Fausta Speranza – Città del Vaticano
Mentre l’Italia viveva il clima vacanziero di piena estate, l’8 agosto 1991, 20.000 albanesi arrivarono al porto di Bari, mettendo in crisi procedure e strutture deputate alle emergenze della regione Puglia e non solo. All’origine un disperato atto di forza: il 7 agosto 1991, la nave mercantile Vlora, di ritorno da Cuba carica di zucchero di canna, durante le operazioni di sbarco nel porto di Durazzo, in Albania, era stata assalita da una folla di migliaia di persone che avevano costretto il comandante, Halim Milaqi, a salpare per l’Italia e attraccare dunque a Bari il giorno seguente. L’ingresso in porto non fu dei più facili. Il comandante forzò il blocco comunicando di avere feriti gravi a bordo e di non poter dare il “macchine indietro”, il comando di retrocessione, a causa del grande carico. La nave fu quindi fatta attraccare al cosiddetto Molo Carboni, il più distante dalla città. Durante l’entrata al porto molti si gettarono dalla nave ancora in movimento e nuotarono fino alla banchina cercando di scappare.
Si è trattato di una tappa di un processo storico particolare vissuto dall’Albania che Papa Giovanni Paolo II in quegli anni ha seguito da vicino. Durante la sua storica visita in Albania, il 25 aprile 1993, in Piazza Skanderbeg a Tirana, si rivolse agli albanesi che si erano lasciati alle spalle la dittatura comunista con queste parole: “Popolo albanese, vai avanti coraggiosamente verso i percorsi della solidarietà”.
L’antefatto a marzo a Brindisi
A marzo 1991, nel giro di tre notti erano già arrivati migliaia e migliaia di albanesi a Brindisi. In quel momento si è vissuta davvero la sorpresa di un’Europa che si era lasciata alle spalle la disperazione dei profughi della Seconda guerra mondiale e che guardava in faccia altra disperazione. Tra la sorpresa di tutti, centinaia di persone vagavano nella città deserta per ferie, come racconta Stefania Baldassare, che oggi è la direttrice del Centro di assistenza straordinaria (cas) denominato Casa del Sole che ospita richiedenti asilo. Allora era tra i giovani che si prestarono come volontari e oggi racconta quella che definisce “una scena dantesca”:
Baldassarre ricorda di essere arrivata al porto di Brindisi per supportare la Caritas. Era notte – spiega – e c’era questo barcone con moltissimi profughi assiepati che disperatamente chiedevano acqua. Questa è la prima immagine, ma quella che è rimasta più impressa è quella dell’indomani mattina quando dalla sua casa, su un piano alto che si affacciava sul porto di Brindisi, le è apparsa una seconda scena. Praticamente – sottolinea – non era più a colori, ma era in bianco e nero. Il primo pensiero va alle raffigurazioni dell’inferno dantesco. Le persone vagavano soli e per la città – non c’era nessun italiano – erano tutti impolverati.
In questa immagine in bianco e nero, che è rimasta scolpita nella mente della giovane volontaria, c’è poi un epilogo felice: tutto si risolse brillantemente, perché i brindisini furono meravigliosi. C’era stata grandissima sorpresa, non era stato ovviamente organizzato nulla in termini di accoglienza, però poi la mattina si era mossa la macchina della solidarietà perché la gente – ricorda – apriva le sue case, le sue abitazioni, li faceva entrare e li faceva mangiare, li faceva lavare e dava loro quel primo aiuto iniziale fondamentale per farli sentire esseri umani. Loro raccontavano lo stupore di trovare un posto non blindato, non armato dove avevano potuto attraccare e sottolineavano che la città li aveva accolti a braccia aperte. Allora l’economia in Italia era buona – sottolinea Baldassarre – e forse in generale c’era meno diffidenza. Oggi certamente la crisi pesa. Allora così non era e quindi – dice – c’era davvero tanta generosità
Un fenomeno durato un decennio
Un anno dopo, nel 1992, ha cominciato a diminuire il numero dei boat people nell’Adriatico, ma il fenomeno degli arrivi non si è mai davvero fermato fino al 1999, con un nuovo picco nel 1997, come racconta uno dei protagonisti dello sforzo di assistenza in quegli anni in Puglia, Bruno Mitrugno allora direttore operativo della Caritas di Brindisi:
