A Illegio si inaugura la mostra 2023: “Carne, la materia dello spirito”

Vatican News

Dal 21 maggio al 22 ottobre 2023, nella Casa delle Esposizioni di Illegio (Udine), si potranno ammirare oltre 40 opere, alcune di artisti celebri e altre di autori tutti da scoprire, sul tema della carne quale dimensione fondamentale del nostro essere. “Il nostro tempo con la carne non ha un buon rapporto, o la trascura o la venera – dice don Geretti, il curatore – e questo perché non ne comprende più il significato spirituale”. Ed è questo che la mostra vuol raccontare

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Dal VI secolo a.C. al primo Novecento, in un viaggio affascinante tra 43 opere – diverse inedite e mai visibili al pubblico –, alcune firmate da artisti raffinati e tutti da scoprire, altre dai più grandi maestri della storia dell’arte. Basti citare Donatello, Canova, Peter Paul Rubens, Gerrit van Honthorst, Giambattista Tiepolo, Eugène Delacroix. 

“La risurrezione di Lazzaro” di Pieter Paul Rubens, Galleria Sabauda, Torino

Lo sguardo, nella mostra 2023 che si inaugura domenica 21 maggio nella Casa delle Esposizioni di Illegio, borgo montano del Friuli, in provincia di Udine, si concentra questa volta sulla carne, la materia dello spirito. “La carne, cioè  – si legge nella presentazione – come dimensione fondamentale del nostro essere, quella che ci dà sensibilità, concretezza, identità, collocazione nel tempo e nello spazio, tenerezza, sensualità, possibilità di aver cura gli uni per gli altri, ma anche fragilità, limiti, morte, attesa della futura vita completa”.

Non c’è dualismo tra carne e spirito

Spesso capita di pensare alla carne, alla realtà fisica, come a qualcosa del tutto diverso rispetto al mondo interiore e spirituale. Uno sguardo piu attento però, si legge ancora nella presentazione, “mette in crisi l’idea riduttiva della carne come materia bruta, totalmente esterna e in fondo vile” per affermare invece che essa “è una delle coordinate dell’essere, è il luogo dove puo accadere la vera reciprocità: gli altri oggetti del mondo stabiliscono legami o repulsioni, si scambiano energie e informazioni, ma non possono davvero sentirsi”. Privilegio della carne è proprio quello di sentire e attraverso questo di far prendere coscienza di se stessi e quindi di tutto il resto che è altro da sè. Di fronte a qualcuno, la carne reagisce sempre in qualche modo, ma la reazione può essere anche l’indifferenza, che ferisce perchè comunica che io non sono riconosciuto, o la riduzione della persona ad oggetto, come nel caso della pornografia o della spersonalizzazione della carne viva, come nei campi di sterminio. 

“Al cuore della fede cristiana sta la sconcertante affermazione del Prologo del Vangelo di Giovanni: “E il Verbo si è fatto carne”.”

Ci sono poi i limiti della carne, che è presente in un tempo e in un luogo precisi e non in altri, che sente continuamente fame, sete e sonno, che cambia, si ammalata e invecchia fino a morire. Avvertendo la carne dell’altro, può prendere forma la tenerezza e la cura in tutte le sue forme, rendendo concreto l’amore. Nella fede cristiana, che comincia con l’incarnazione del Figlio di Dio, c’è infine la prospettiva della risurrezione della carne, nell’ultimo giorno.

Geretti: una sfida avvincente e intrigante

“Mai come in questa epoca, che oscilla confusa tra l’idolo della carnalità esasperata e lo spettro di corpi degradati e ignorati e macellati, abbiamo bisogno di ritrovare la grazia della carne, il suo destino a diventare carezza e luce”, scrive nella presentazione alla mostra il curatore, don Alessio Geretti, indicandone in questa “destinazione” il messaggio. Nell’intervista a Vatican News scopriamo con lui l’attualità di questo percorso, in uma mostra che si potrà visitare fino al 22 ottobre 2023. 

