A bordo della nave Vulcano con i bambini di Gaza

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Le testimonianze drammatiche dei piccoli arrivati in Italia con la nave-ospedale: “Mia mamma cucinava il riso e le verdure raccogliendo l’acqua piovana dalle pozzanghere». Il ministro degli esteri italiano Tajani a L’Osservatore Romano: la nostra soddisfazione, aver restituito il sorriso e momenti di serenità a queste vittime innocenti

di Roberto Cetera

«L’iniziativa umanitaria di portare in Italia bambini di Gaza ammalati o feriti, e che ha visto tra i suoi promotori il nostro padre Ibrahim Faltas, ben testimonia della nostra missione in Terra Santa. Che non è solo la custodia premurosa di quelle pietre che ci parlano di Gesù, ma è anche l’incontro col Cristo nei nostri fratelli che soffrono in questa terra», dice da Gerusalemme padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa.

Ieri mattina — come abbiamo riferito nella cronaca — è approdata al porto di La Spezia proveniente dalla città egiziana Al Arish la nave ospedale militare italiana “Vulcano”, che ha portato in Italia un secondo gruppo di bambini di Gaza, ammalati o feriti. La nave aveva prestato servizio di primo soccorso nelle settimane precedenti in rada in Egitto. Si tratta del secondo gruppo di bambini soccorsi in Italia, dopo l’arrivo lunedì 29 gennaio a Ciampino di un aereo dell’aereonautica militare italiana. In entrambi i casi ad accogliere i bambini erano presenti il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e il vicario custodiale di Terra Santa padre Ibrahim Faltas. «In questo secondo gruppo — spiega il frate francescano — sono arrivati bambini in più gravi condizioni». La situazione sanitaria a Gaza è ormai irrimediabilmente compromessa. Nella parte nord della Striscia non vi sono ormai strutture sanitarie praticabili, e al sud le poche strutture rimaste in piedi sono sovraffollate e incapaci di risolvere le situazioni più gravi.

Già prima dell’intervento italiano alcuni tra i casi più gravi erano stati trattati in ospedali egiziani e di altri paesi arabi resisi disponibili. Vi sono tre tipi di emergenze sanitarie che non riescono ad essere trattate in loco. Innanzitutto i feriti, la maggior parte dei quali necessitano trattamenti ortopedici per essere stati estratti dalle macerie delle case distrutte. Poi i malati cronici (diabetici, cardiopatici, oncologici) per i quali non è possibile garantire una continuità terapeutica che è garanzia di sopravvivenza; come è raccontato nella tragica storia in questa stessa pagina. E infine, la più diffusa, le epidemie di malattie infettive: la promiscuità forzata, il cibo scaduto o avariato, l’esplosione di fogne e fosse biologiche, la mancanza di acqua tanto per l’igiene che da bere, favoriscono la diffusione di virus e batteri.

«Mia mamma cucinava il riso e le verdure raccogliendo l’acqua piovana dalle pozzanghere», racconta una delle bambine giunte ieri con la nave Vulcano. «Molti dei bambini arrivati portano evidenti i segni della sofferenza fisica, ma ancor più di questa, ciò che mi ha veramente colpito ed emozionato, è stato ascoltare le loro storie», racconta il padre Faltas prima di ripartire per Gerusalemme dove va ad organizzare la formazione di nuovi gruppi di bambini da portare in Italia. «Ero l’unico ieri mattina a bordo della nave a parlare arabo, e i bambini avevano ansia di raccontarsi. Parlare e raccontarsi ho capito che per loro è terapeutico per esorcizzare la paura che hanno vissuto per quattro mesi». Il frate ci mostra alcuni video che ha raccolto tra i bambini. Si vede una bambina portata inerme a braccia dal papà in pronto soccorso. La mamma corre dentro la sala di rianimazione gridando «è morta, è morta, l’hanno uccisa», E accanto fra Ibrahim ci mostra il video ripreso all’ospedale Mayer di Firenze, mentre con la testa fasciata ma finalmente sorridente gli racconta la sua storia. E un uguale ‘prima e dopo’, mostra un bambino che viene estratto dalle macerie della sua casa con una gamba maciullata, e ora mentre riceve un piccolo giocattolo donatogli dal frate. «Sono storie che lacerano il cuore», aggiunge padre Ibrahim. Tutti i bambini della nave ricevono dalle sue mani alcuni doni, giochi semplici come quelli di una volta, che sono stati realizzati dalle piccole mani dei loro coetanei che frequentano la scuola cattolica della Custodia di Gerusalemme.

La commozione del francescano incontrando i bambini dentro la nave è pari a quella del ministro Tajani «Vedere il sorriso di questi bambini e delle loro mamme — dice a «L’Osservatore Romano» — che hanno vissuto la tragedia dei bombardamenti ti regala una grande soddisfazione non solo politica ma interiore. Aver restituito il sorriso e momenti di serenità a queste vittime innocenti ci ricompensa di tutte le fatiche che sono state fatte. Regalargli la possibilità di vivere finalmente in pace nel nostro paese ci aiuta a ricordarci sempre che la politica è innanzitutto servizio. E questo vale ancor di più per un padre e per un nonno». Tajani spiega poi che «il governo italiano è al lavoro per accogliere altri bambini. L’impegno iniziale era per 100 bambini da curare negli ospedali pediatrici italiani, anche se farli arrivare tutti insieme non è facile. Ora l’impegno continua con il prezioso supporto delle ambasciate italiane in Israele e in Egitto e del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme. Cercheremo di accoglierne e curarne il maggior numero possibile». Il ministro degli Esteri conclude il breve colloquio con l’Osservatore con un omaggio al ruolo svolto dal padre Faltas e dalla Custodia di Terra Santa. «Padre Ibrahim è stato uno dei protagonisti di questa operazione che ha portato in Italia i bambini di Gaza feriti o ammalati. Senza questo sacerdote che dedica la sua vita alla Terra Santa non saremmo riusciti a fare tutto quello che stiamo facendo. Ieri, oltre ai giocattoli per i bambini, ha regalato a tutti noi un rosario benedetto nella Terra Santa, per ringraziare anche il Signore di questo grande dono che ha fatto a noi e a questi bambini di vivere finalmente in serenità».