Chiesa Cattolica – Italiana

Un salesiano dal Sudan in guerra: “Cadono le bombe ma noi non ce ne andiamo”

Mathew Job, rettore della comunità dei membri della Società Salesiana di San Giovanni Bosco della città di El Obeid, racconta la situazione dopo lo scoppio delle violenze che stanno insanguinando il Paese. Appello alla comunità internazionale: “Spendersi per la pace, non è il momento del silenzio”

Federico Piana – Città del Vaticano

“I salesiani desiderano stare accanto alla gente come icona di speranza”. Mathew Job parla da El Obeid, città del Sudan, capoluogo dello Stato del Kordofan Settentrionale, e ha nelle orecchie il rumore sordo e terrificante dei colpi di artiglieria che, ormai da settimane, interessano anche la zona nella quale lui è rettore della comunità salesiana locale. Il sacerdote ed i suoi confratelli non vogliono abbandonare la popolazione proprio adesso che le violenze scoppiate nel Paese stanno letteralmente facendo scorrere fiumi di sangue. “Come è successo in altre occasioni simili, noi vogliamo continuare a fornire aiuto materiale e spirituale ad ogni persona. Certamente, non ce ne andiamo” dice il rettore.

Qual è la situazione nella zona in cui vi trovate?

Praticamente ogni giorno si sentono le esplosioni delle bombe. Dall’inizio della guerra, abbiamo chiuso le nostre scuole e c’è stato detto di rimanere nelle nostre abitazioni. El Obeid ha subito danni e anche la cattedrale ha risentito dei bombardamenti.

Quali sono le aree del Paese più colpite dalla violenza?

L’epicentro delle violenze è stata la capitale del Paese, Khartoum. Ma anche altre due città limitrofe, Omdurman e Bahari, sono state duramente colpite fin dall’inizio della guerra. Una delle comunità religiose femminili e una scuola cristiana sono state conquistate da una delle parti in conflitto, poiché si trovavano in un luogo strategico. Chiuso l’aeroporto della capitale, gli sforzi di evacuazione dei civili si sono interrotti e in molti stanno tentando di raggiungere il Sud Sudan attraverso la città di Kosti.

In che modo le comunità salesiane del vicino Sud Sudan stanno tendando di portare aiuto?

Le nostre comunità del Sud Sudan non sono in grado di aiutarci nella situazione attuale, anche se cercano di sostenere chi riesce a fuggire arrivando da loro. Nel nostro Paese gli eventi sono molto fluidi e non sono previsti interventi, se non aiuti individuali.

Più in generale, come sta reagendo la Chiesa del Sudan a questa terribile situazione?

La catastrofe che si è abbattuta sulla nostra nazione prescinde dal credo o dall’etnia. Pertanto, tutti sono colpiti. La preoccupazione principale di ognuno, compresi i nostri fedeli, è quella di rimanere al sicuro. Molte istituzioni ecclesiastiche sono state danneggiate. Però la speranza che la guerra cessi e che torni la democrazia non morirà mai. La mia più grande preoccupazione resta quella per i giovani ed i bambini, perché un conflitto prolungato può cancellare in loro la speranza in un futuro migliore.

Una moschea colpita a Khartoum,. La guerra non ha connotazioni religiose o etniche, tutti sono colpiti

Quali sono i bisogni urgenti della popolazione?

Ha necessità di tutto. La scarsità di carburante ha bloccato il trasporto delle merci e di conseguenza i prezzi sono saliti alle stelle.

Che ruolo dovrebbe svolgere la comunità internazionale per cercare di portare la pace?

Deve impegnarsi con ogni mezzo per cercare di porre fine al conflitto. Non si può essere spettatori e compatire le vittime. Non c’ è spazio per il ritardo o il silenzio: bisogna agire al più presto per alleviare le sofferenze di civili innocenti.
 

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