Ascolta l’intervista a don Alessio Geretti

Vorrei chiederle prima di tutto il motivo della scelta del tema della carne, per l’esposizione di quest’anno ad Illegio, e come si colloca questa scelta nel tempo che stiamo vivendo…

È una sfida avvincente e intrigante quella della mostra di Illegio di quest’anno, che sta in pieno dentro lo sguardo cristiano sulla vita, sull’essere umano e sulla realtà. Uno sguardo che ha preso sul serio l’importanza della carne e della concretezza di ogni persona, fin dalla sbalorditiva affermazione che sta alla base della fede: “Il Verbo si è fatto carne”, fino a spingersi alla certezza che anche l’amore fraterno, se non raggiunge il prossimo nella sua carne, rimane un’espressione vaga o una farsa, ma non una cosa seria. Seria diventa quando si fa carità corporale: acqua per chi ha sete, cibo per chi ha fame e cure per chi è ferito ecc… Noi in quest’epoca, a volte viviamo una sciagurata trascuratezza della carne: assistiamo a manifestazioni di piazza solidali con questo e con quello, ma con persone che poi, tornate a casa, non salutano il vicino che abita alla porta accanto, o vediamo persone che pensano di poter entrare in contatto con Dio astrattamente, mentre il Signore ci sta aspettando nell’Eucaristia da mangiare, che ci raggiunge concretamente attraverso la Chiesa o attraverso un povero. Dall’altra parte, assistiamo all’esasperazione della carne, gente che vive per servirla, attraverso l’attenzione alla salute, l’integrità, la bellezza esteriore, la forma, sacrificando energie, risorse e tempo per questo. C’è insomma questa nevrosi che è ancora più evidente poi nella sfera della sessualità, in tutti i disordini di questa nostra epoca. Questo dimostra che il nostro tempo con la carne non ha un rapporto equilibrato, o la trascura o la venera, e questo dipende dal fatto che non ne comprendiamo più il significato spirituale. Ed è precisamente su questo che la mostra di Illegio vorrebbe, con una via di bellezza incantevole e con capolavori meravigliosi, riaprire gli occhi.

“Gezabele”, olio su tela di John Byam Liston Shaw, dal Russel Cotes Art Gallery & Museum, Inghilterra

Quaranta opere esposte per mostrare la carne come dimensione fondamentale del nostro essere, nei suoi limiti e nelle opportunità che offre. Ma come sono state individuate?

Il primo criterio è stato quello tematico: mentre in altre mostre si ricostruisce un periodo, una scuola o la storia di un artista specifico, in questa esposizione noi offriamo una meditazione d’arte. Abbiamo quindi individuato i punti fondamentali su cui volevamo che si fermasse l’attenzione e sulla base di questi abbiamo cercato le possibili opere che, nel modo più efficace, permettevano di cogliere importanti messaggi su di essi. Se in un punto della mostra, ad esempio, era importante raccontare come la carne può diventare l’occasione di una sensualità che va alla deriva e che trasforma la persona in un oggetto e in un mezzo, servivano delle opere eleganti ma anche eloquenti, in cui la carne e la sua sensualità sono l’evidente soggetto di quel dipinto, di quella statua. Dall’altra parte, invece, se vogliamo soffermare l’attenzione sulla castità, sul giusto valore dato alla persona umana nel suo corpo e alla sua dignità e alla sua bellezza da custodire, ci volevano opere che fossero una trasformazione in immagine dell’idea della castità. Così si è costruita la mostra.

La Venere italica di Antonio Canova

Per dare un’idea delle scelte fatte, potrebbe descriverci brevemente due delle opere esposte?

