “Tutte accuse totalmente infondate”.

Perlasca e l’indagine che lo travolse

A lungo il porporato si è soffermato sulla figura di monsignor Alberto Perlasca, allora capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, considerato il “testimone chiave” del processo. “Tecnico di profonda esperienza e alta dedizione all’ufficio”, uomo di “massima fiducia”, ma anche personalità “irascibile e permalosa”, “geloso della propria autonomia”, con la grande ambizione di diventare nunzio apostolico, Perlasca ebbe sempre rapporti positivi col sostituto, fino all’indagine “che lo prostrò terribilmente”.

Il monsignore finì “in preda a una profonda solitudine” e alla “grande amarezza” di essere stato rimosso dall’incarico in Segreteria di Stato. Al cardinale chiese aiuto per difendere la sua posizione e poter incontrare il Papa. Udienza che avvenne ma che non migliorò il suo umore. Tanto che in un drammatico sms annunciò di volersi suicidare, gettandosi dalla sua stanza. “Unica soluzione possibile, a suo dire, per uscire da una situazione che non gli lasciava possibilità di dimostrare la sua innocenza”. Becciu allertò diverse persone, tra cui i gendarmi, e si recò personalmente a Santa Marta, dove Perlasca risiedeva. Al sacerdote, quella sera fu somministrato anche un sedativo. In aula Becciu ha detto di essere stato sempre a fianco al suo collaboratore che infatti, dopo l’estate, lo invitò a cena “per sdebitarsi dell’assistenza premurosa”. Quella sera, però, trovò “un uomo diverso, molto strano e suscettibile”. “Dopo quella cena si allontanò da me”.

Una “figura inquietante”

Ad aggravare la situazione l’entrata in scena di una “figura inquietante”: una donna che diceva di chiamarsi Genevieve Putignani, al secolo Genoveffa Ciferri, che si mise in contatto con Becciu come persona vicina a Perlasca e, con toni bruschi, chiese “di parlare col Papa per difendere la sua innocenza”. La donna, che millantava essere un ex agente dei Servizi segreti, iniziò a tempestare il cardinale di telefonate, accusandolo di non aver fatto nulla per il monsignore. Un giorno si presentò nel suo appartamento, “beatificando” Perlasca, rimproverando Becciu ed esprimendo “apprezzamenti non benevoli verso il Papa”. Il cardinale si spazientì e la mandò via. Lei uscì con una minaccia: “Se lei non farà di tutto per restituire onore e impiego a Perlasca, perderà la sua berretta cardinalizia”. Dopo un viaggio a Londra, scrisse a Becciu che si sarebbe dovuto “procurare legali sul suolo inglese e italiano”. E telefonando all’altro fratello del porporato, Mario, “gli disse di prepararsi a visitarmi in carcere”. “Il 10 settembre disse che tra il 15 e il 30 del mese avrei perso il cardinalato. Lo persi il 24 settembre”, ha detto Becciu oggi, rivelando tra l’altro che, sulla base di indagini condotte dai suoi legali, scoprì che Genoveffa Ciferri nel 2017 aveva donato a Perlasca delle proprietà immobiliari, in cambio di una “adeguata assistenza morale e spirituale” e della assicurazione di “celebrare o far celebrare Messe gregoriane in suffragio o post mortem per cinque anni come da tariffario diocesano”.

