Il presidente della Conferenza episcopale italiana ha presieduto questo pomeriggio a Molfetta una Messa per ricordare il vescovo che amava farsi chiamare “don” scomparso il 20 aprile del 1993. Era un seminatore di pace, ha detto il porporato, evidenziando che non sempre la genuinità e semplicità del presule, che riteneva stola e grembiule il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale, sono state comprese
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Un uomo che si nutriva della Parola di Dio, che parlava al cuore della gente: questo era Tonino Bello. Ne ha evidenziato i tratti questo pomeriggio il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, che nella cattedrale di Santa Maria Assunta di Molfetta ha presieduto la Messa voluta dalla diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi per ricordare il presule scomparso trent’anni fa. Quel vescovo che amava farsi chiamare “don” era mosso da un’inquietudine “che lo portava a non accettare l’inedia ma a seminare comunque pace” ha detto il porporato; pace che va seminata “soprattutto oggi che viviamo scenari ancora peggiori nella drammatica guerra che si combatte in Ucraina e negli altri pezzi di conflitti che tutti ci commuovono e ci impongono una scelta”. Pace che don Tonino definiva vocabolario, spiegando che “il fiume della pace si nutre di affluenti e sfocia in estuari che hanno nomi impegnativi e profondi come disarmo, economia di giustizia, salvaguardia del creato, legalità e democrazia, diritti umani, nonviolenza, partecipazione, rispetto delle persone, beni comuni”.
Una voce accolta qualche volta con fastidio
Nella sua omelia, il cardinale Zuppi ha più volte ripetuto di sentire la necessità di chiedere perdono a don Tonino, perché è stata fraintesa “la sua voce evangelica, esigente come è il Vangelo che chiede amore vero, non surrogati; che coinvolge tutto”, un “amore senza furbizie, calcoli, ecclesiasticismi, strumentalità, ideologie”, perché qualche volta la sua voce è stata “accolta con fastidio o sufficienza, con paternalistica commiserazione”, intesa come frutto di “intemperanze, esagerazioni utili per qualche azione dimostrativa” e non di “scelte che coinvolgono tutta la Chiesa, scelte di campo, di prospettive”. “Non facevi sconti e ricordavi che l’amore per Dio e per il nostro fratello più piccolo sono la stessa cosa e che, se manca uno, manca anche l’altro” ha aggiunto il presidente della Cei riferendosi al vescovo dichiarato venerabile circa due anni fa. Perdono, ha chiesto ancora il porporato, rivolgendosi idealmente a don Tonino “perché quando imitiamo la tua parola senza viverla, la svuotiamo rendendola verbalismo, mentre per te era far parlare la vita e in questa scorgere il volto di Cristo”, cercato “con profonda sete d’amore davanti al tabernacolo e nell’Eucarestia” e riconosciuto nel volto degli altri.
La stola e il grembiule del sacerdote
Don Tonino, che invitava a “riporre il grembiule nell’armadio dei paramenti sacri”, per far comprendere che “stola e grembiule sono il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale”, ammoniva che chi obbedisce a Dio sta alla larga da potere, prestigio e prodigi, ha detto ancora il cardinale Zuppi, aggiungendo che tre parole chiave, opposte, hanno guidato la vita del vescovo della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi: preghiera, poveri e pace. E poi il porporato ha rimarcato il gusto della comunione che aveva il presule: “per lui le parole ‘camminare’ e ‘insieme’ erano inseparabili e rendevano ragione l’una all’altra”. “La Chiesa non è fatta per essere stanziale, per chiudersi nell’autocontemplazione – ha rimarcato il presidente della Cei – ma per camminare nelle strade degli uomini. Se restiamo stanziali – ha proseguito – finiamo inevitabilmente per discutere su chi è più grande e il servizio diventa considerazione personale e non dare considerazione al prossimo”. La Chiesa don Tonino la vedeva come Corpo di Cristo, non un’agenzia di beneficenza, una Organizzazione non Governativa, ha spiegato ancora il porporato, la considerava un soggetto “costituito, nelle sue membra, dai poveri”, poveri da intendere non solo in senso materiale, ma anche morale e spirituale, e ha “ha prefigurato una Chiesa sinodale tant’è che la sua prima lettera pastorale – Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi – fu il frutto di una scrittura collettiva in cui tutte le presenze della comunità furono invitate a ripensarsi e a riscriversi”. Centrato su Gesù Cristo e sul suo Vangelo, don Tonino, è stato un cultore dell’uomo, ha concluso il cardinale Zuppi, e la grande lezione che ci ha lasciato è stata l’affidarsi a Dio e considerare tutti fratelli.