Violenze in Burkina Faso, il governo nega un colpo di Stato

Vatican News

Gabriella Ceraso – Città del Vaticano 

Incidenti e violenze si registrano dalla giornata di sabato a Ouagadougou tra la polizia e i manifestanti che hanno sfidato un divieto di raduno per protestare contro l’insicurezza in Burkina Faso, afflitto dalla violenza jihadista che devasta il Paese senza reazioni efficaci da parte del governo. Gli agenti antisommossa hanno ieri disperso i manifestanti con gas lacrimogeni, e poi si sono susseguiti  inseguimenti nelle strade del centro della capitale burkinabé, dove sono state issate barricate di fortuna fatte di assi di legno, pietre e pneumatici dati alle fiamme. Una dozzina gli arresti e anche qualche ferito tra la stampa che segue i fatti e che riferisce del malcontento profondo della popolazione.

L’attacco alle carceri

Come reazione oggi dall’alba, colpi di arma da fuoco sono stati sparati in diverse caserme del Paese africano, incluse due nella capitale Ouagadougou. Uno dei centri colpiti è un campo militare che ospita prigionieri detenuti in relazione a un tentativo di colpo di Stato nel 2015. La notizia, riferita da fonti militari e da residenti, è stata confermata dal governo che ha però smentito, con le parole del ministro della Difesa, che sia in corso un colpo di Stato militare e che il presidente Kaboré sia stato arrestato. Nelle delle istituzioni è caduta- ripetono. In un comunicato firmato dal portavoce, il governo di Roch Marc Christian Kaboré, eletto nel 2015 e confermato nel 2020 al potere, ha invitato la popolazione a mantenere la calma e ha sottolineato la sua fiducia nelle forze armate del Paese. Kabore ha nel tempo dovuto affrontare una crescente opposizione alla sua rielezione: ha licenziato il suo primo ministro e sostituito la maggior parte del gabinetto governativo il mese scorso, mentre le violenze segnavano un acuirsi.

L’insicurezza dovuta ai militanti islamici non controllati

Le manifestazioni di protesta che stanno infiammando la popolazione sono convocate da gruppi della società civile ed esprimono la paura della gente per quanto accade da anni. Ricordiamo che il Burkina Faso,uno dei Paesi saheliani più poveri del mondo con una popolazione di una sessantina di gruppi etnici, è afflitto da attacchi jihadisti dal 2015 quando è stato eletto l’attuale presidente Kaboré, un ex barone del regime di Compaoré crollato nel 2014. La matrice è riconducibile a gruppi affiliati sia alla rete terroristica di Al Qaeda che all’organizzazione dello Stato Islamico (IS), soprattutto nella regione settentrionale del Sahel, ma con attentati e violenze anche nelle regioni vicine e, dal 2018, nell’est del Paese. L’insicurezza ha fatto salire il numero degli sfollati interni a 1,5 milioni, secondo le cifre del governo burkinabé e la violenza jihadista finora ha causato più di 2.000 morti. Le forze dell’ordine sembrano incapaci di arginare la violenza, portando a proteste rabbiose in molte città. Gli eventi più sanguinosi: nel gennaio 2016, un raid all’hotel Splendid e al ristorante Cappuccino a Ouagadougou ha ucciso 30 persone, per lo più occidentali; poi nel giugno 2021, almeno 132 persone muoiono nell’attacco al villaggio di Solhan (nord-est) secondo il governo. Infine il 14 novembre dell’anno scorso, almeno 57 persone, tra cui 53 gendarmi, vengono massacrate in un assalto a un distaccamento della gendarmeria a Inata (nord). Ampie parti del Paese ad oggi sono inaccessibili a causa dell’insicurezza e anche la presenza della Francia nel Sahel dal 2013 per combattere i jihadisti è fonte di controversia.