Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Un appello accorato “alle parti in conflitto” in Siria, perché “manifestino segni di buona volontà, così che possa aprirsi uno squarcio di speranza per la popolazione stremata”. Ma anche l’auspicio di “un deciso e rinnovato impegno costruttivo e solidale della comunità internazionale”, in modo che “deposte le armi, si possa ricucire il tessuto sociale e avviare la ricostruzione e la ripresa economica”.
Una delle catastrofi umanitarie più gravi del nostro tempo
Questo è l’ultimo intervento di Papa Francesco, dopo la preghiera dell’Angelus, alla vigilia del decimo anniversario dell’inizio del “sanguinoso conflitto in Siria, che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo”. Il Papa ricorda le sofferenze dell’ “amata e martoriata Siria”:
Un numero imprecisato di morti e feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparsi, distruzioni, violenze di ogni genere e immani sofferenze per tutta la popolazione, in particolare per i più vulnerabili, come i bambini, le donne e le persone anziane.
E chiede a tutti di pregare il Signore “perché tanta sofferenza, nell’amata e martoriata Siria, non venga dimenticata, e perché la nostra solidarietà ravvivi la speranza”. Lo fa subito con i fedeli in Piazza San Pietro, recitando l’Ave o Maria.
L’ultimo appello dall’Iraq, nell’incontro interreligioso di Ur
La Siria, che si appresta a vivere il decimo anniversario del conflitto, scoppiato il 15 marzo del 2011, lamenta un bilancio pesantissimo: oltre 400 mila vittime, 12 milioni di sfollati e 12,4 milioni persone, pari al 60 per cento della popolazione, colpite dall’insicurezza alimentare. Il Papa, poco più di una settimana fa, il 6 marzo, in Iraq, nell’incontro interreligioso nella Piana di Ur, ha invitato tutti i rappresentanti delle fedi a chiedere nella preghiera che tutto il Medio Oriente, in particolare “la vicina, martoriata Siria”, passi “dal conflitto all’unità”, percorrendo la via della pace con “condivisione e accoglienza”.
La preghiera per la Siria del 7 settembre 2013
Ricordando poi ai giornalisti le sofferenze del popolo siriano sul volo di ritorno a Roma, Francesco aveva ringraziato in particolare i Paesi generosi, tra cui il Libano, che ricevono i migranti ed era tornato con la memoria alla veglia di preghiera per la Siria del 7 settembre 2013. Aveva ricordato “quel pomeriggio di preghiera in Piazza San Pietro, c’era l’adorazione del Santissimo, si pregava il rosario… Ma quanti musulmani, quanti musulmani con il tappeto pregavano con noi per la pace in Siria, per fermare i bombardamenti, in quel momento in cui si diceva che ci sarebbe stato un bombardamento feroce. La porto nel cuore la Siria”.
Nel 2011, dalla “primavera araba” alla guerra civile
L’inizio del conflitto nell’”amata e martoriata Siria”, come il Pontefice la chiama spesso, è datato 15 marzo 2011, ma alla fine dell’estate il conflitto subisce una escalation destinata a farlo diventare uno dei peggiori al mondo. Questo per il numero di vittime, i Paesi coinvolti e per le ripetute violazioni dei diritti umani. Il 15 marzo, con l’arrivo della “primavera araba” a Damasco, decine di migliaia di manifestanti scendono nelle piazze delle principali città siriane, chiedendo riforme, maggiori libertà, diritti. Vogliono un cambiamento rispetto ai decenni precedenti, quando a guidare il Paese era stato Hafiz al-Assad (dal 1971 al 2000) e, dopo la morte, il figlio Bashar al-Assad, l’attuale presidente siriano. Quest’ultimo, sembra sul punto di rispondere positivamente ad alcune delle richieste dei manifestanti, ma poi decide di troncare ogni forma di protesta.
La Russia con Assad, gli Usa contro le armi chimiche
Così, dalla fine dell’estate 2011, i siriani combattono tra di loro come mai prima d’ora. Una vera guerra tra insorti e regime: le comunità sociali, economiche e politiche locali si scontrano fra loro. A partire dal 2013 si registra una presenza significativa degli attori esterni nel conflitto siriano. Parallelamente, si sviluppa un settarismo sempre più marcato all’interno delle comunità sciite e sunnite. Il mondo non sta a guardare: da un lato la Russia sostiene il governo di Assad, dall’altro gli Stati Uniti minacciano di attaccare l’esercito siriano se farà uso di armi chimiche, come è accusato di aver fatto nell’attacco all’area ribelle di Ghuta, del settembre 2013.