La Marogna competente

Un’altra donna è stata protagonista della dichiarazione di Becciu, Cecilia Marogna, la manager di Cagliari (anche lei imputata) presentatasi a lui come esperta di intelligence e aspirante collaboratrice della Santa Sede per liberare religiosi rapiti in territori difficili. Missione per cui il cardinale le avrebbe fornito ingenti somme di denaro che però la donna avrebbe poi destinato ad acquisti “incompatibili con la finalità impressale dalla Segreteria di Stato”. Accusa, anche questa, respinta categoricamente da Becciu. La Marogna conobbe il cardinale nel 2016 e lui ne ebbe subito una “buona impressione”, vedendola particolarmente competente, con buone referenze e conoscenze in Vaticano e tra i Servizi Segreti italiani. La “signora” si propose come intermediatrice per la liberazione di suor Gloria Cecilia Navaes Goti, francescana colombiana rapita in Mali nel 2017 e liberata nell’ottobre 2021. “Mi riferì di un’agenzia inglese di intelligence, Inkerman, con la quale si sarebbe potuta interfacciare proficuamente attivandosi per tutte le operazioni necessarie alla liberazione di suor Gloria”. Becciu informò il Papa che “rimase contento” e “intese immediatamente la necessità di non esporre il Vaticano ad una inutile, ed anzi dannosa, pubblicità”. “Mi diede l’autorizzazione a procedere e, alla mia domanda esplicita se avessi dovuto parlarne con il Comandante della Gendarmeria, mi rispose di no, invitandomi ad assumermi in prima persona la responsabilità dell’iniziativa e aggiungendo che la questione doveva rimanere riservata tra Lui e me”, ha raccontato Becciu. La suora fu effettivamente liberata il 21 ottobre 2021. A Marogna furono disposti dei versamenti su conti di volta in volta diversi. Le spese erano finalizzate alla liberazione della suora, ma secondo l’accusa la manager impiegò buona parte di quei soldi per acquistare abbigliamento, accessori e mobili di lusso.   

Investimento con Falcon Oil

Due punti ancora ha voluto affrontare Becciu. Anzitutto l’investimento con la Falcon Oil, società petrolifera in Angola, di proprietà dell’imprenditore Antonio Mosquito, suo “amico” ai tempi della nunziatura nel Paese africano. Mosquito, “benefattore della Nunziatura”, propose l’acquisto del diritto di sfruttamento di giacimenti del pozzo 15, di proprietà anche dell’Eni. Becciu segnalò in Segreteria di Stato la possibilità dell’investimento: “Il mio intervento si limitò soltanto alla segnalazione della semplice proposta ed in più occasioni caldeggiai Perlasca ad eseguire con il massimo rigore tutti gli accertamenti necessari a tutelare la Santa Sede da ogni possibile rischio finanziario”. Perlasca vide scarse garanzie e la trattativa non andò in porto. Becciu ha assicurato di non aver protestato perché teneva più al “bene superiore della Santa Sede”  che a qualsiasi “interesse personale o amicizia”.

Il caso Pell

Il secondo punto è invece la vicenda dei bonifici inviati in Australia, pari a circa 2,3 milioni di dollari australiani, nel periodo del processo per abusi contro il cardinale George Pell. Alcuni media due anni fa suggerirono l’ipotesi che l’allora sostituto avesse finanziato false testimonianze a danno del cardinale con il quale ebbe diverse divergenze in Curia. “Vergognosa accusa”, “ignobile e insopportabile illazione”, ha esclamato oggi Becciu, leggendo una lettera di Parolin che affermava che la somma servì per il pagamento del dominio Internet “.catholic”. Da un carteggio riprodotto in aula, Becciu ha affermato che, tra l’altro, fu lo stesso Pell con una lettera del 2015 ad autorizzare tale pagamento. “Mi spiace che sia caduto in questo equivoco e smemoratezza”.

L’interrogatorio del Promotore di Giustizia

Il resto dell’udienza, dalle 13.50 alle 16.25, è stato occupato dall’interrogatorio del Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi. Quasi tre ore caratterizzate da una forte tensione tra il Promotore e gli avvocati della difesa, tanto da far spazientire Pignatone che ha esclamato: “Basta! Sono stanco dei vostri battibecchi” e ha chiesto cinque minuti di pausa “per calmarsi tutti”.

A suscitare le rimostranze dei legali, il fatto che Diddi abbia domandato al porporato di spiegare meglio il colloquio con il Papa del 24 settembre, visto che molti dettagli erano già ricostruiti negli atti di citazione contro il giornale L’Espresso “in maniera analitica, minuto per minuto”. Anche Pignatone ha mediato affermando: “Questo è un processo scritto. L’interesse è quello di arrivare alla verità e non di fare polemiche”. E Becciu infatti ha risposto, aggiungendo altri particolari come il fatto che il Papa gli disse che dall’indagine della Guardia di Finanza, dopo che il cardinale aveva spedito i soldi (allora 100mila euro) a Ozieri, i magistrati vaticani avevano visto “che la manina di suo fratello Tonino ha tolto i soldi”. Il Papa aveva avuto saputo anche di “un giornale che sta per uscire con una notizia” e per questo disse: “Davanti all’opinione pubblica devo prendere le distanze da un mio collaboratore che è accusato di aver rubato soldi”. Becciu non seppe rispondere ma, una volta a casa, telefonò al vescovo di Ozieri e al fratello chiedendo dove fosse quel denaro. Entrambi confermavano che erano fermi sul conto della Diocesi.