Mitrugno ricorda che c’erano state migliaia e migliaia di persone che in pochi giorni erano sbarcate nel porto di Brindisi a bordo di carrette del mare e poi sottolinea che generalmente si segna il 1992 come la conclusione dei grandi sbarchi, però il fenomeno è arrivato fino alla fine degli anni ’90. Era un flusso meno eclatante. Per esempio, nel 1997 in seguito a una nuova grossa crisi economica dell’Albania, c’era stato un nuovo continuo movimento. Drammatico poi fu l’ episodio dell’affondamento della Catherine Riders con centinaia di profughi a bordo, il Venerdì Santo del ’96: una motovedetta della Marina Militare italiana cercando di spronare i profughi a ritornare al porto di Valona provocò di fatto l’affondamento dell’imbarcazione. E Mitrugno ricorda ancora l’impegno dell’allora direttore della Caritas italiana, don Elvio Damoli, arrivato a Brindisi per sostenere la carità e il volontariato cittadino. Mitrugno cita anche il 1999 quando ci fu la guerra in Kosovo e quindi migliaia migliaia di persone anche albanesi sbarcarono sulle coste pugliesi fingendosi kosovari.
L’allora direttore della Caritas spiega anche di non aver dimenticato alcuni racconti dalla gente arrivata e quelli di alcuni religiosi incontrati in Albania dove poi la Caritas italiana si è impegnata a lungo per portare aiuto alle persone nel loro Paese. Ne cita uno: quello di una suora che affermò di aver portato per anni durante il regime l’ostia consacrata in tasca ad alcune persone a casa, disobbedendo alle proibizioni. Sui racconti riguardanti la criminalità albanese, Mitrugno dice che c’è stata come c’è sempre in ogni Paese e si è fatta sentire in Italia perché ha trovato l’alleanza con la criminalità italiana.
Lo slancio forte della solidarietà
Dei tantissimi gesti di solidarietà che sono stati compiuto dalla gente in quei giorni, Bruno Mitrugno racconta di una vecchina che cucinava tutto il giorno uova fritte, di una catena continua di beni raccolti e distribuiti con il tam tam del passa parola e poi lo slancio che arrivò dai contrabbandieri. In quegli anni era consistente il fenomeno del contrabbando delle sigarette e racconta di aver visto molti di loro interrompere i traffici per mettersi a disposizione nella distribuzione di cibo e beni di prima necessità, che la gente portava a ridosso della zona degli attracchi.
Molte di queste persone arrivavano sulla scia del sogno italiano che avevano visualizzato anche seguendo la TV italiana, quindi l’idea di ricchezza facile. In realtà, da parte del governo italiano la risposta fu decisa perché c’era tanta paura di arrivi di massa da tutta l’Albania. E Mitrugno ricorda che, di fronte alla freddezza delle autorità locali che sotto l’input delle scelte nazionali temevano di incoraggiare altre partenze assistendo i profughi, l’allora vescovo di Brindisi, monsignor Settimio Todisco, andò dal prefetto annunciando che se non venivano aperte le scuole per l’accoglienza lui avrebbe aperto tutti i santuari e le chiese della Diocesi.
Il caso albanese nella storia recente delle migrazioni
La vicenda della Vlora è ricordata come l’episodio più significativo dell’ondata di immigrazione che si è avuta in Italia negli anni Novanta ma anche come l’inizio di un processo “virtuoso” nella storia recente dei flussi migratori che riguardano l’Europa, come sottolinea lo storico Eugenio Capozzi:
Capozzi sottolinea che al di là dei momenti drammatici – come l’affondamento dell’imbarcazione nel 1997 o altri casi di sofferenze – il caso dell’Albania rappresenta storicamente un esempio positivo di sviluppo, iniziato con un esodo ma poi evoluto in un cammino fatto di aiuti esterni e di stimoli interni che ha portato ad un livello di buono sviluppo della società e dell’economia. Lo storico tra l’altro sottolinea che non si può dimenticare che per secoli le vicende del territorio dell’Albania si sono intrecciate anche culturalmente con quelle dell’Italia e dell’Europa e questo certamente ha avuto un peso. Così come ha avuto un peso particolare il rapporto molto ravvicinato di scambi con l’Italia.
