Quindici agenti di polizia, tre civili e un sacerdote ortodosso: questo il bilancio definitivo degli attacchi compiuti in serata da terroristi nella repubblica russa a maggioranza musulmana. Non sono ancora pervenute rivendicazioni ma torna lo spettro del terrorismo di matrice islamista nel Caucaso
Marco Guerra – Città del Vaticano
Triplice attacco ieri, 23 giugno, nella repubblica russa del Daghestan. Il primo è avvenuto a Derbent, la più antica città russa, dove un gruppo di uomini armati ha sparato all’interno di una sinagoga e due chiese ortodosse, provocando un incendio nei due edifici religiosi. Contemporaneamente è stata attaccata una postazione della polizia stradale nel capoluogo Makhachkala mentre un terzo attacco ha colpito un’auto dalla polizia a Sergokala. Tra le 19 vittime, in maggioranza forze dell’ordine, anche un sacerdote ortodosso di 66 anni e un guardiano della chiesa. Sei invece sono i terroristi uccisi.
Solidarietà di Cina e Iran
Lo statunitense Institute for the study of war sostiene che probabilmente ci sarebbe il ramo del Caucaso settentrionale dell’Isis dietro questa azione. Finora, tuttavia, non ci sono state né rivendicazioni né piste indicate dalle autorità russe, ma l’ombra si allunga sul terrorismo islamista. Il Cremlino non ha paura di un ritorno alla situazione degli anni 2000 ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. “Ora la Russia è diversa, la società è assolutamente consolidata e tali manifestazioni terroristiche criminali, come quella che abbiamo visto ieri in Daghestan, non sono supportate dalla società né nella stessa Russia né in Daghestan”, le sue parole riportate dalla Tass. Sempre Peskov ha espresso poi sdegno per il mandato cordoglio da parte dei Paesi Occidentali. Condanne arrivano invece dalla Cina e dall’Iran.