Chiesa Cattolica – Italiana

Un caffé a Rieti con Suor Mary Rambo

Sui media vaticani, uno dei racconti di Dale Recinella, ex avvocato della finanza di Wall Street che oggi, insieme alla moglie Susan, assiste i detenuti in Florida

di Dale S. Recinella

Dopo la mia esperienza di quasi-morte nel 1988 a causa di un’ostrica avariata, Susan ed io facciamo numerose visite al nostro parroco Padre Foley e a Padre Murray, il mio consigliere spirituale francescano del liceo. La nostra domanda è sempre la stessa: “E adesso? Dove troviamo queste persone sofferenti di cui parlava Gesù? E cosa facciamo per loro?”

In risposta, i nostri consiglieri spirituali concordano sul fatto che trarremmo beneficio da un pellegrinaggio di studio incentrato su due persone vissute quasi un millennio fa. Si tratterà di una grande esperienza per entrambi, ma non insieme. Una coppia sposata non può portare cinque figli, da uno a quattordici anni, in pellegrinaggio con quarantotto suore e sacerdoti. Susan andrà per prima mentre io mi occuperò dei bambini.

Susan parte per Assisi e Roma nell’agosto del 1988, per trascorrere sedici giorni in preghiera e nello studio della vita dei santi Francesco e Chiara d’Assisi. Erano due laici che cercarono di seguire alla lettera il Vangelo, nel luogo, nelle circostanze e nel tempo in cui vissero, all’inizio del XIII secolo. Francesco non voleva essere ordinato sacerdote. Chiara non voleva essere reclusa in un convento. Nel cuore e nello spirito, erano entrambi laici che volevano vivere una vita che non aveva senso se i Vangeli non fossero autentici. Eppure, nell’obbedienza, finirono per accettare vocazioni religiose per inserirsi nella Chiesa di quel tempo.

Nel giugno del 1989 tocca a me. Susan e i bambini stanno con la famiglia a casa di mio padre a Detroit mentre io partecipo alla versione di 30 giorni del pellegrinaggio di studio a Roma e ad Assisi. Dopo Assisi ci spostiamo nella città di Rieti, che si trova nel centro geografico della penisola italiana e la cui piazza cittadina presenta un punto noto come l’ombelico d’Italia. Cosa più significativa, è il luogo di molti eventi importanti nella vita di San Francesco e Santa Chiara. Dopo quasi tre settimane di studio, preghiera e visita ai luoghi sacri e storici di Roma e Assisi, Rieti è dove il nostro gruppo si fermerà per pregare e riflettere su come il pellegrinaggio stia sfidando la nostra vita.

La sera prima dell’inizio dei tre giorni di silenzio nel monastero di San Michele Arcangelo, collocato in cima a Rieti, sto prendendo un caffé in un bar all’aperto con una delle suore francescane del nostro gruppo. È una donna tranquilla e gentile. Mi colpisce la sua spiritualità e la partecipazione che mostra in ogni momento. Sono rimasto senza parole dalla sua citazione, durante la discussione di gruppo, delle parole di sant’Agostino: Finché ci sono persone che mancano del necessario, una persona che ha più di quanto abbia bisogno detiene i beni di un altro. Stasera è finalmente l’occasione per conoscerci meglio.

La nostra conversazione ci porta a ricordare il periodo della guerra in Vietnam. Sono sbalordito mentre descrive con semplicità la sua esperienza in Vietnam come missionaria che si prendeva cura degli orfani nelle zone di guerra. Gli stereotipi, che le avevo appioppato per le sue dimensioni minute e i suoi modi schivi, vengono demoliti mentre racconta le sue avventure di sfollamento dei bambini piccoli, portandoli ad aerei ed elicotteri sotto i colpi di mortaio e mitragliatrice durante gli ultimi giorni dell’evacuazione americana.

“Bene…” Rompo finalmente il silenzio che punteggia la fine del suo racconto, schiarendomi debolmente la voce. “Ah… cosa stai… ah…. facendo ora?”

