Eugenio Bonanata e Daniele D’Elia – Città del Vaticano
Quella di Benedetta Bianchi Porro è una storia, senz’altro, segnata dal dolore, dalla sofferenza. L’esistenza di questa giovane laica, recentemente beatificata da Papa Francesco, è anche una preziosa testimonianza di come un cristiano può affrontare la malattia con dignità, con fede e serenità d’animo. È stata convinta, fino alla morte, che la vita è “una cosa meravigliosa anche nei suoi aspetti più terribili”. La sua patologia, una neurofibromatosi diffusa, l’ha lentamente paralizzata, rendendola anche cieca, sorda e le ha risparmiato solo le facoltà mentali. Nasce a Forlì, sottolinea Comastri, che in due meditazioni ne ricorda le vicende, e già ai primi vagiti si manifesta tutta la sua fragilità. La mamma, appena nata, la battezza con acqua proveniente da Lourdes, temendo che possa morire. E pochi mesi più tardi, continua il cardinale, viene affetta da poliomelite. È derisa da tutti e soprannominata “la zoppetta” per via di una gamba più corta dell’altra e deve necessariamente usare scarpe ortopediche.
Come “una pianta meravigliosa che viene potata”, Benedetta perde progressivamente tutte le sue funzioni sensoriali e motorie, con il passare degli anni. Questo non le impedisce di iscriversi e frequentare la facoltà di Medicina. La madre gli offre un preziosissimo supporto e la assiste con premura durante gli anni degli studi. Ma, purtroppo, non riuscirà a laurearsi, sebbene arrivata ad un passo dal traguardo. Ad un giovane disabile di nome Natalino scrive una lettera per incoraggiarlo a non cadere nella disperazione e lo ammonisce: “la vita è una veloce passerella: non costruiamo la casa sulla passerella, ma attraversiamola tenendo stretta la mano di Gesù per arrivare in Patria”.