Adriana Masotti – Città del Vaticano
Cinquatotto giorni di guerra in Ucraina, in un crescendo di violenze, distruzioni, massacri, abusi. Abbiamo visto fosse comuni, corpi per strada, automobili crivellate, città bombardate, mancanza di acqua, cibo e medicine, abbiamo sentito di bambini scomparsi, di donne violentate, di civili a cui è stata impedita la fuga. Abbiamo assistito a tentativi, pochi, di negoziato che ora appare sempre più complicato far ripartire. Ma “la pace è sempre possibile e la nostra preghiera è alla radice della pace”, ha scritto in un tweet Papa Francesco lo scorso 26 marzo. Domenica 17 aprile il Papa ha affermato: “In questa Pasqua di guerra troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza. (…) Facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte”. Ma, ha proseguito, “davanti ai segni perduranti della guerra, come alle tante e dolorose sconfitte della vita, Cristo, vincitore del peccato, della paura e della morte, esorta a non arrendersi al male e alla violenza”.
La preghiera e le parole del Papa sono il nostro sostegno
Ad una settimana di distanza, domenica 24 aprile, saranno i fedeli greco-cattolici e gli ortodossi a celebrare in Ucraina la Risurrezione di Gesù. Oggi per loro è Venerdì Santo, un venerdì particolarmente reale e crudo in questo tempo. Donatella Rafanelli è un’italiana che prima della guerra viveva a Kiev in una comunità del Movimento dei Focolari, ora è sfollata in una località nella zona occidentale del Paese. In precedenza ha vissuto per 24 anni in Russia e anche là ogni anno ha condiviso la gioia della Pasqua con i tanti amici greco-cattolici e ortodossi nella data che segue il calendario giuliano, una seconda opportunità per lei di confronto con la straordinaria realtà della Risurrezione. Ai microfoni di Vatican News racconta come ha vissuto fin qui i giorni della guerra, insieme alla sua comunità:
Donatella Rafanelli, ci siamo sentite il 23 febbraio scorso, proprio il giorno prima l’inizio della guerra in Ucraina. Poteva immaginare allora quanto sarebbe successo?
No, no, di sicuro non potevo immaginare quello che poi è accaduto, questo no. Certo, c’erano tutti i prodromi, c’era quella tensione che ci poteva portare all’idea che sarebbe potuto scoppiare nel Paese un conflitto più forte, ma mai mi sarei immaginata così, questo no.
Successivamente lei ha potuto trovare rifugio in una località all’ovest dell’Ucraina e da lì ha cercato di aiutare altre persone fuggite dalle loro case, molti però non hanno potuto usufruire dei corridoi umanitari o avere i mezzi per fuggire: come sta vivendo questo momento?
Per me è un periodo molto molto speciale, un periodo di sofferenza ma, al tempo stesso, un periodo in cui la preghiera ci è di grande sostegno, la preghiera non solo della nostra comunità, ma di tutto il mondo. A me colpisce tantissimo il fatto di vedere, per esempio, quante persone pregano: a un certo punto mi è arrivata da Milano una foto con una piazza piena di persone che pregavano; un’amica mi ha scritto dalla Svizzera che erano in una piazza in 20 mila a pregare… A me, e a tante persone attorno a me, questo dà tanta speranza perché io sono profondamente convinta che qui solo un miracolo ci possa salvare. Noi del focolare non volevamo assolutamente lasciare l’Ucraina, questa era una decisione che abbiamo preso insieme, per cui ci siamo spostate nella parte più occidentale del Paese, abbiamo trovato ospitalità in una parrocchia dove viviamo tutt’ora, con noi ci sono altri profughi, una famiglia, e da lì cerchiamo di renderci utili così come possiamo. Ci siamo messe in contatto con tante persone che abbiamo cercato di amare pur sapendo, a volte, di non poter offrire niente perché erano persone in luoghi occupati fino ad ora, in alcune località è possibile chiamare in altre no, perché non c’è la linea, ma con queste persone si è creato un rapporto quasi di famiglia. Mi viene in mente l’esperienza che abbiamo fatto con Irina che adesso vive a Torino. L’abbiamo accompagnata da quando ha lasciato il suo paese vicino a Mariupol, ha impiegato dieci giorni per raggiungere l’Italia, il viaggio è stato un’odissea, però siamo rimaste sempre in contatto. Una mattina lei mi aveva chiamato dicendo: “Posso partire solo oggi ma non abbiamo la benzina nella macchina” e allora cosa potevamo fare noi a chilometri di distanza? Abbiamo pregato. Poi ha scritto che la benzina era stata trovata. Insomma, adesso sta in Italia, certo con tutto il dolore di aver lasciato la sua patria e tutto, però è felice di essere stata accolta da una comunità lì. E come questa, tante altre storie anche di grande sofferenza. Sono ben cosciente che io sono riuscita ad uscire dalla mia città, insieme a tanti che sono riusciti a spostarsi all’interno dell’ Ucraina, ma che tante altre persone non ce l’hanno fatta e non possono ancora, penso a Buča, penso a Mariupol, per le quali si può solo pregare. Io sento che la preghiera è veramente ciò che ci sostiene, così come Papa Francesco che ci accompagna tantissimo con tutte le sue parole.
Da quando è cominciata la guerra il Papa non ha perso nessuna occasione per invocare la pace, nuovi negoziati, per chiedere che questa guerra cessasse: queste parole vi sono arrivate e che cosa l’ha colpita di più?
Sì sì, le sue parole ci sono arrivate, viviamo di queste parole, posso dire. Mi hanno colpito tante cose: il suo coraggio che mi dà coraggio, il fatto di credere nella pace, ma di crederci fino in fondo una pace radicale, ma una cosa che mi ha colpito in modo particolare era un Angelus di alcune settimane fa, quando lui ha parlato del Dio delle possibilità, cioè ha detto che
Donatella, prima di vivere in Ucraina, ha vissuto per più di vent’anni in Russia. Cos’è per lei adesso pensare ai russi?
È vero, ho vissuto in Russia, là ci sono i miei fratelli e sorelle in Cristo. Allora in me oggi c’è certamente una grande ferita, perché amo molto quel popolo, conosco bene tante persone, la Chiesa ortodossa di lì, quella cattolica, conosco le comunità del Movimento e con loro si è creato un rapporto molto forte che dura e tutt’ora continuiamo a sentirci. Ma amo anche il popolo ucraino con cui sto condividendo un percorso spirituale, c’è anche qui un comunità. Quello che sento di fare profondamente è pregare per gli uni e per gli altri, ma veramente allo stesso modo e anche nella comunità ci siamo proprio impegnati in questo senso. Lo si può immaginare, si sentono tante parole anche di odio, perché c’è un Paese che ha occupato un altro, però io dico sempre che c’è un popolo, quello russo, che anche lui vuole la pace, anche se in questo momento non ne può parlare per ovvi motivi. Allora sì, penso che sia molto necessario pregare anche per questo popolo.