Lisa Zengarini – Città del Vaticano
Negli Stati Uniti resta alta la guardia per la possibilità di nuove violenze in occasione della cerimonia insediamento del nuovo Presidente Joseph Biden, istigate da diversi gruppi estremisti dopo l’assalto al Congresso, e si moltiplicano le minacce di morte contro esponenti del Congresso. In questo clima e alla luce di quanto accaduto il 6 gennaio, che ha spinto le autorità a blindare l’area tra la Casa Bianca e Capitol Hill con 25mila militari, i vescovi rinnovano il loro accorato appello a rinunciare alla violenza come strumento di lotta politica e a tornare a un dibattito civile e pacifico.
L’appello al confronto
“A chi pensa a ulteriori violenze dico, come cristiano, che siete fuorviati da una voce che non è quella di Dio”, avverte monsignor Paul S. Coakley, presidente della Commissione per la giustizia interna e lo sviluppo umano della Conferenza episcopale (Uscbb), facendo riferimento all’uso anche di simboli cristiani da parte degli assalitori di Capitol Hill. Quindi l’appello: “Per favore, guardate nel vostro cuore. Guardate le immagini degli eventi del 6 gennaio e i messaggi che li hanno accompagnati sui social. Guardate i simboli dell’odio razziale nella folla. Se avete sostenuto tutto questo, o state considerando ulteriori azioni questa settimana, chiedetevi: quello che voglio è il frutto dello Spirito Santo? Le mie intenzioni sono un’espressione di amore per gli altri, compresi quelli che posso considerare nemici? Porteranno alla pace? Mostrano pazienza, gentilezza e autocontrollo? La violenza del 6 gennaio e le tante voci che l’hanno sollecitata, compresi alcuni leader politici, sono state l’opposto di tutte queste cose”, rimarca con forza monsignor Coakley che, citando le parole di San Paolo nella Lettera ai Galati, esorta quindi a non ascoltare le parole di chi semina odio, rabbia e divisioni: “Nel vostro interesse e nel nell’interesse degli altri non confondete promesse vuote con l’amore e la pace che vengono solo da Dio”, conclude.
Sulla scia di Martin Luther King
E al clima di tensione e violenza che ha segnato il passato anno elettorale negli Stati Uniti e che continua a marcare la difficile transizione alla nuova presidenza fa riferimento anche il messaggio del presidente della Usccb, monsignor José Horacio Gomez, per l’odierna Giornata nazionale di Martin Luther King, in cui richiama il forte messaggio di amore cristiano lasciato in eredità dall’apostolo della non violenza e dei diritti civili degli afro-americani assassinato più di 50 anni fa.
“La violenza nelle nostre città della scorsa estate e quella scoppiata nuovamente al Campidoglio ci dicono che il nostro Paese è diventato troppo arrabbiato, avvelenato e diviso”, scrive monsignor Gomez. Di fronte a queste profonde divisioni, osserva “affrontiamo le stesse scelte affrontate dal Reverendo King e dal movimento per i diritti civili. Anche per noi la domanda è: come lotteremo contro le ingiustizie nella nostra società, quali mezzi useremo?”.
Affrontare l’odio con la forza dell’amore
L’arcivescovo di Los Angeles rilancia quindi le sue parole : “Nella vita qualcuno deve avere abbastanza buonsenso e moralità per tagliare la catena dell’odio. Questo può essere fatto solo mettendo l’etica dell’amore al centro della nostra vita”. Questa, afferma, “è la sfida per chi di noi crede nella promessa dell’America e cerca di rinnovare l’anima di questa grande nazione. Con lo spirito del Rev. King, dobbiamo affrontare le forze dell’odio e dell’ignoranza con il potere dell’amore. Dobbiamo imparare di nuovo la saggezza del Vangelo, amare i nostri nemici e benedire coloro che ci si oppongono”. Come aveva detto il Reverendo King, puntualizza monsignor Gomez, “non amiamo i nostri nemici perché sono amabili, o addirittura simpatici. Li amiamo perché Dio li ama. E con il nostro amore cerchiamo la loro conversione e amicizia, non la loro umiliazione. Questo è il nostro dovere cristiano in questo momento: essere guaritori e operatori di pace, vincere il male e le menzogne, non con le stesse armi, ma con parole di verità e opere d’amore”, conclude il presule.