Come è cambiata la vita della società italiana dopo la pandemia e l’accesso di massa alla tecnologia digitale? Questo la domanda affrontata nell’evento del Festival della Comunicazione, organizzato dalla Famiglia Paolina e quest’anno ospitato dalla città siciliana per la sua diciottesima edizione. Tra i relatori monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, Francesco Belletti, presidente del Cisf e don Salvatore Bucolo, dell’ufficio pastorale delle famiglie
Michele Raviart – Catania
Due uomini distanti, ritratti in due cavalletti diversi, ma che riescono a comunicare tra loro attraverso un filo di spago che parte dalla bocca, luogo della parola e che collega mente e cuore. È l’opera scelta dai ragazzi dell’Accademia delle Belle arti di Catania a conclusione dell’evento “La parola in famiglia al tempo del digitale” del Festival della Comunicazione di Catania, che che si è tenuto alla Chiesa della Badia di Sant’Agata, parte della mostra “Da Francesco d’Assisi a Papa Francesco”.
Paglia: la lotta non è contro la tecnologia, ma contro l’individualismo
La parola, ha ricordato infatti monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita, è ciò che tiene legati i membri che riceviamo dopo la vita. Non a caso, spiega, molto spesso la prima parola proferita è legata alla famiglia ed è “mamma”. Cogliere questo aspetto relazionale della comunicazione, sottolinea Paglia, è essenziale in questa epoca in cui la tecnologia, soprattutto quella legata al mondo digitale, è diventata una parte ineludibile della vita quotidiana. Un aspetto non necessariamente negativo, sottolinea ancora l’arcivescovo, perché il rischio vero da combattere è quello dell’individualismo che l’uso di queste tecnologie può generare, con “gente che non parla e non comunica, perché non parla con il cuore”.
Belletti: vivere “on-life” tra reale e virtuale
L’obiettivo ha spiegato Francesco Belletti direttore del Cisf, il Centro Internazionale Studi delle Famigle, è vivere infatti “on-life”, coniugando mondo virtuale e mondo reale, come hanno imparato a fare le famiglie italiane durante il lockdown. La pandemia è stata infatti una sorta di “stress test” per 17 milioni di nuclei familiari con più di un componente. Due terzi di questi, secondo un analisi del Cisf, ha tratto un beneficio e un aiuto dall’utilizzo del digitale, mentre un terzo si è sentito isolato. Nell’insieme, qualsiasi famiglia, indipendentemente dal proprio reddito, ha speso 800 euro l’anno per beni digitali. A dimostrazione di quanto questi siano diventati essenziali e uno strumento di inclusione.
Bucolo: terza via tra permissivismo e divieto
“Non c’è un solo angolo della terra o una sola famiglia che non sia abitata dal digitale”, ha ribadito don Salvatore Bucolo, direttore dell’ufficio pastorale delle famiglie dell’arcidiocesi di Catania. “Non credo che quello del digitale sia un problema di strumento o di tecnologia”, ha affermato, sottolineando l’esigenza di una “terza via”, tra il permissivismo assoluto nell’uso dei device da parte dei bambini e il divieto totale. La questione fondamentale diventa quindi quella della formazione dei genitori, che spesso non sono all’altezza e non comprendono a fondo i rischi della rete. In questo senso, conclude don Bucolo, è anche compito della Chiesa quello di dare risposte, a chi cerca una luce.
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La mostra “Da Francesco d’Assisi a Papa Francesco” dell’Accademia delle Belle Arti di Catania alla Chiesa della Badia di Sant’Agata