Chiesa Cattolica – Italiana

Visione del mondo e dialogo: a 20 anni dall’11 settembre

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’11 settembre 2001 gli Stati Uniti vivono il primo attacco sul loro suolo dai tempi di Pearl Harbour. Il nine eleven, come lo chiamano gli anglosassoni, rappresenta l’attentato più sanguinoso nella storia statunitense e un trauma che si è ripercosso sugli equilibri globali, fino a oggi. Sotto la regia dell’organizzazione terroristica Al Qaeda, nell’arco di poche ore, quattro voli commerciali diretti in California dall’Est del Paese vengono sequestrati e dirottati per colpire altrettanti bersagli in due metropoli: la torre nord e sud del complesso di edifici World Trade Center, le cosiddette Torri gemelle, a New York; il Pentagono e Capitol Hill, la sede del Congresso Usa, a Washington. L’ultimo bersaglio sarà l’unico a essere mancato.

Si sono contate 2.977 vittime, con l’aggiunta dei 19 attentatori divisi fra i quattro aerei. In totale sono morte 2.606 persone solo fra le due Torri Gemelle, 246 passeggeri ospitati dai quattro voli (inclusi gli equipaggi) e 125 persone al Pentagono. Fra i soccorritori intervenuti a New York, il prezzo più alto è stato pagato dai vigili del fuoco del New York City Fire Department: 343 i pompieri caduti durante le operazioni di salvataggio dei cittadini.

20 anni dopo è cambiata la visione sul mondo

In due decenni è venuta a mancare una visione degli Stati Uniti, e dunque in qualche modo dell’Occidente, come forza geopolitica con l’ambizione di plasmare il resto del mondo. Anche la risposta agli attacchi, la guerra all’Afghanistan per colpire i covi delle forze terroristiche che avevano ideato la tragedia del nine eleven, era stata una reazione di stampo egemonico. 

Oggi, la concezione da considerare sembra quella che è emersa dal discorso del presidente Usa, Joe Biden in occasione, del 31 agosto scorso, data del formale ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. La nuova dottrina illustrata è quella di una potenza che si considera ancora tale, ma non più egemone. Emerge, sulla spinta anche della domanda della società civile, l’idea che l’amministrazione di Washington debba difendere soprattutto gli interessi degli statunitensi, concepiti in maniera molto più “ristretta”, interna. Esportare valori e costruire nazioni – secondo il discorso di Joe Biden – non è più la missione della politica estera di Washington.

Del processo culturale di questi anni e degli interrogativi che emergono oggi parla il professor Eugenio Capozzi, docente di Storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli:

Ascolta l’intervista con Eugenio Capozzi

La data dell’11 settembre resta una data spartiacque, per la gravità di quanto successo e per il grande coinvolgimento emotivo. Da storico, Capozzi lo ricorda, spiegando però che il cambiamento da analizzare è sempre qualcosa che si identifica con avvenimenti di un giorno, ma fa parte di un processo più ampio. Capozzi infatti parla di un cambiamento che si sintetizza nell’evento traumatico, ma che deve essere spiegato con un processo in realtà graduale. Capozzi delinea un cambiamento che parte dall’idea di unipolarismo che ispirava gli Stati Uniti e arriva alla concezione del multilateralismo tutta ancora da definire.

 

Una doverosa presa di coscienza

Lo storico indica una via di riflessione: quella di cercare di capire quale presa di coscienza sia chiamato a compiere l’Occidente e non solo gli Stati Uniti. Parla di concetti fondamentali come i diritti umani e la democrazia per sottolineare che i 20 anni dalle Torri Gemelle e quanto accaduto ad agosto scorso, all’indomani del ritiro dall’Afghanistan, dimostrano che non è più credibile un’idea di liberalismo estendibile, di democrazia globalizzata. In passato si è creduto che potesse realizzarsi con le guerre e come processo di “naturale” contaminazione. Non funziona così – avverte Capozzi – e il punto è che dobbiamo fare i conti con la moltiplicazione dei conflitti, – quella che Papa Francesco definisce la “terza guerra mondiale a pezzi” –  con il riaccendersi dei fondamentalismi e con profonde criticità all’interno delle democrazie occidentali. Da parte sua, Capozzi mette l’accento sulla necessità di capire quanto il relativismo imperante – la “dittatura del relativismo” secondo le parole di Benedetto XVI – abbia minato in realtà la certezza del fondamento di alcuni valori. Lo storico distingue tra secolarizzazione e secolarismo, in sostanza per chiarire che l’attacco all’Occidente non arriva solo dall’esterno, ma anche dall’interno se pensiamo di far fuori completamente l’origine trascendente di alcuni valori. Signfica infatti svuotare, divorare il fondamento religioso di alcuni valori, come i diritti umani e poi pensare che quei diritti mantengano lo stesso peso. Capozzi riconosce che l’Occidente può avere gli anticorpi per fermare certe derive ideologiche, perchè una sana secolarizzazione vuol dire distinguere i ruoli tra legge e trascendente senza negare l’uno o l’altro. Significa difendere un patto che distingua i ruoli. Il secolarismo è proprio il contrario: l’uno che ingloba l’altro. Il fondamentalismo islamico vuole far sì che la propria dimensione religiosa inglobi la legge, ma in Occidente il rischio è che la legge, lo scientismo, la dittatura del relativismo divorino il trascendente, avverte Capozzi. In ogni caso, diventa deriva ideologica che mina i valori umani alle fondamenta.

