Zuppi: mai guerre e violenze in nome di Dio

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Con un videomessaggio, il presidente della Cei è intervenuto al convegno “Un’unica fede nella missione. Dialogo interreligioso sull’aiuto al prossimo”, organizzato a Roma dalla onlus Emergenza Sorrisi. Insieme a esponenti del mondo cattolico, presente anche il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini, voci del buddismo, induismo, ebraismo, islamismo, che hanno concordato sulla necessità di costruire la pace attraverso la cura e la pratica di un dialogo vero, civile, democratico

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Le religioni come ponte tra le culture e facilitatrici di processi di pace. Se n’è parlato oggi, 21 giugno, nel convegno “Un’unica fede nella missione. Dialogo interreligioso sull’aiuto al prossimo”, promosso dalla onlus Emergenza Sorrisi, nel Convento di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma. All’incontro, moderato dal giornalista Piero Damosso, hanno partecipato capi religiosi, rappresentanti istituzionali e dell’ambito ecclesiale, nonché Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione. Tra il pubblico, anche gli Ambasciatori presso la Santa Sede di Senegal e Mali.

L’appuntamento è stato aperto con la lettura del messaggio che il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha fatto pervenire: “Il dialogo è certamente la prima e fondante forma di collaborazione, nella consapevolezza che solo facendosi carico delle idee e delle esigenze degli altri si possono costruire ponti e avviare processi di partenariato. Un’esigenza ancor più sentita nei tanti paesi dove guerre, crisi politiche, difficoltà alimentari, criminalità diffusa e arretratezza economica rischiano di causare conseguenze molto gravi sulla salute dei bambini, degli indifesi e dei più fragili”. Anche il vice ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Edmondo Cirielli, ha inviato il suo saluto sottolineando che “il dialogo tra rappresentanti di religioni diverse è indispensabile per superare la scarsa conoscenza e la diffidenza reciproca che sono, purtroppo, all’origine di discriminazioni e fenomeni di marginalizzazione”. 

Il cardinale Matteo Zuppi: l’aiuto al prossimo può unire le religioni nell’attenzione all’altro

Ritrovare i valori della cura e della vicinanza

“Lavoriamo in più di 20 Paesi, con la possibilità di incontrare persone di ogni fede e cultura. In questi contesti si vive una grande fratellanza”: così Fabio Abenavoli, presidente e fondatore dell’organizzazione umanitaria impegnata con progetti e missioni di medici in aree del mondo dove conflitti e difficoltà sociali mettono a rischio l’apparato sanitario. Dall’Ordine dei Medici di Roma – che peraltro ha di recente attivato una Commissione di contrasto alle disuguaglianze – è stata espressa la necessità di “ritrovare i valori della cura e della vicinanza. Tutto ciò che va contro le guerre facilita la salute”. Occorre ricordarsi di “lavorare sui punti che uniscono e non su quelli che dividono”, ha rimarcato Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici stranieri in Italia, della quale ha rilanciato alcune iniziative come quella dei ‘quartieri di pace’. 

Zuppi: non usare le religioni per giustificare la violenza

“C’è un rapporto strettissimo tra il dialogo interreligioso e l’aiuto al prossimo. Credo che l’aiuto al prossimo debba permettere al dialogo interreligioso di crescere sulle sfide che la cultura e il mondo pone alle religioni”: così il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, intervenuto con un videomessaggio in cui ha precisato quanto sia “importante che le religioni si ritrovino insieme per portare avanti quel messaggio di pace affinché le religioni non siano usate mai per giustificare guerre e violenze”. Il capo della Cei – che domani sera, 22 giugno, nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere, presiederà la preghiera “Non si può morire di speranza”, in cui saranno ricordate in particolare le vittime del naufragio in Grecia – ha pure sottolineato la reciprocità che comporta l’azione di prossimità: ne beneficia chi viene soccorso ma “sorride anche chi aiuta”. Purtroppo, ha lamentato il vescovo anglicano Luis Miguel Perea Castrillon, siamo imprigionati in una “logica delle mura, mura culturali, emotive. Abbiamo troppi pregiudizi che ci impediscono di capire l’altro come è”. Da medico, il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha detto che “si parla tanto di dialogo tra religioni e di obiettivi comuni, ma quando si va sul concreto si fa difficoltà”. Ha ricordato che il tema della solidarietà è uno dei pilastri della fede ebraica e “per questo dobbiamo portare avanti un’unica missione nella diversità della fede”. 

