Paolo Ondarza – Città del Vaticano
«Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 21-23). La voce di Dio Padre erompe dalle mura della Cappella degli Scrovegni di Padova. Guardando la parete nord del sacello, affrescato da Giotto fra il 1303 e il 1305 su commissione del banchiere padovano Enrico Scrovegni, scorrono in rassegna le immagini della vita pubblica di Gesù. L’occhio si sofferma su una delle trentasei scene dipinte su tre registri dal maestro toscano nei circa 900 metri quadri di superficie muraria del piccolo edificio intitolato a Santa Maria della Carità: il Battesimo di Gesù.
Chiaroscuro, il blu e il verde
Il pennello dell’artista medievale illustra ogni dettaglio dell’episodio evangelico contenuto in pochi versetti: “Giotto ci affascina in questo dipinto giocato sul chiaroscuro, sull’antitesi cromatica del blu del cielo nella parte superiore e il verde dell’acqua del Giordano in quella inferiore”, spiega lo storico dell’arte Roberto Filippetti, autore del libro “Giotto. La Cappella degli Scrovegni”, edito da Itaca. Anche il colore ha un significato: “l’azzurro ricorda che siamo fatti per il cielo, il verde è la speranza della resurrezione”.
Il volto del Logos
Uno schema ad imbuto, delimitato dalle quinte costituite dalle rocce laterali, fa “scivolare lo sguardo nella parte centrale del riquadro dove in piedi, dentro l’acqua, sta Gesù”. È nudo, ha le gambe incrociate. Sopra di Lui si intravedono il becco e i raggi dorati della colomba dello Spirito Santo. Ancora più in alto nel gran chiarore bianco si staglia una piccola figura con un libro in mano protesa verso Cristo: è Dio Padre. “Siamo di fronte ad una perfetta manifestazione trinitaria verticale. I dipinti giotteschi rivelano il mistero del Verbo, Logos – il libro – fatto carne. “Se nelle scene precedenti il Battesimo Giotto ha rappresentato Dio con una mano protesa dall’alto verso la terra,” – osserva Filippetti – “da questo momento il Signore ha un volto. Non è più una legge o una serie di regole, ma è Persona: «chi vede me, vede il Padre» (Gv12,45)”.
Epifania trinitaria
In senso orizzontale il movimento dell’occhio è guidato dalle aureole: quelle dei tre angeli a sinistra, di Gesù e di Giovanni Battista al centro e di Andrea a destra. Accanto all’apostolo c’è un discepolo non identificato e privo di nimbo. Vicino al Salvatore, sulla sinistra, oltre la trasparenza dell’acqua si intravede un pesciolino. “È proteso, incurvato, quasi incuriosito, con la bocca semiaperta: è colmo di stupore, come il dromedario dipinto da Giotto nella scena dell’Adorazione dei Magi. Anche il battesimo del Signore infatti è un’epifania: un’epifania trinitaria”.
Segno invisibile e profondo
A sinistra di questa scena, in una delle dieci formelle quadrilobate presenti nella Cappella degli Scrovegni, è dipinta l’immagine della circoncisione presso gli Ebrei: un sacerdote del Tempio è fissato da Giotto nell’attimo in cui sta per intervenire con il bisturi su un neonato maschio: “Se l’appartenenza al popolo ebraico è evidente nella carne del bambino, l’appartenenza al popolo cristiano è il segno impalpabile dell’acqua del Battesimo che non lascia tracce sul corpo, ma trasforma in profondità”.
La speranza nel Risorto
Bianco, rosso e verde incorniciano i dipinti giotteschi. Sono i colori che il contemporaneo Dante attribuisce nel XXX Canto del Purgatorio alle vesti di Beatrice. Simboli rispettivamente della fede, dell’amore oblativo e della speranza. “L’acqua verde – conclude Roberto Filippetti – è la speranza che battezzati in Cristo Risorto, anche noi risorgeremo”.