Il Survivor tree: simbolo di civiltà in grado di risorgere sotto le ceneri

Al Memorial Park, sorto a Ground Zero, a New York, si trova il cosiddetto Survivor Tree, l’unico albero che è riuscito a sopravvivere agli attacchi del World Trade Center. Capozzi sottolinea che è un simbolo potente, non solo della forza della vita, ma anche delle potenzialità delle vere civiltà. Una civiltà si vede proprio dalla sua capacità, seppure colpita, di mantenere vivo e vitale qualcosa sotto le ceneri. Ed è quello che può aiutare, ad esempio, l’Occidente a capire il bisogno di tornare alle proprie radici, che si ritroverebbero vitali.

Il Survivor Tree è simbolo di tutto ciò. Nell’ottobre del 2001, l’albero di pero è stato scoperto e liberato dai cumuli di macerie fumanti nella piazza del World Trade Center: era bruciato, carbonizzato, con un solo ramo vitale e con pochissime speranze di sopravvivere. L’albero era stato originariamente piantato nel 1970 nel complesso World Trade Center vicino a Church Street. E’ stato curato ed è cresciuto fino a una altezza di circa 30 metri, sopravvivendo perfino all’uragano Irene che lo ha sradicato nel 2010. Oggi è circondato da un recinto, con supporti che tengono il tronco e rami in posizione, finché non avrà una propria stabilità e le radici non avranno attecchito a sufficienza. 

Nine eleven: il racconto di quel giorno

L’11 settembre 2001 a New York è una mattina di sole e di attività. Un primo aereo, un Boeing 767 dell’American Airlines, viene dirottato con 76 passeggeri a bordo su Lower Manhattan e plana verso il World Trade center, il complesso di edifici che ospitava le Twin Towers. Centra la facciata della torre nord alle 8:46, le 14:46 in Italia. Iniziano le evacuazioni e i soccorsi, ma nell’arco di 17 minuti un secondo Boeing 767, della United Airlines, si schianta sulla torre sud con 51 passeggeri a bordo. Nell’arco di meno di due ore crolleranno entrambe le Tower, uccidendo chi era rimasto bloccato nei piani più alti degli edifici, i soccorritori all’opera negli edifici e anche persone che si trovavano nei pressi. Alle 9:37, poco dopo lo schianto del secondo aereo, il mondo attonito guarda a Washington: un Boeing 757 di American Airlines precipita sulla facciata ovest del Pentagono, sede del quartier generale del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America. Pochi minuti dopo, un altro Boeing avrebbe dovuto abbattersi sul Campidoglio, la sede del Congresso, ma alcuni dei 33 passeggeri si ribellano nel tentativo di manomettere il piano dei terroristi, e l’aereo precipita a sua volta alle 10:03 in Pennsylvania, a 200 chilometri in linea d’aria dall’obiettivo che avrebbe dovuto colpire.

La risposta agli attacchi

L’attentato ha scatenato la reazione immediata di Washington, con la guerra in Afghanistan per sradicare il regime dei talebani vicini ad Al Qaeda e neutralizzare il capo, Bin Laden. L’intervento statunitense ha rovesciato il regime talebano, tornato alla ribalta esattamente due decenni dopo con l’addio delle truppe Usa al Paese proprio nello scorso agosto 2021 e il ritorno dei talebani a Kabul. Ma bisogna citare anche il conflitto in Iraq: nel 2003, nel vivo della cosiddetta “Guerra al terrore” indetta dall’allora presidente George W. Bush, gli Stati Uniti guidano una coalizione internazionale contro l’Iraq di Saddam Hussein.

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