La concretezza della prossimità è la vera sfida

Recuperare il senso dell’amicizia 

La riflessione di Stefano Bettera, vicepresidente Unione Buddhista Europea, ha centrato la questione delle grandi religioni che devono dire qualcosa di significativo per l’integrazione sociale ridefinendo un nuovo paradigma che riporti al centro il concetto di cura (responsabilità, partecipazione e dialogo vero). “La cura è la capacità di incontrare veramente l’altro senza pregiudizi, ha affermato, e il concetto di dialogo va recuperato, in modo che sia civile, democratico e vero. Dobbiamo recuperare inoltre un senso di amicizia. Spesso lo dimentichiamo ma è una piattaforma importante e non è semplicemente lo stare bene insieme ma è la capacità di attivare contatti e trasformazioni”. Ha insistito sul presupposto fondamentale: la pratica costante di inserire il sacro nel quotidiano. “La sfida vera è entrare in relazione con la sofferenza quando si presenta, entrando nelle sue crepe”, ha chiosato. 

L’islam che anela alla pace

“La generosità e la cura verso chi è in difficoltà sono valori universali che le religioni promuovono da millenni”, ha dichiarato durante i lavori El Refaey Issa, Imam della Grande Moschea di Roma, che ha colto anche l’occasione per augurare al cardinale Zuppi il “pieno successo per la missione di pace nella guerra in Ucraina”. Ha ripetuto che forte è l’anelito alla concordia da parte dell’islam per cui – ha rimarcato ai nostri microfoni – uccidere una persona equivale a uccidere l’anima di tutto il mondo. “La prevenzione del radicalismo è una nostra preoccupazione”, ha aggiunto, accennando all’opera di formazione alla tolleranza che la Moschea promuove anche in ambito accademico.

Coltivare perseveranza nel bene e amicizia sociale per costruire la pace

Ruffini: il dialogo nasce con le piccole cose fatte insieme

Invitato a illustrare il modo con cui Papa Francesco lavora per la promozione della fratellanza, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, si è soffermato sugli sforzi del Pontefice nel far riscoprire il concetto di alterità, il no alla violenza, al fanatismo, alla discriminazione. È il Papa che fa del dialogo un metodo, “con la pazienza spesso sofferta del seminatore”. Diverse le citazioni dell’enciclica Fratelli tutti, soprattutto laddove il nutrimento vicendevole tra Oriente e Occidente sono incoraggiati perché fecondi. “Per Francesco il dialogo sempre è possibile anche nel mezzo del disastro della guerra – insiste Ruffini – considerando il dialogo non come semplice scambio di monologhi che procedono paralleli”. Il prefetto ha ricordato le “pagine bellissime” dedicate dal Papa al ruolo dei media per creare una cultura di pace. Pagine necessarie a fronte del rischio, diffuso nella comunicazione, di effetti divisivi a causa di un linguaggio che crea il nemico, l’ostilità, le fratture. Che i media siano mezzo per costruire e non per distruggere, per capirsi e non per fraintendersi. “Il primo mattone per fare questo è ricordarsi di ‘fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te’. Occorre perseveranza in un dialogo che nasce dal fare le cose insieme, le piccole cose del quotidiano. 

Riverire l’altro superando ogni individualismo

Franco Di Maria, presidente dell’Unione Induista Italiana, ha sviluppato il suo intervento partendo dalla parola namasté, che letteralmente significa ‘mi inchino a te’, e deriva dal sanscrito ‘salutare con reverenza’, con cui si riconosce la sacralità sia di chi porge il saluto che di chi lo riceve. È il saluto originario dell’India e del Nepal, usato comunemente in diverse regioni dell’Asia. “È la sintesi della vera e profonda compassione”, ha detto Di Maria. “Tutto nella vita è dare. Noi invece non molliamo la presa. Se non molliamo non costruiamo fraternità. Io credo che se ciascuno di noi avesse veramente esperienza di Dio non servirebbe nessuna altra parola. Il punto è avere esperienza di Dio, il resto sono buone intenzioni, utili, ma intenzioni”.

Cesare Zucconi (Sant’Egidio), Imam Issa (Moschea di Roma), Foad Aodi (AMSI)

Del bisogno di coltivare la compassione ha parlato anche Cesare Zucconi, il quale ha accennato ai frutti dei progetti della Comunità di Sant’Egidio, essendone segretario generale (dall’impegno nelle carceri, anche in Africa, all’aiuto alle comunità ortodosse a Roma per la cura ai cristiani malati; dall’assistenza agli anziani ai corridoi umanitari per rifugiati), perché “le religioni sono e devono essere a servizio della pace e della fraternità e a servizio della comunità ferita”. A chiusura lavori la testimonianza di monsignor Andrea Celli, parroco di San Pio X, ideatore del Progetto Persona. Il suo è stato un invito a sporcarsi le mani, alla luce di una attività con i giovani che si sta rivelando umanizzante perché si riparte dalla loro interiorità. “Un modo semplice per combattere la lenta deriva dell’individualismo che ci rende asfittici – ha spiegato – e quella del nichilismo. Il progetto è interparrocchiale e non è confessionale. Stanno venendo persone che non credono in niente. Si tratta di incontrare le fragilità, anche attraverso laboratori di teatro, di intercettare il loro linguaggio. Se noi non entriamo nella profondità del loro essere, falliamo”. 

L’impegno delle missioni di Emergenza Sorrisi in 23 Paesi