Visto che poc’anzi ragionavo di castità, potrei citare la “Venere italica” di Antonio Canova, celeberrima tra l’altro, e probabilmente ammirata per la perfezione formale che Canova qui esibisce ancora una volta, come in tutte le sue sculture, per la citazione della mitologia classica nella figura di Afrodite, la bellezza ideale che è il vero soggetto di quella statua. Però a molti sfugge che Venere, uscita dalle acque, si copre, si schernisce e volge lo sguardo verso qualche indiscreto osservatore che voleva, come dire, rubarle un po’ di bellezza con un occhio non adeguato, non rispettoso, non casto, appunto. E Canova, in quella statua, vuole invitarci a saper guardare con ammirazione rispettosa la bellezza di ogni persona, anche nel suo corpo, non a guardarla nel modo in cui si guardano le prede da conquistare o le pietanze da consumare. Il secondo esempio: dicevo del Verbo che si è fatto carne. Qui in mostra ci sarà un’incantevole “Madonna col Bambino” di Pieter Paul Rubens, un’opera tra l’altro mai visibile in pubblico perchè appartiene ad una collezione privata, fu di Henry Ford addirittura, nella quale si vede questo adorabile Bambin Gesù in piedi, con una Madonna che lo cinge ma che non lo trattiene e che, quasi preoccupata, sa che quei primi passi sono l’inizio di un cammino che porterà suo figlio a offrire il proprio corpo in sacrificio d’amore sulla croce. Lei già vede lontano: il Figlio di Dio eterno ha preso la carne per camminare verso di noi e poi arrivare al punto di potersi offrire in sacrificio per salvarci.

Madonna col Bambino di Rubens

Quando si parla di carne è inevitabile che si parli anche di nudità. L’arte ha fatto un grande uso di nudi maschili e soprattutto femminili. Lo si vedrà anche nella mostra di Illegio di quest’anno. Ecco, lei pensa che questo possa suscitare qualche perplessità? Come riconoscere la differenza tra il nudo artistico e altri tipi di rappresentazioni del corpo nudo?

Guardi, io ho avuto modo di leggere gli atti di un piccolo processo che Paolo Caliari, detto il Veronese, ha vissuto nella sua vita per un’opera che noi conosciamo come “La cena in casa di Levi”, un’opera magnifica che l’artista ha dipinto a Venezia e che inizialmente doveva essere un’Ultima cena, ma è così popolata di personaggi impropri per quel contesto che il Veronese fu chiamato a darne ragione. A un certo punto chi lo interpella gli fa qualche domanda sul perché abbia introdotto anche alcune figure, un po’ nude, che con il cenacolo di Nostro Signore non c’entrano nulla. Veronese si difende pensando che il problema rilevante per l’inquisitore fosse la nudità dei suoi personaggi. Risponde quindi che anche Michelangelo nel Giudizio Universale aveva messo tante figure nude. L’Inquisitore risponde in un modo interessantissimo, facendo capire che il problema delle figure del Veronese non era che fossero nude, ma che erano fuori posto, cioè che non si capiva per quale motivo fossero aggiunte, rendendo poco comprensibile che quello era il momento dell’Ultima cena. Per far capire che il problema non era la nudità, l’inquisitore dice: “A proposito di Michelangelo, nei corpi nudi che egli ha dipinto non vi è altro che spirito”. Questa risposta mi ha molto colpito perché mi ha fatto subito pensare alla larghezza di vedute e all’apertura mentale del cristianesimo, in generale.