La risposta dell’Italia oltre l’emergenza
Dopo il primo significativo arrivo di albanesi in primavera, l’Italia aveva promesso all’Albania significativi aiuti umanitari che però a inizio agosto la popolazione non aveva ancora ricevuto. Dopo la seconda più massiccia ondata a inizio agosto, gli albanesi sbarcati – ad eccezione di alcuni sfuggiti in città alle forze dell’ordine – furono portati tutti nello “Stadio della Vittoria” di Bari e lasciati in condizioni poi giudicate da tanti disumane. In quindicimila furono ricondotti in patria. Allora l’Italia inviò un cospicuo contingente dell’esercito che si impegnò nella distribuzione di generi alimentari e nel controllo delle coste. Solo nella prima fase dell’operazione i soldati italiani consegnarono 186.000 tonnellate di viveri e medicinali in 27 centri dislocati in ogni regione per essere poi distribuiti anche nei villaggi più sperduti.
L’intervento della comunità internazionale
A livello di istituzioni internazionali si avviarono diversi interventi di sostegno all’Albania: l’accesso al Programma PHARE, l’ammissione alla Banca Mondiale, alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, all’OSCE, UNDP e Unhcr, ed al Fondo Monetario Internazionale. La guida fu affidata all’Italia, con l’operazione “Pellicano”, che inizialmente avrebbe dovuto avere una durata di tre mesi, ma che fu successivamente prolungata fino al 1993. Grazie a diversi fattori, l’Albania ha intrapreso la via che l’ha portata ad una significativa anche se relativa ripresa economica e, nel 2014, allo status di candidato all’ingresso nell’Unione Europea.
La fuga sull’onda lunga del crollo del muro di Berlino
Nella Repubblica Popolare Socialista d’Albania, Enver Hoxha aveva governato per quattro decenni con il pugno di ferro. Tra il 1945 e il 1990 furono condannati a morte mediante fucilazione, impiccagione o altro circa 5.000 uomini e 450 donne. Inoltre furono incarcerate 34.135 persone, di cui 1.000 risultano morte in carcere per i continui maltrattamenti. Ancora oggi molte famiglie cercano i resti dei loro cari. La crisi economica era causata da una gestione conservatrice della cosa pubblica ed ulteriormente aggravata dall’operato dei direttori delle aziende statali e collettive, che, per vendicarsi della perdita del potere, avevano iniziato a sabotare e distruggere il sistema economico.
Nel 1989 iniziarono le prime rivolte a Scutari (Shkodra), la gente chiedeva la demolizione della statua di Stalin. La rivolta si diffuse nelle altre città. Il regime introdusse alcune liberalizzazioni, compresa la libertà di viaggiare all’estero, prima negata quasi a tutti. A marzo 1991, tre mesi prima il massiccio sbarco, in Albania si erano svolte le prime elezioni pluraliste dopo 40 di regime totalitarista ma non si intravedeva ancora il reale superamento del comunismo e il Paese era allo stremo. In un momento in cui la sensazione diffusa era che poco fosse veramente cambiato, elemento costantemente presente rimaneva la voglia di emigrare per raggiungere una condizione di benessere e per vedere quel mondo sconosciuto e tanto ammirato tramite la TV italiana. Un fattore significativo infatti è collegato all’aspetto ideologico-generazionale che ha influenzato il grande esodo del marzo 1991 e quello successivo del mese di agosto: il netto rifiuto della propaganda del regime e di tutti i suoi contenuti, considerati interamente falsi, con il conseguente cambio di opinione riguardo i Paesi capitalisti, costantemente demonizzati nel corso della dittatura, e divenuti ora un mito.
Il processo elettorale
Le elezioni del marzo 1991 lasciarono i comunisti ancora al potere, ma uno sciopero generale e la pressione continua dell’opposizione cittadina intendeva rivendicare un governo di coalizione che includesse anche non-comunisti. Nelle elezioni successive, le consultazioni elettorali nel 1992, il Partito Democratico d’Albania di Sali Berisha uscì vittorioso e Ramiz Alia fu costretto a cedere allo stesso Berisha la presidenza della Repubblica.