Questa la preoccupazione condivisa anche da monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, che definisce la decisione del governo una buona notizia, ma non priva, appunto, di ricadute negative se non si rispettano i tempi per predisporre soluzioni adeguate. Ai microfoni di Vatican News, monsignor Moraglia si augura che non si ripeta l’esperienza del Mose di cui solo ora gli abitanti di Venezia cominciano a vedere, in parte, i benefici.
Ascolta l’intervista al patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Eccellenza, dal primo agosto le grandi navi come quelle da crociera non potranno più attraversare il bacino di San Marco e il canale della Giudecca. E’ un passo avanti per la tutela della fragile Venezia?
Certamente è una buona notizia, perchè due anni fa, nell’estate del 2019, abbiamo avuto due navi che si sono trovate in difficoltà e si è rischiato veramente che potesse succedere qualcosa anche per l’incolumità delle persone. Quindi è certamente un buon inizio, una buona notizia per la difesa e la tutela della città di Venezia, ma siamo però anche un po’ preoccupati per la questione dell’occupazione, perché molti posti di lavoro vengono persi e le date che vengono indicate attualmente rischiano di essere posticipate – come succede molte volte quando si fanno dei progetti che sono imponenti -, perché si trattava di trasferire l’attracco delle navi a Marghera e quindi di creare una serie di condizioni perché le navi possano attraccare e quindi i tempi preoccupano in modo reale la vita della città. Parliamo delle famiglie, degli stipendi di persone che sono in difficoltà o saranno in difficoltà. Poi bisogna tener conto che a questa difficoltà lavorativa si uniscono due anni difficili per Venezia: per la pandemia, che condividiamo purtroppo con tutto il mondo, ma anche per una sofferenza tutta veneziana, che non è quella dell’acqua alta, ma quella dell’acqua “granda” che vuol dire un’acqua la cui altezza ha proporzioni inusitate e, purtroppo, negli ultimi due anni abbiamo assistito proprio ad una invasione della città.
Lei si è già fatto portavoce dell’amarezza dei veneziani per le tante parole e anche per i soldi e i progetti spesi per la difesa di Venezia e della sua Laguna. Cosa manca per far guarire davvero questa città unica?
La preoccupazione è proprio quella che i tempi si dilatino all’infinito. Noi abbiamo un esempio negativo in questo senso che è il Mose il cui progetto è andato avanti decine e decine di anni e che i veneziani hanno incominciato a vedere nei suoi aspetti positivi con il sollevamento delle barriere quando l’acqua alta arriva ad una certa percentuale. Evidentemente però, essendo un’opera faraonica, anche i costi del suo funzionamento e di manutenzione sono notevoli e questo fa già dire che non si potranno alzare le barriere mobili tutte le volte che la città sarà visitata in un anno dall’acqua alta. Ci sarà una copertura quando l’acqua raggiungerà un livello di 125, 130 centimetri, allora si vedrà un beneficio importante per chi vive in questa città, ma sotto a questa cifra ci sarà un’invasione di acqua che comunque creerà dei problemi a chi abita. Per non parlare anche dell’area di Piazza San Marco e della Basilica di San Marco, il cuore della città storica, che ha bisogno di protezioni. La Basilica è veramente in sofferenza, anche perché si sperava che il ministero della Cultura mandasse dei ristori che erano già stati concordati, mentre adesso pare che questo non avvenga più e questo è motivo di grande preoccupazione perchè gravitano intorno alla Basilica 70 dipendenti e poi un indotto con altre 20/30 persone che lavorano. La Basilica patisce molto questo effetto combinato: pandemia e acqua “granda” e lei capisce bene che la Basilica e Piazza San Marco non sono solo l’emblema di Venezia ma corrispondono anche a tanta attività produttiva. Vorrei far presente, poi, come Venezia sia invasa da un turismo che appartiene al DNA della città, ma un turismo che deve fare i conti con territorio che potrebbe corrispondere a due o tre quartieri di Roma, che è visitato normalmente da 28 milioni di persone ogni anno.
Navi crociera lungo il canale su cui si affaccia Piazza San Marco
Considerando tutti questi elementi, vediamo che il testo della “Laudato si'” di cui Papa Francesco ci ha fatto dono ormai da sei anni, con l’idea dell’ecologia integrale che veramente pone insieme tutti gli aspetti dell’ecologia, cominciando dall’uomo, ma anche dalle relazioni umane, e poi anche dal rapporto tra ambiente, lavoro e produttività, diventa veramente un testo che dovrebbe ispirare, costituire una visione, una progettualità sulla città di Venezia. Possiamo dire, infatti, che ci sono tante altre bellissime città con un grande patrimonio artistico, però la fragilità su cui Venezia è costruita è veramente unica: qui c’è quell’equilibrio tra l’acqua, l’aria, la biodiversità, la vita lagunare, l’uomo che cerca di difendere una città abitabile a misura di famiglia, di bambino o di anziano. Ecco, ritengo che questa città, oltre che essere la capitale mondiale della sostenibità, potrebbe diventare veramente uno studio di pensiero sociale della Chiesa inquadrandola proprio in questa visione della “Laudato si'”.
Ecco, a proposito di fragilità: i danni subiti per l’acqua da mosaici e pavimenti della Basilica, potranno essere in qualche modo sanati, con l’aiuto del governo e delle istituzioni?
Guardi, io faccio un accorato appello a tutte le istituzioni preposte perchè il bene fragile di Venezia – e noi qui parliamo come dicevo prima della Basilica, degli ottomila metri di mosaici, delle colonne, degli infissi che costituiscono quella che è la Basilica d’oro -, possano avere finanziamenti adeguati e ristori sufficienti che al momento vediamo dilazionati rispetto a quella che era un’iniziale azione di ristori e finanziamenti destinati alla Basilica.
Monsignor Moraglia, dopo i mesi più difficili della pandemia, qual è oggi la situazione nella sua diocesi?
E’ una situazione di speranza, e anche una situazione in cui la prova forse ha aiutato a riflettere sulle cose essenziali. La prova è stata vissuta da parte delle comunità cristiane, dalle parrocchie, ma anche dal punto di vista dell’intera cittadinanza. Ora c’è una grande volontà di recupero, c’è una grande volontà di ricominciare e mi sembra anche di capire che c’è una volontà condivisa di evitare quelli che possono essere stati degli atteggiamenti nel passato che hanno sfruttato molto la realtà di Venezia e di volerla ora vivere in modo differente, attraverso una riflessione su una sostenibilità maggiore. Questo però richiede una grande attenzione ad una riconversione economica, sociale e lavorativa.
Per Venezia non basta il ritorno dei turisti, ma c’è bisogno di far tornare i veneziani, soprattutto le famiglie con i bambini, gli anziani. C’è qualcuno che sta pensando a come far tornare Venezia una città abitabile per tutti?
La grande sfida che Venezia non può perdere è proprio quella di rimanere una città perchè il rischio è diventare solo un contenitore che offre occasioni di incontri, di manifestazioni, quella di essere solo un grande palcoscenico. Ma la sfida vera di Venezia è rimanere una città vivibile e io ricomincerei dai bambini, ricomincerei dagli anziani e allora, quando nel passato io avevo parlato di uno statuto particolare per Venezia, era perchè vivere in questa città ha dei costi elevati. La tentazione allora per le famiglie che si devono costruire, che vogliono essere aperte alla vita, è quella di trasferirsi sulla terra ferma, ma questo trasforma Venezia e la fa non più una città di persone e di famiglie.
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