Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Una nave, un team di professionisti e volontari, tra cui medici, infermieri, per prestare soccorso e raccogliere testimonianze su quanto accade a poche miglia dalle coste italiane. Ma anche giornalisti e fotografi per informare l’opinione pubblica attraverso i media, le scuole e incontri pubblici. Sono gli ambiti attraverso cui si snoda il progetto lanciato dall’associazione italiana “ResQ” nata per aggiungere, con il contributo di chi non è indifferente, una nave alla flotta umanitaria. Ad ottobre è stata avviata una raccolta fondi per rendere concreto questo progetto.
Il Mediterraneo, per secoli culla di civiltà e patrimonio di culture e visioni, oggi è diventato cimitero di uomini alla ricerca di un futuro migliore. “Noi vogliamo salvare la vita delle persone”, sottolinea a Vatican News il presidente di ResQ, Luciano Scalettari. La nave potrebbe essere operativa già nel mese di luglio.
R. – Noi andiamo perché nessuno deve morire in mare, a prescindere da qualunque altro ragionamento o motivazione. Un punto fermo, per noi, è che chi rischia di morire in mare va salvato.
L’idea nasce da una constatazione: sono insufficienti le navi attualmente operative per il soccorso delle persone in mare…
R. – Si, questo è confermato anche da questi primi mesi del 2021. Sono già centinaia le persone tra dispersi e vittime. Questo conferma che, anche nella situazione attuale, continuano a morire persone. Questo significa che le navi sono insufficienti. Noi sappiamo bene che le Ong e le associazioni come la nostra non avrebbero dovuto nemmeno aver sentito l’esigenza di andare in mare. Pensiamo che sia un compito delle istituzioni rispettare il diritto internazionale e salvare persone in mare. Questo non avveniva e non avviene. Allora abbiamo deciso di non stare più a guardare.
Non stare più a guardare anche perché, come ha detto più volte Papa Francesco, non si può restare indifferenti…
R. – Ho fisso nella mente quel momento molto forte e quella frase che il Papa ha detto dopo la strage di Lampedusa: è vergognoso che sia accaduta e non dovrebbe accadere mai più. E invece è una tragedia accaduta molte altre volte. Sicuramente le parole del Papa, non solo in quell’occasione, sono state per noi un elemento molto importante.
Un’altra constatazione che scandisce il vostro progetto è che salvare vite non è e non potrà mai essere un reato…
R. – Non può essere un reato. Prendo a prestito le parole di Gherardo Colombo, presidente onorario di ResQ. Lui dice che è necessario. Poi c’è il fatto che c’è un diritto internazionale univoco sancito dalle norme internazionali del soccorso. In base a tali norme, le persone quando sono in difficoltà vanno soccorse, salvate e portate al sicuro nel porto più vicino.
Si deve salvare ma anche raccontare. Tra le finalità di “ResQ” c’è anche quella di superare la narrativa di paura e xenofobia legata, in molti casi, a notizie sui migranti..
R. – Questa paura, in parte anche indotta dalla propaganda politica e da altri fattori esogeni rispetto al problema centrale che consiste nel non far morire le persone nel Mediterraneo, è sicuramente un problema serio. E questo lo dico innanzitutto da giornalista. Quando abbiamo davanti una persona concreta che ha un nome e una storia, il nostro rapporto con questa persona cambia. Non possiamo non essere solidali e non cercare di salvarli.
Si deve raccontare, si deve agire. Quanto manca ancora ‘tra il dire e il mare’, affinché finalmente la nave di ResQ possa essere operativa?
R.- Manca poco. Da un punto di vista finanziario, abbiamo ancora da fare perché ci sono dei costi ingenti da sostenere. Però siamo pronti per partire.
Pronti per luglio?
R. – Assolutamente luglio. Non dobbiamo perdere l’estate che è il momento in cui i casi di naufragio sono maggiori.