Al via il processo per la morte di padre Hamel, martire nella fratellanza

Vatican News

Benedetta Capelli e Xavier Sartre – Città del Vaticano

“Vattene, Satana”. Forse pronunciate con un filo di voce, queste parole sono l’espressione di chi ha capito che si può essere vittima di un odio senza uguali solo perché si ama l’uomo e Dio. Padre Jacques Hamel le ha dette ai due assassini che infierivano sul suo corpo di uomo anziano e che lo avevano sorpreso mentre celebrava la Messa. Parole ripetute anche da Papa Francesco nelle varie occasioni in cui ha ricordato il religioso ucciso il 26 luglio 2016 a Saint-Étienne-du-Rouvray, presso Rouen.

Papa Francesco ricorda padre Jacques Hamel

Si apre il processo

Oggi a Parigi sarà celebrato il processo per quattro persone accusate di essere coinvolte nell’omicidio di padre Hamel. Si tratta di tre parenti dei due assassini, Adel Kermichel e Abdel-Malik Petitjean, colpiti dalla polizia intervenuta dopo l’uccisione del sacerdote sei anni fa. Jean-Philippe Jean Louis, Farid Khelil e Yassine Sebaihia sono accusati di associazione terroristica, sospettati di essere a conoscenza dei piani dei due assassini, di aver condiviso la loro ideologia o di aver cercato di unirsi al sedicente Stato Islamico in Siria. Il quarto imputato, Rachid Kassim, è accusato di complicità nell’omicidio e tentato omicidio di un parrocchiano che è stato ferito nell’attacco e che, secondo l’ordinanza del giudice istruttore, ha consapevolmente incoraggiato e facilitato l’atto dei due aggressori. Ma Rachid Kassim non sarà sul banco degli imputati perché considerato presumibilmente deceduto in un attentato in Iraq nel febbraio 2017.

“Giustizia e luce”

Padre Hamel, 85 anni, è stato il primo sacerdote cattolico ucciso in Europa dal sedicente Stato Islamico.Un assassinio avvenuto 12 giorni dopo l’attentato di Nizza, in cui morirono 86 persone, e otto mesi dopo gli attacchi di Parigi il 13 novembre 2015. Un susseguirsi di eventi che fecero precipitare la Francia in una spirale di terrore e violenza. L’assassinio di padre Hamel, racconta a Vatican News, monsignor Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, è ancora una ferita per tutta la diocesi. Si aspetta “giustizia per gli accusati” ma anche giustizia per le vittime, per padre Hamel e per le persone sequestrate nella chiesa al momento dell’attacco. “Questo processo – spiega monsignor Lebrun – è una tappa di un cammino di giustizia: giustizia umana e giustizia divina fatta soprattutto di misericordia. Siamo in un atteggiamento ambivalente perchè c’è la difficoltà e la grande sofferenza di tornare a vivere quanto accaduto ma c’è anche il ripercorrere quel dolore per le famiglie e i sacerdoti”.

Giustizia ma anche “luce”, è la richiesta dell’arcivescovo, su ciò che è successo, sulle “sue cause e forse anche su una via, sui modi per vivere meglio insieme. E’ in gioco il futuro per aiutare il nostro Paese, la nostra società, il nostro mondo ad evitare tali tragedie”. Il pensiero di monsignor Lebrun va anche alla comunità musulmana. “Siamo legati a loro che soffrono per lo stigma e per il dolore per quanto di irreparabile e di terribile è accaduto” ma continua il dialogo sui temi dell’amore della fraternità nella religione e sulla convivenza.

Quella tragica giornata

Monsignor Dominique Lebrun si è costituito parte civile nel processo come la famiglia del religioso e come Guy Coponet, il parrocchiano che si finse morto dopo essere stato pugnalato. Quel giorno, in chiesa c’erano sua moglie, deceduta in questi anni, tre suore di San Vincenzo de’ Paoli, una delle quali riuscì a fuggire potendo così dare l’allarme. La cronaca di quel 26 luglio racconta di un padre Hamel che cerca di lottare contro i suoi aggressori, di parole di lode contro i gesti di morte; di Guy Coponet costretto a filmare la scena con un telefonino consegnato da uno dei terroristi; della distruzione degli arredi della chiesa; di una finta cintura esplosiva che l’attentatore Kermiche si attaccò alla vita per far pensare ad un ultimo gesto. L’intervento della polizia mise fine al terrore di quell’attacco rivendicato poco dopo dall’Is.

Un martire di oggi

Papa Francesco aveva ricordato padre Hamel nella Messa di suffragio, celebrata il 14 settembre del 2016 a Casa Santa Marta, davanti ai familiari del sacerdote e ai pellegrini giunti dalla Normandia insieme al vescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun.

Padre Jacques Hamel è stato sgozzato sulla Croce, proprio mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace, è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione. Ma c’è una cosa, in quest’uomo che ha accettato il suo martirio lì, con il martirio di Cristo, all’altare, c’è una cosa che mi fa pensare tanto: in mezzo al momento difficile che viveva, in mezzo anche a questa tragedia che lui vedeva venire, un uomo mite, un uomo buono, un uomo che faceva fratellanza, non ha perso la lucidità di accusare e dire chiaramente il nome dell’assassino, e ha detto chiaramente: “Vattene, Satana!”.

Nel 2019 si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione di padre Hamel, i documenti ora sono presso la Congregazione delle Cause dei Santi che sta esaminando il dossier composto da più di 11.500 pagine e che comprende le audizioni dei testimoni, il racconto della vita del sacerdote ucciso e le sue omelie. Pochi mesi dopo la sua morte, monsignor Lebrun ha consegnato alla Chiesa di San Bartolomeo a Roma, nella quale sono conservate numerose reliquie di martiri, il suo breviario nel quale si trovano ricordi dei defunti, i santini delle comunioni e delle cresime dei bambini e dei ragazzi della sua parrocchia, delle ordinazioni sacerdotali delle persone che conosceva. Un breviario usato ma soprattutto consumato dalla forza della preghiera e dall’amore per Dio.