“La tentazione del filosofo” di Gerrit van Honthorst, ad Illegio

Il corpo nudo nella sua bellezza, come già nell’antichità, nello sguardo cristiano è il capolavoro del Creatore e il luogo dove si compendia l’armonia dell’intero cosmo e la manifestazione della nobiltà e della dignità della persona umana. Il corpo nudo nella sua bellezza dà gloria a Dio. Naturalmente, può essere guardato con un cuore storto, ma il problema sta nel cuore, non in ciò che ha di fronte agli occhi. Oppure può essere presentato in modo storto, e questo rende osceno ciò che di per sé non lo sarebbe. Allora sì, può esserci una oscenità nell’immagine, ma si coglie facilmente quando l’intenzione provocatoria e la riduzione a oggetto ha ispirato la strategia comunicativa dell’immagine stessa. Questo succedeva nei tempi antichi, come nel nostro tempo. Già Tiziano, quando dipingeva la Venere distesa, la “Venere di Urbino”, intendeva ormai ignorare tutta la visione classica, antica e anche spirituale riguardo al nudo, e voleva farne semplicemente l’occasione, per il nobile committente, di poter gustare qualche consolazione e eccitazione carnale raffinatamente travestita con racconti antichi. È un fenomeno che c’è sempre stato e la mostra racconta anche questo facendo cogliere come dentro l’opera e dentro lo sguardo stanno i fenomeni che trasformano il nudo da puro a osceno. Però il nudo in sé, l’arte lo sa e la Chiesa l’ha sempre saputo, è una rivelazione della dignità della persona e dell’intelligenza e dell’eleganza del Creatore. Domanda il giusto pudore, ma è prima di tutto una questione di postura nell’opera e di postura nel cuore di chi guarda.

“Venere e satiro” di Paris Bordon, Galleria Borghese, Roma

Lei parla del privilegio eccezionale della carne di “sentire, soffrire, gioire”. Ci sono delle ferite che possiamo subire o infliggere, ma la fragilità della carne richiama anche alla cura e alla solidarietà. Ecco, tanti sono quindi gli aspetti e le suggestioni. Con quale idea lei si augura esca il visitatore dalla mostra?

Prima di tutto vorrei che uscisse più consapevole di se stesso. Le cose del mondo fisico hanno corporeità, s’incontrano, si scontrano, si scambiano interazioni. Ma in effetti non si sentono. La carne invece sente e mentre sente ciò che è altro, sente se stessa. Quando poi l’altro che noi avvertiamo non è un oggetto, ma una persona a sua volta incarnata, sentiamo che anche l’altro ci sta sentendo. Cioè sentiamo che fra le persone che s’incontrano i confini sono come quelli tra i Paesi dell’Unione Europea: sapremmo tracciarli, ma in realtà non sono barriere, sono aperti. Noi non siamo completamente esterni gli uni gli altri, le cose sono esterne. Occorre rendersi conto di tutto questo. La seconda cosa che vorrei fosse percepita è che le intenzioni, le passioni, non diventano carne se non raggiungono la carne del prossimo, rimangono una retorica inconcludente. Quindi salutarci, sorriderci, dedicarci tempo è un elemento di civiltà e di carità cristiana che dobbiamo assolutamente recuperare. Perché in questa stagione in cui la virtualità dei contatti e la fretta ci stanno un pochino disumanizzando, corriamo il rischio di non essere più capaci di una vera prossimità. E la prossimità è uno dei cardini del cristianesimo. Terzo punto che mi sta a cuore è percepire che Dio si fa carne per sentirci e per essere sentito e perché il suo amore ci raggiunga concretamente, e a sua volta vorrebbe essere accolto e amato concretamente da persone che gli dedicano di nuovo spazio, affetto, sguardi, tempo, cuori e corpi accoglienti per i doni che lui è venuto a farci in Cristo.

Il borgo di Illegio (UD)

Guardando al tempo che abbiamo vissuto, Illegio come comunità che si esprime anche attraverso questa mostra annuale, ha superato la pandemia e di nuovo è tornata ad essere luogo di richiamo di visitatori. Quindi è una scommessa che si rinnova…

Senza dubbio. Illegio è un piccolo miracolo, perché in un borgo alpino di 300 abitanti e poco più, arrivano per una mostra del genere non solo 43 capolavori da tutta Europa, ma vengono 40 mila, 50 mila persone nell’arco di un’estate, un po’ per scoprire messaggi e bellezze dell’arte e un po’ per immergersi in un piccolo lembo di umanità schietta e simpatica e di natura incantevole che ci riaggiusta da tante confusioni, da tanti grigiori della nostra epoca. Quindi Illegio è davvero un miracolo e anche una scommessa vinta.