Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
Il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari, illustra la conferenza per la Siria che si svolgerà nella capitale siriana a partire dal prossimo 17 marzo su incoraggiamento del prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Leonardo Sandri. “Chiesa sinodale e esercizio della Carità” è il titolo dell’evento che spiega in modo efficace gli obiettivi pratici e la radice spirituale dell’iniziativa che radunerà rappresentanti di alcuni dicasteri vaticani, di diverse conferenze episcopali del mondo impegnate negli aiuti al Paese e delle principali agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. “Abbiamo di fronte 13 milioni di persone che vivono in condizioni di estremo disagio”, afferma Zenari che ricorda la triste immagine di queste settimane d’inverno: la morte di un bambino rimasto schiacciato sotto una tenda profughi caduta per il peso della neve. “Il processo di pace è bloccato, mentre la povertà continua a galoppare”, prosegue ringraziando Papa Francesco per la costante vicinanza e per le tante azioni umanitarie messe in campo in questi anni dai principali player del settore. “C’è necessità di questa tre giorni per rafforzare il ministero della carità”, dichiara ancora parlando dell’appuntamento come di un esempio di “Chiesa in uscita”. Chiesa che tutti i giorni in Siria vede questa immane crisi e che ha bisogno di camminare al fianco della Chiesa Universale per rispondere alla più grave tragedia umanitaria dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Eminenza, lei in questi giorni a Roma ha partecipato alla plenaria della Congregazione per le Chiese orientali…
Sì e queste ultime ore che mi rimangono le impiego anche per preparare un evento particolare, che avrà luogo in Siria a metà del mese prossimo: una conferenza alla quale parteciperanno i membri di alcuni dicasteri romani, convocata dalla Chiesa in Siria su suggerimento e incoraggiamento del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali circa tre mesi fa. Il tema di questa conferenza, che è unica nel suo genere, è “carità e sinodalità”: la Chiesa che deve mettere in moto ancora di più tutte le sue energie e che assieme, appunto in spirito sinodale, si adopera per l’esercizio del ministero della carità.
Possiamo dire che è un modo per dare corpo ai continui incoraggiamenti del Papa?
È l’incoraggiamento verso una “Chiesa in uscita”, come il Buon Samaritano, che Papa Francesco ripete spesso e che vale per tutta la Chiesa e in modo particolare per la Chiesa in Siria. Mai come oggi la Chiesa siriana è chiamata ad uscire, ad uscire sinodalmente, assieme: tutti i vescovi, tutta la Chiesa siriana è già in uscita, ma deve uscire ancora con rinnovato spirito. E deve farlo assieme alla Chiesa universale. Infatti, a questa conferenza ci saranno – oltre che alcuni membri di dicasteri romani – anche la comunità internazionale cattolica e i rappresentanti delle conferenze episcopali di vari Paesi che aiutano nel ministero della carità.
Cosa vede la Chiesa Siriana nel suo essere in uscita?
Vede la più grave catastrofe umanitaria del dopo-guerra. Pensiamo a più di mezzo milione di morti e di feriti e al 90% della popolazione, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, che vive sotto la soglia della povertà. Come il Buon Samaritano che ha incontrato un povero che era incappato nei ladroni, derubato, lasciato mezzo morto al ciglio della strada, anche la Chiesa siriana nella sua strada vede 13 milioni di persone che vivono in queste condizioni, che hanno fame e che hanno bisogno di essere riscaldati perché c’è un gran freddo adesso. Sono appena partito dalla Siria; c’era la neve e temperature sotto lo zero. Ci sono delle tende di profughi che due-tre settimane fa sono crollate sotto il peso della neve. Addirittura un bambino è rimasto schiacciato sotto questa tenda caduta per la neve e poi ci sono altri bebè che sono morti di freddo. Ecco che cosa vede la Chiesa siriana.
Questa conferenza diventa dunque lo strumento per convogliare le energie e passare all’azione.
Devo dire che tutti vedono quello che sta succedendo in Siria. Però, come disse Papa Benedetto XVI, “occorre un cuore che vede”. Anche nella parabola del Buon Samaritano, c’erano due persone che prima del Buon Samaritano hanno visto, ma che si sono voltate dall’altra parte e che hanno proseguito sulla loro strada. Ecco perché c’è bisogno di un cuore che vede. Ed è la Chiesa che deve avere il cuore del Buon Samaritano che vede, che si muove a compassione. Serve la “creatività dell’amore” di cui parla Papa Francesco: bisogna far qualcosa, darsi da fare. E c’è un’altra bella espressione di San Giovanni Paolo II che riguarda la “fantasia della carità”. Di fronte a questa catastrofe umanitaria bisogna necessariamente sviluppare la fantasia della carità e bisogna anche vedere con il cuore.