La conferenza stampa dopo le dimissioni

Il giorno dopo l’udienza, Becciu convocò i giornalisti per una conferenza stampa in un istituto a due passi da San Pietro. Un gesto letto da molti come uno sgarbo allo stesso Pontefice. Il cardinale, a richiesta del Promotore, si è giustificato dicendo di aver voluto tenere la conferenza perché dopo il comunicato della Sala Stampa vaticana fu “assillato da tante telefonate” di “giornalisti che pensavano che avessi dato le dimissioni per crimini sessuali”. “Mi ha dato un fastidio enorme, mi ha innervosito molto. Non volevo essere accusato di quei delitti”.

Carlino e Milone

Becciu ha poi chiarito il suo legame con monsignor Mauro Carlino, anch’egli imputato: per lui sempre e solo un segretario. Mentre ha definito i rapporti con l’ex revisore generale dei conti, Libero Milone, “molto gentili”. Sul “destino” del revisore, che ha cessato l’incarico in Vaticano nel 2017 (lui dichiarò contro la propria volontà), il cardinale non ha voluto rispondere “per amore del Santo Padre”. 

Contributi speicali

Molte domande del Promotore aggiunto anche sulle competenze del sostituto, che ha la facoltà di agire in autonomia, e sugli investimenti della Segreteria di Stato e i “contribuiti speciali” del Papa, il quale spesso indicava realtà come scuole, ospedali, associazioni o enti a cui indirizzare delle somme di beneficenza. Diddi in aula ha esposto un grafico che elencava tutti i contributi versati dal Dicastero alle Diocesi negli anni in cui Becciu era sostituto, tra cui Buenos Aires, Carpi, Rieti, Norcia, Bucarest. “Ehh, Ozieri la prima di tutte in sette anni. Ne vado orgoglioso”, ha esclamato il cardinale. Ha poi ribadito di essere stato sempre molto “severo” sul fatto che le risorse dell’Obolo di San Pietro non fossero indirizzate a finalità diverse da quelle della carità. E ha anche detto che la Segreteria di Stato era una sorta di “torre d’avorio”, con una sua sovranità sulle finanze dove nessuno poteva entrare. Così, almeno, è sempre stato e ha continuato ad essere anche dopo la nascita dei veri organismi economici istituiti da Papa Francesco, in primis la Segreteria dell’Economia. L’allora prefetto Pell “scrisse un regolamento da cui sembrava che avesse il potere di entrare anche nella gestione delle finanze della Segreteria di Stato, ma fu un documento molto equivoco tant’è che un anno dopo il Papa istituì una nuova commissione con De Paolis e fece un motu proprio che regolava le competenze della Spe riducendole solo a vigilanza”.

Credit Suisse, Lombard e Mincione

Infine è stato chiesto conto a Becciu del cosiddetto investimento “Lombard”, cioè il trasferimento di tutta la disponibilità economica della Segreteria di Stato in un unico conto per usufruirne degli interessi. Il revisore in un rapporto scrisse che nel 2013 tutti i depositi furono trasferiti nella Credit Suisse. Perché? Il cardinale ha detto di non ricordare né sapere le modalità dell’operazione, progettata da “addetti” come Fabrizio Tirabassi, il finanziere Enrico Crasso, consulente della Segreteria di Stato dagli anni ’90, con l’assenso di Perlasca. Credit Suisse “sembrava una banca che desse affidamento”. La medesima banca propose il nome del broker Raffaele Mincione (anche lui imputato) come esperto nel settore petrolifero per guidare la trattativa con Falcon Oil. Mincione – del quale la Segreteria di Stato chiese informazioni alla Gendarmeria a seguito di articoli poco “laudativi” sul suo conto – suggerì poi l’investimento sul palazzo di Sloane Avenue, a Londra. Affare passato poi al broker Gianluigi Torzi. Il resto è storia più o meno conosciuta sul quale il procedimento giudiziario vuole far luce. Anche se, ha detto Pignatone, “siamo ancora alle periferie del processo”.