“Lavoro con i malati di AIDS in un ospedale di Brooklyn.” La sua risposta è altrettanto uniforme e imperturbabile quanto la sua voce mentre raccontava storie su come schivare proiettili nel sud-est asiatico.

Rispondo istintivamente con una domanda davvero spaventosa, una domanda che affonda le radici nella mia ipocrisia morale. Questa piccola Suor Mary Rambo mi guarda dritto negli occhi e dice dolcemente: “Chi di noi vuole affrontare le peggiori conseguenze possibili del nostro più piccolo errore?

Chi vuole affrontare le peggiori conseguenze possibili del proprio più piccolo errore?

Che domanda! Non c’è spazio per l’arroganza o l’ipocrisia di fronte a questa domanda. Conosco il significato più profondo del suo pensiero. Solo per grazia di Dio, non sono in quella situazione. Mi è stato detto che era l’affermazione spesso citata di San Francesco d’Assisi quando gli veniva chiesto cosa ne pensava di coloro che avevano agito male. È solo per grazia di Dio, implica, che noi stessi non affrontiamo la peggiore conseguenza possibile del nostro più piccolo errore, per non parlare dei nostri errori più gravi.

So cosa intende e lei sa che io so cosa intende. Fisso a lungo la mia minuscola tazzina da caffè italiano, incapace di guardarla negli occhi per il resto della serata.

All’inizio del 1990, Susan ed io abbiamo entrambi completato la nostra formazione di volontariato presso il Centro di Assistenza Sociale senza scopo di lucro di Tallahassee per le persone con AIDS. Susan è stata preparata a fornire supporto agli assistenti. Io sono stato preparato ad assistere i moribondi per offrire amicizia e sostegno a coloro che muoiono di AIDS.

Non appena ho completato la formazione, ricevo la mia prima richiesta di aiuto. Meno di mezz’ora dopo, sono all’interno dell’ufficio e dei cubicoli costruiti con pannelli ondulati del Centro di Assistenza Sociale per l’AIDS di Tallahassee. La moquette, le sedie e le scrivanie sanno di surplus del governo statale, vintage anni ’70.

“Grazie per essere arrivato così in fretta.” La direttrice è una giovane donna sulla trentina, con abilità molto spiccate sia per il gentile supporto uno a uno ai malati terminali che per gli scontri bellicosi per ottenere i finanziamenti. “Ho la sensazione che questo nuovo cliente avrà davvero bisogno della tua guida spirituale.”

“In quale modo?” La mia voce tradisce il fatto che non mi sento qualificato per dispensare alcun consiglio ai morenti.

“Si è presentato qui ieri, abbastanza sconvolto. Poi ha detto: ‘Sono un veterano; ho l’AIDS e una pistola, e se non mi date un amico, mi ucciderò.’ Ho subito pensato a te come alla persona migliore per prendersi cura di lui.”

“Veramente?”, spero che la mia voce stia mascherando l’ondata di panico che mi assale.

“Assolutamente.”, sembra avere molta fiducia in me. “Ha bisogno di spiritualità più di ogni altra cosa. Possiamo assicurarci che abbia medicine e servizi sociali. Ma ha bisogno di spiritualità”.

“Perché…”, la invito a finire la sequenza.

“Perché il suo spirito sta morendo di solitudine. Non credo che abbia un solo amico al mondo, solo sua madre.”

“E vuoi che io sia suo amico?”

“Ecco perché sei qui.”, fa un accenno di scrollata di spalle all’ovvio. “Ma sarà una sfida, e penso che tu sia il migliore per gestirlo.”

L’appartamento del malato è al primo piano di una casa popolare. Una rampa per sedie a rotelle marrone, dipinta di fresco, è stata frettolosamente installata in previsione dell’inevitabile. Il mio bussare alla porta innesca una risposta tutt’altro che entusiasta.

“Chi diavolo è?”

“Sono qui dal Centro. Hanno detto che hai bisogno di un amico.”

“Allora entra, no?”