Eppure in questi anni non sono mancate iniziative assistenziali da parte della Chiesa
Certamente. E sono qui anche per far presente e per ringraziare i membri della Chiesa siriana che in questi anni hanno sviluppato forme di assistenza e di carità umanitaria molto belle. Esse vanno dal pane quotidiano – di cui ha bisogno la gente – fino all’assistenza sanitaria – perché c’è necessità di medicine – senza trascurare l’educazione e l’assistenza dei bambini che non sono scolarizzati. È bello vedere questa fantasia della carità e questo uscire insieme. Ed è per questo che c’è bisogno di questa conferenza, alla quale saranno invitati anche rappresentanti delle Nazioni Unite che lavorano lì. Siamo come i discepoli ai quali è venuta una domanda quando Gesù ha detto “Date loro da mangiare” in riferimento alla gente che aveva fame. La prima reazione spontanea, anche la mia, è: come sfamare tutta questa gente, come trovare le medicine, come trovare le coperte, i vestiti adesso che è inverno!
Qual è l’obiettivo primario della conferenza?
Saranno tre giorni di riflessione di cui c’è molto bisogno. Ci sarà una Chiesa sinodale che vede come sviluppare e come organizzare meglio la carità. E che farà anche ricorso agli organismi internazionali perché qui occorrono tonnellate di farina, di riso di olio. Senza dubbio dobbiamo anche ringraziare l’impegno del Programma Alimentare Mondiale, della Croce Rossa… Ma adesso c’è bisogno anche di unire questi sforzi. E nello stesso tempo, la Chiesa, che è sul terreno e che vede, deve dare un po’ questo senso incoraggiando o richiamando la comunità internazionale a fare ancora di più.
Questa iniziativa su quali basi spirituali si basa?
Venendo a Roma, parlando della carità, io spesso mi ricordo di un grande martire siriano che era vescovo attorno all’anno 100 dopo Cristo: il vescovo di Antiochia di Siria, Sant’Ignazio di Antiochia. Lui venendo a Roma, prigioniero, per essere martirizzato sbranato dalle belve, a proposito della Chiesa di Roma diceva: “La Chiesa di Roma, con il suo Vescovo, con il Papa, presiede alla carità”. E qui, ogni volta che vengo, vedo il Papa e mi rendo conto che Francesco ha veramente a cuore questa situazione dei poveri di tutto il mondo, e in modo particolare della Siria. E avrei tanti esempi da dire anche in merito gli aiuti che mi ha dato. Ma nello stesso tempo, richiamando la figura di Sant’Ignazio di Antiochia, quando venne portato via dalla sua diocesi, ricordo anche l’appello che fece alle varie comunità durante il suo viaggio: “Ricordatevi nelle vostre preghiere della Chiesa che è in Siria”. Io ripeto questo appello perché la Siria non ha bisogno solo del pane che riceve delle Caritas di tutto il mondo, ma anche di una particolare carità: la carità della preghiera per essere in grado di svolgere meglio questo esercizio e questo ministero della carità
La pandemia, secondo lei, ha fatto diminuire l’attenzione del mondo nei confronti della Siria in termini di fratellanza e di solidarietà?
Purtroppo, da due-tre anni la Siria è dimenticata. Qualche giornalista a cui ho fatto riferimento mi ha detto: “Purtroppo, dopo 10 anni di guerra, non si riescono più a vendere le notizie sulla Siria”. Questo fatto di essere dimenticati veramente fa molto male, è molto triste. Del resto, nel frattempo, sono venuti altri problemi come il confinante Libano; adesso c’è l’Ucraina; il covid. Anche se proprio per quanto riguarda la pandemia devo dire che c’è stata una grazia nella disgrazia: non è successa, finora, quella catastrofe che si temeva perché nessuno viene in Siria. Nel paese non ci sono aeroporti che operano, tutto è chiuso e da anni si vive un lockdown che ha impedito l’ingresso e la diffusione del covid. Quindi, stando alle statistiche ufficiali, ma anche vedendo un po’ la situazione sul posto, per fortuna, questa pandemia è ancora limitata. Tuttavia, questo isolamento è brutto perché la Siria è dimenticata dai media. Nessuno parla dei siriani, che invece hanno bisogno di vedere la solidarietà fisica e quindi di vedere gente che viene nel paese per non sentirsi abbandonati. Per fare un esempio, una volta ero per strada e una coppia di giovani mi ha chiesto dove fosse il ristorante tal dei tali. Io non ero in abiti ecclesiastici e gli ho risposto: “Mi dispiace, non sono di qui, non posso dare questa informazione”. Il giovane mi ha detto subito: “Non fa niente, non è un problema, ma la ringraziamo di essere qui con noi, di essere qui, in Siria”.
Cosa può fare concretamente ciascuno di noi per stare vicino ai fratelli siriani?
R. – Direi: non abbandoniamo la Siria. Io ho visto delle immagini che non avevo visto neanche durante gli anni scorsi, quando cadevano le bombe un po’ ovunque: code di persone davanti ai panifici che vendono a prezzi calmierati dallo Stato. Vedo che la povertà sta galoppando, mentre, purtroppo, il processo di pace è bloccato. Quindi farei un appello prima di tutto alla comunità internazionale, alle sedi istituzionali internazionali, affinché si muovano: non si può lasciare una popolazione andare alla deriva e soffrire la fame, soffrire per mancanza di ospedali e di medicine. E poi farei un appello anche a tutto il mondo dei media: non dimenticare questa tragedia. Ripeto: la Siria sta soffrendo ed è ancora oggi la catastrofe umanitaria più grave dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in termini di cifre.