Eugenio Bonanata e Daniele D’Elia – Città del Vaticano
Continua, oggi, la narrazione della meravigliosa storia di Benedetta Bianchi Porro. Nonostante gravemente malata ed invalida, racconta Comastri, la giovane viene sostenuta costantemente dall’affetto degli amici e dei conoscenti che vanno a farle visita. C’è in lei “una bontà umanamente inspiegabile” e che traspare a tutti e di cui fanno esperienza soprattutto i genitori. C’è un denso scambio di corrispondenza tra questa famiglia e quanti chiedono notizie della ragazza e delle sue condizioni di salute. Da questo epistolario emerge grande coraggio e grande apprezzamento per la vita data in dono a tutti, malgrado le tribolazioni. Non chiede la guarigione fisica, accetta la sua condizione e considera il suo stato, comunque, “una ricchezza”. E afferma che nel letto che è “la sua dimora” ha trovato una “sapienza”, più grande di ogni altra.
Nei giorni in cui l’epilogo della sua storia è vicino, Benedetta, costretta a letto, chiama la madre e le chiede di pregare assieme il Magnificat. La sua fede in Dio e la sua devozione alla Vergine Maria, nonostante la sofferenza, sono una lezione impareggiabile di santità. La sensazione vissuta in quei momenti è stata riportata dalla mamma in persona al cardinale Comastri. La Madonna le è maestra per affrontare la dura scuola del Calvario. Scrive: “nelle prove mi raccomando alla Madre che ha vissuto prove e durezze le più forti, perché riesca a scuotermi e a generare dentro il mio cuore il suo figlio così vivo e vero come lo è stato per Lei”. Continuamente attinge forza dalla Mamma Celeste per continuare ad essere serena e “far fiorire” il suo dolore. Il 23 gennaio 1964, poco prima di morire, nel giardino della casa di Benedetta Bianchi Porro sboccia una rosa bianca, fuori stagione. “Un dolce segno” per lei, consapevole che il trapasso è, in fondo, l’inizio di una vita più piena.