La porta, non chiusa a chiave, si apre su un ambiente trasandato. L’area della cucina a sinistra è piena di piatti sporchi e puzza per l’abbondante immondizia caduta da un bidoncino di plastica che si è arreso da tempo al tentativo di contenere tutto. Il gabinetto è visibile in fondo. A destra, dove normalmente ci si aspetterebbe un divano, c’è un letto di tipo ospedaliero con il mio nuovo amico seduto eretto davanti a un televisore, che naviga distrattamente tra i canali.

“Allora, quanto ti pagano per essere mio amico?”

“Sono un volontario. Nessuna paga.”

“Beh, sei davvero speciale”

“No. Sono solo un volontario.”

“Bene, cosa sai fare, signor volontario?”

“Di che cosa hai bisogno?”

Lo strano giovane sul letto d’ospedale lascia cadere il telecomando in grembo e fissa il vuoto.

“Non lo so.”, dice senza guardarmi. “Non so di cosa ho bisogno.”

“Allora cominciamo tirandoti fuori da questo posto per un po’. Puoi camminare?”

“Sì. Non sono ancora morto.”

“Questo è un buon segno. Andiamo al lago Ella e diamo da mangiare alle anatre. Sai, il bellissimo lago con una fontana, circondato da un sentiero appena a nord del centro di Tallahassee. Ci sono un sacco di anatre lì.”

“Perché diavolo dovrei dare da mangiare alle anatre?”

“Ho scoperto che, qualunque cosa mi dia fastidio, dare da mangiare alle anatre mi fa sentire meglio.”

“Se chiamo quello stupido ufficio e dico loro che ti ho licenziato, mi daranno qualcun altro?”

“No. Sono la tua unica possibilità.”

“Tu e le tue fottute anatre!”, protesta energicamente mentre lo trascino in macchina e al lago Ella, dove recupero diversi sacchi di pane raffermo dal bagagliaio.

“Cosa sei, un fornaio?” Il suo cinismo è senza riserve.

“No. È pane raffermo della mensa dei poveri, troppo vecchio per essere usato dalla gente.”

“Allora dai il pane raffermo alle anatre? Che tipo di persona sei?”

“Il tipo di persona che adesso sta qui con te.”

Andiamo al cinema, assistiamo alle partite di baseball della FSU e diamo da mangiare alle anatre. Quando la sua capacità di camminare inizia a vacillare, prendiamo una sedia a rotelle. Presto, anche questo è a malapena fattibile.

Il minimo di pulizia nel suo appartamento è stato sempre fatto da sua madre. Suo marito, patrigno di suo figlio, è il sollevatore di pesi, letteralmente. Anch’egli veterano della Marina, è lui che aiuta a fare il bagno e a sollevare suo figlio. Questo patrigno è tutto umanità e compassione. Non posso fare a meno di chiedermi se San Giuseppe, il patrigno terreno di Gesù, non fosse fatto della stessa stoffa.

Quanto alla madre, considero la donna un vero gioiello per Gesù. È una solida cristiana, una Battista del Sud con generazioni di radici religiose. Suo figlio è andato nell’esercito ed è tornato dipendente dall’eroina e affetto da AIDS. Da quando è tornato, suo figlio ha rifiutato qualsiasi interesse per Dio o per la fede. Lei non si lamenta mai e non condanna mai ciò che Dio ha permesso. Tiene la sua Bibbia vicina, il suo Salvatore più vicino e continua a pregare.

Con il progredire della malattia, il mio amico è costretto a letto. La mia assistenza ora è tanto pratica quanto spirituale. Un infermiere è spesso in servizio poiché i pannoloni devono essere cambiati e i farmaci monitorati. È un pomeriggio di fine estate. Sono in piedi davanti al lavello della cucina nel suo appartamento, a lavare i piatti e a comprimere la spazzatura. L’odore delle salviette per le mani alla candeggina e dei guanti in lattice è così diffuso che non lo notiamo più. È troppo debilitato per parlare molto. Quindi, sono scioccato quando raccoglie l’energia per urlarmi dalla sua postazione nel letto d’ospedale in soggiorno.

“Voglio andare in chiesa”.

