Un sussurro nel silenzio della steppa

Vatican News

La missione della Chiesa nelle parole che Francesco ha rivolto ai cattolici della Mongolia

ANDREA TORNIELLI

Nelle parole che Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa della Mongolia, piccola nei numeri ma grande nella carità, si trovano spunti preziosi, utili ben al di là dei confini di questa terra dove lo sguardo si perde nell’orizzonte delle steppe. A questa Chiesa ancora nascente, il Successore di Pietro ha ricordato che cosa sia la missione, cioè «spendere la vita per il Vangelo». Ha detto che, proprio perché «si è sperimentata nella propria vita la tenerezza dell’amore di Dio» quel «Dio che si è reso visibile, toccabile, incontrabile in Gesù», buona notizia destinata a tutti i popoli, la Chiesa «non può smettere di portare» questo annuncio, «incarnandolo nella vita e “sussurrandolo” al cuore dei singoli e delle culture».

È particolarmente evocativa l’immagine del “sussurrare al cuore”. Il cristianesimo non si è diffuso grazie a fragorose battaglie culturali o a proclami; né – d’altra parte – attraverso l’accomodamento di quella religione borghese, fatta di riti, tradizioni e quieto vivere già a suo tempo denunciata da Charles Peguy. È un annuncio da testimoniare prima di tutto con la vita, e così sussurrarlo ai cuori delle persone e delle culture. Il verbo “sussurrare” richiama quel passo del Primo Libro dei Re, dove Dio non si manifesta al profeta Elia nel terremoto o nel fuoco, ma nel «mormorio di un vento leggero».

È soltanto il riverbero della testimonianza ciò che può veramente attrarre. Non è un caso che Friedrich Nietzsche così rimproverasse i cristiani del suo tempo: «Per la vostra fede le vostre facce sono sempre state più dannose delle nostre ragioni!».

La via privilegiata della testimonianza, come si vede incarnata nella realtà della piccola Chiesa di Mongolia, è la carità. Francesco ha invitato i cattolici di questo Paese a rimanere sempre in contatto con il volto di Gesù per tornare sempre e di nuovo a quello sguardo originario da cui tutto è nato. Perché, altrimenti, anche l’impegno pastorale «rischia di diventare sterile erogazione di servizi, in un susseguirsi di azioni dovute, che finiscono per non trasmettere più nulla».

Il Papa ha quindi sottolineato che il Nazareno, inviando i suoi in missione, non li ha mandati «a diffondere un pensiero politico, ma a testimoniare con la vita la novità della relazione con il Padre suo, diventato “Padre nostro”, innescando così una concreta fraternità con ogni popolo». La Chiesa che nasce da questo mandato è dunque povera, non fa affidamento sulle proprie risorse, strutture e privilegi, non ha bisogno della stampella del potere, ma «poggia solo su una fede genuina, sulla disarmata e disarmante potenza del Risorto, in grado di alleviare le sofferenze dell’umanità ferita». Ecco perché, ha aggiunto Francesco, i governi e le istituzioni secolari «non hanno nulla da temere dall’azione evangelizzatrice della Chiesa, perché essa non ha un’agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti». Parole significative non soltanto per un Paese come la Mongolia, dove il rispetto per le diverse religioni ha una secolare tradizione, ma anche per i suoi grandi “vicini” confinanti.