Violenze in Senegal, i vescovi chiedono pace e dialogo

Vatican News

Tiziana  Campisi – Città del Vaticano

I vescovi della provincia ecclesiastica di Dakar, in Senegal, hanno lanciato un appello alla pace dopo le violente manifestazioni seguite all’arresto di Ousmane Sonko, alla guida del partito di opposizione Patriotes du Sénégal pour le travail, l’èthique et la fraternité (Pastef).

Arrestato il 3 marzo scorso perché accusato di stupro e di minacce di morte, il leader politico è stato rilasciato l’8 marzo su cauzione, ma è sottoposto a controllo giudiziario. Le tensioni, tuttavia, non accennano a diminuire. Nei giorni scorsi, negli scontri con le forze dell’ordine, 8 persone hanno perso la vita, mentre diverse sono rimaste ferite. Si contano pure svariati danni ad esercizi commerciali.

La voce della Chiesa

L’arcivescovo Benjamin Ndiaye, arcivescovo di Dakar, invita alla ragionevolezza, alla “saggezza e al senso civico” nell’interesse della nazione. Sonko si dichiara innocente e accusa il governo del presidente Macky Sall di voler mettere a tacere l’opposizione e di impedirgli di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2024. I presuli, riferisce La Croix Africa, chiedono di porre fine alle violenze. “Lo possiamo e lo dobbiamo – affermano – non solo difendendo i nostri diritti, ma anche assumendoci i nostri doveri e stabilendo le condizioni adatte per una migliore convivenza”. I vescovi incoraggiano inoltre al dialogo, “essenziale” per un clima di pace e serenità, ed esortano tutte le entità della società senegalese “a fare causa comune, per salvare la nazione”. “È possibile, e lo dobbiamo al Creatore, in cui crediamo, che si aspetta un impegno sincero e vero da tutti noi per il bene di tutti” aggiungono. Per monsignor Ndiaye, i gravi avvenimenti, verificatisi nel contesto della pandemia di Covid-19, hanno mostrato come il Paese possa cadere nella violenza indiscriminata, minacciando la coesione sociale. “Vite umane sono state strappate via (…) beni pubblici e privati (…) sono stati saccheggiati, distrutti e rubati, senza alcuna considerazione morale o etica, sfidando ogni giustizia – osserva monsignor Ndiaye – rendendo la situazione di molti lavoratori e delle loro famiglie ancor più precaria”.