Zuppi: la storia del Mozambico dimostra che la pace è sempre possibile

Vatican News

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

È domenica 4 ottobre del 1992: l’allora presidente del Mozambico, Joaquim Chissano, e il leader della guerriglia, Afonso Dhlakama, firmano un accordo generale di pace. L’intesa mette fine a 17 anni di guerra civile che ha provocato centinaia di migliaia di morti, quasi 4 milioni di sfollati e profughi. La firma è l’ultimo atto di un lungo processo negoziale portato avanti nella sede della Comunità di Sant’Egidio. In quei locali a Trastevere, alcuni membri della Comunità – tra cui il fondatore Andrea Riccardi, il sacerdote Matteo Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna e presidente della Cei – si impegnano per condurre le parti, coinvolte nel conflitto, ad un quadro negoziale. Un impegno preziosissimo che sfocia nell’accordo generale di pace. Si stabilisce, tra l’altro, la consegna delle armi della guerriglia alle forze dell’Onu. Ma anche l’integrazione degli ex combattenti della guerriglia nell’esercito regolare – un aspetto che successivamente ha creato delle problematiche – e le procedure di sminamento e di pacificazione delle zone rurali. Le elezioni del 1994, le prime veramente libere nella ex colonia portoghese, sanciscono il successo dell’intero percorso negoziale. In Mozambico, come ricorda la Comunità di Sant’Egidio sul proprio sito, si apre una nuova stagione finalmente illuminata dalla pace.

Il cammino verso la riconciliazione

Ripercorrendo queste pagine di storia, si è tenuta nella giornata dell’11 agosto alle 17.00 nella cattedrale di Maputo la conferenza del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, in occasione del 30.mo anniversario dell’accordo generale di pace per il Mozambico. La Conferenza, incentrata sul tema “30 anni di pace, un’eredità per il futuro”, si è aperta con una introduzione dell’arcivescovo di Maputo, monsignor Francisco Chimoio. Il cardinale Zuppi ha ricordato che si è recato per la prima volta in Mozambico nel 1984, in un periodo molto complicato e di emergenza per il Paese. Il Mozambico si trovava, infatti, in una situazione terribile a causa della siccità e della guerra. Per la Comunità di Sant’Egidio le sofferenze del popolo del Mozambico non erano sofferenze verso cui restare indifferenti. Conoscendo la realtà e i problemi del Paese è cominciata una storia di relazioni, di incontri. Il problema non era solo aiutare per risolvere la crisi alimentare ma soprattutto quello di risolvere le cause e di cercare un cammino di pace. La pace, ha detto il presidente della Cei, è sempre possibile ed è nelle mani di ciascuno. Si è instaurato, in quegli anni, un dialogo molto diretto e cordiale con il presidente del Mozambico. Il problema era entrare in contratto con i guerriglieri della Renamo. Il primo contatto fu quello con un rappresentante di questo gruppo che si trovava in Germania. Poi fu organizzato nel 1990 un incontro segreto organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio per avviare le negoziazioni.

Dalla negoziazione alla pace

La Comunità di Sant’Egidio – ha spiegato il porporato rispondendo alle domande di Brazão Mazula, il primo presidente della Commissione elettorale delle consultazioni del 1994 – non aveva altri interessi se non quello della pace. Le negoziazioni sono durate circa due anni. Entrambe le parti hanno voluto realmente affrontare il problema. Un fatto determinante è che sia il governo sia la Renamo avevano fiducia nella Comunità di Sant’Egidio. Un problema è stato quello di passare per la Comunità da facilitatori del dialogo a mediatori per cercare un cammino di pace. Il governo e la guerriglia hanno quindi accettato come mediatori, tra gli altri, il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, e un rappresentante del governo italiano, l’arcivescovo Jaime Gonçalves e rappresentanti del governo e della guerriglia, tra cui Raul Domingos. Uno degli sforzi era quello di far comprendere che tutti, nonostante i problemi, facevano parte della medesima famiglia, quella mozambicana. Questa, ha sottolineato il presidente della Cei, è stata la vera chiave per il buon esito della negoziazione. E per arrivare nel 1992, nel giorno in cui la Chiesa ricorda San Francesco, alla pace.