Chiesa Cattolica – Italiana

Uno sguardo in musica sull’Europa

A Zagabria la trentaduesima edizione della Biennale Musica, evento culturale per farsi un’idea di ciò che accade nel resto d’Europa, soprattutto al Nord, e avere un quadro preciso della scena musicale della Croazia

Marcello Filotei – Zagabria

C’era una volta un piccolo Paese non troppo lontano dove il presidente della Repubblica era un compositore. In cinque anni cercò di spiegare a tutti che ascoltare musica significa anche imparare a prestare attenzione a quello che dicono le persone. Molti cittadini recepirono il messaggio e cominciarono a frequentare più spesso le sale da concerto. Non diventarono tutti buoni, ma alcuni furono più attenti alle esigenze altrui. Non vissero tutti felici e contenti perché non è una favola, è quello che è accaduto in Croazia, dove Ivo Josipović è stato a capo del Paese per cinque anni prima di tornare a mettere i puntini neri sui pentagrammi. Il 22 aprile al Teatro dell’Opera di Zagabria una sua opera su John Lennon chiude la trentaduesima Biennale Musica della città. Un festival dove si possono ascoltare lavori di alcuni compositori noti, farsi un’idea di quella che accade nel resto d’Europa, soprattutto al Nord, e avere un quadro preciso della scena musicale del Paese. Anche perché da quelle parti hanno fondato, de decenni, un’Associazione nazionale di compositori il cui segretario generale, Antun Tomislav Šaban, ti spiega che non c’è preclusione per alcun genere e che comprende artisti di tutti qualsiasi provenienza, dal pop al jazz, dalla classica alla contemporanea, invece di farsi concorrenza lavorano parallelamente. Pare che funzioni perché da una parte la Biennale riceve importanti finanziamenti dall’Associazione, dall’altra ai concerti arrivano bambini che quando finiscono le sedie si accomodano in terra, genitori che non hanno bisogno di chiedere ai figli di stare in silenzio perché lo sanno già, qualche anziano al quale lasciare il posto, e tanti giovani con una birra in mano.

Inaspettatamente

Il bello dei festival di musica contemporanea è che non sai mai cosa ti aspetta. Ti può capitare per esempio quando vai ad ascoltare i Neue Vocalsolisten Stuttgart, un eccezionale gruppo di cantanti, tra i pochi in grado di eseguire Immaterial di Chaya Czernowin, anche perché la compositrice israelo-americana è acclamata proprio per la sua capacità di rimanere in bilico su quel sottile filo che distingue il suono dal rumore. Il concerto funziona, ma non poteva essere altrimenti. Più difficile da prevedere è il prologo. Entrando alla Lauba, un’ex scuderia diventata un centro polifunzionale, ad accoglierti ci sono Paul Skrepek e Andreas Platzer, due tipi che quando li vedi pensi subito: «Ok, c’è qualcuno più pazzo di me». Poi iniziano a parlare e ti spiegano che hanno tirato fuori rifiuti di ogni genere dai secchi dell’immondizia, hanno rovistato nelle cantine, nei vecchi armadi, ovunque ti venga in mente e hanno messo assieme Die Maschine, una installazione dove ruote di ciclisti in pensione, ferri di cavallo orfani di zoccoli, lastre di ferro ammaccate, lavatrici di venerata esperienza, strumenti con meno corde del solito, palline da ping pong troppo utilizzate, e letteramente qualsiasi altra cosa vengono usati per restituire il suono della «cultura dello scarto». È come se ti dicessero: «Guarda cosa hai gettato via». 

Scambio di idee

Ma questo è anche un luogo dove la guerra non è un ricordo lontano, ma una ferita ancora aperta. I tassisti ti raccontano che hanno combattuto, le manifestazioni si susseguono sulla piazza centrale, i musicisti ci ragionano. Anche per questo la direttrice artistica del festival Margareta Ferek-Petric, giunta alla sua ultima edizione, ha affidato ancora ai Neue Vocalsolisten un progetto chiamato Balkan Affairs, per incoraggiare i giovani compositori della regione a scambiare idee e comprendere le reciproche somiglianze e differenze culturali tra Paesi che ancora pochi anni fa erano in guerra tra loro.  Tra i vari lavori figurava il Requiem Ex Machina per sei voci amplificate di Hanan Hadžajlić, un grido di dolore che descrive quello che è accaduto e lo reinventa.

Ascolta un estratto del “Requiem Ex Machina” di Hadžajlić

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/04/21/17/137036344_F137036344.mp3

Livello internazionale

E poi Klangforum Wien, Cantus Ensemble, l’orchestra e il Coro della Radiotelevisione croata e tanti altri. Tutti nomi che appena li leggi capisci di essere a un festival di livello internazionale. Ma c’erano anche cose più “piccole” come quello affidato a Filip Merčep, un percussionista che da solo ha tenuto in piedi un programma di oltre un’ora passando tra linguaggi molto diversi con apparente naturalezza. Del resto il concerto era intitolato SUITE: Puls+ doveva essere vario. Quando il pubblico ha finito di invadere una saletta molto piccola, accontentandosi anche di sedersi sulle scale o sul pavimento. Lui è entrato e per oltre un’ora ha proposto un excursus storico che partiva da Iannis Xenakis e arrivava fino a oggi. Anche utilizzando l’elettronica e i video come in Snare, you there? di  Gordan Tudor.

Ci sarebbe altro da raccontare, ma non si può perché le cose che più ti colpiscono accadono mentre sei convinto di andare ad ascoltare altro. 

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