“Non ti credo. È uno stratagemma per ottenere qualcosa da me?”

“Mannaggia a te.”, esplode con una serie di volgarità. “Dico sul serio. Voglio andare in chiesa”.

“Grande. Chiamerò tua madre e sarà molto felice di portarti.”

“Non nella sua chiesa, tu…”, …altre volgarità. “Voglio andare nella tua chiesa.”

“La mia chiesa? Non sai nemmeno di che fede sono. Perché vorresti andare nella mia chiesa?”

“Perché voglio capire perché sei venuto qui.”

“Be’…”, mi fermo per chiudere l’acqua prima di scrollare le mani nel lavandino. “Sappiamo che non è per i soldi.”

Mi rifiuto di portarlo in chiesa senza l’approvazione di sua madre. Non gli permetterò di usarmi come arma contro di lei fingendo un nuovo zelo per Dio. Quando le do la notizia, scoppia a piangere al telefono.

“Per favore, con ogni mezzo. Sto pregando per questo da anni. Portalo nella tua chiesa. Portalo al Signore prima che sia troppo tardi”.

Portare il mio amico in chiesa non sarà un’impresa da poco. Ha il pannolone, è costretto sulla carrozzina, ha una flebo, ed è a poche settimane dalla fine. Non posso semplicemente trascinarlo ad un’affollata Messa domenicale. Inoltre, avrò bisogno dell’aiuto del suo infermiere.

Mentre entriamo nella cappella laterale per una Messa mattutina dei giorni feriali, ci sono una cinquantina di partecipanti in piedi che cantano per l’inizio del rito. Il sacerdote valuta subito la situazione e risponde con più grazia di quanto si potesse osare chiedere.

“Abbiamo un ospite speciale questa mattina.”, annuncia, facendo cenno alle persone in prima fila di scivolare verso il fondo e rimuovere due dei sedili pieghevoli sul lato centrale. “Per favore, vieni qui davanti.”

Poi, mentre ci sistemiamo in prima fila, il prete si avvicina al mio amico, si china sulla carrozzina e lo abbraccia calorosamente.

“Benvenuto.”, dice abbastanza forte perché tutti e cinquanta lo sentano. “Gesù aspettava che tu arrivassi qui”.

Alla stretta di mano della pace, poco prima della Comunione, ogni singola persona nella cappella viene dal mio amico e lo abbraccia. Tutti sorridono e non c’è un occhio asciutto in tutta la chiesa.

Dopo la Messa, io e l’infermiere stiamo accompagnando il mio amico al parcheggio, quando tre signore anziane gli si avvicinano.

“Ecco.”, gli mettono in mano una manciata di bellissime stampe a colori. “Queste sono immagini delle storie del Vangelo. Puoi guardarle mentre preghi”.

“Grazie.”, annuisco a suo nome.

Quelle illustrazioni sono appese sopra il letto del mio amico da quel giorno fino al momento in cui muore. Sono l’unico Vangelo che legge; leggibile ai suoi occhi che non riescono più a concentrarsi sulle parole stampate. Quando non è in grado di parlare senza estrema difficoltà, i suoi occhi si fissano su quelle immagini per ore di seguito. Spesso indica Gesù nelle immagini e sorride.

Prima di morire, viene davvero al Signore. E mentre esala l’ultimo respiro, la sua testa e le sue spalle sono tra le mie braccia, sua madre e il suo patrigno lo tengono abbracciato dall’altra parte del letto, e l’infermiere lo guarda stando ai piedi del letto: tutti insieme stiamo recitando ad alta voce il Padre Nostro.

Mentre la sua anima si lascia alle spalle il corpo, mi ritrovo a riflettere su quel giorno speciale in cui il mio amico è venuto in chiesa. Il sacerdote e le persone che lo hanno circondato di amore e accoglienza. E le donne che si sono presentate con le immagini del Vangelo di cui aveva bisogno per capire l’amore di Dio e accettare la salvezza. Fino a che punto si spingerà Dio per salvarci! Penso in un momento di profonda gratitudine. Usami, Signore, per la tua opera salvifica.

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