Chiesa Cattolica – Italiana

Ucraina, un sacerdote al fianco di chi vive il trauma della perdita dei propri cari

Nella diocesi di Kamjanets-Podilskyj dei latini, don Oleksandr Khalayim offre, a quanti stanno affrontando il dramma della guerra, non solo un sostegno spirituale, ma anche un aiuto psicologico. Sono stati anche organizzati incontri comunitari. C’è una grande solidarietà, racconta, fra credenti e non credenti, l’aiuto reciproco si è sviluppato molto e vengono organizzati anche corsi di primo soccorso

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

Don Oleksandr Khalayim è un sacerdote ucraino della diocesi di Kamjanets-Podilskyj dei latini. Si occupa dell’accompagnamento spirituale e psicologico delle persone che vivono il trauma della perdita dei loro cari in guerra e nella diocesi Kamjanets-Podilskyj, dove svolge il suo ministero, e ha formato gruppi anche in altre diocesi dell’Ucraina. A Radio Vaticana-Vatican News, racconta in che modo aiuta le persone che stanno vivendo drammi e momenti difficili a causa del conflitto con la Russia che si protrae da oltre un anno.

Ascolta l’intervista a don Oleksandr Khalayim

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/04/25/16/137040060_F137040060.mp3

Da dove parte l’iniziativa di accompagnare le persone – mamme, mogli, sorelle e anche fratelli e mariti – che hanno perso i loro cari al fronte?

Si è sviluppata perché abbiamo notato che diverse persone, al momento della notizia della perdita dei loro cari, familiari o amici, non riuscivano a capire che cosa stesse accadendo. Spesso ci si chiude in se stesse, non si riesce a vivere, non so capisce come andare avanti nella vita. Molti di loro temevano che oltre alle perdite in guerra, potessero crescere le perdite di vite nelle case, anche attraverso suicidi. Per questo abbiamo creato diversi centri dove poter aiutare quanti hanno vissuto perdite, traumi, per aiutarli ad andare avanti, per stare con loro, vicino al loro dolore.

Come avvengono gli incontri? Che cosa proponete loro?

Gli incontri si svolgono a diversi livelli, cominciando dagli incontri personali, dagli incontri con le mamme, le mogli, le famiglie, incontri anche con persone che hanno subìto violenze, che hanno vissuto diversi tipi di traumi, per esempio un bombardamento. Poi ci sono gli incontri a livello comunitario e ci sono diversi gruppi: per le mamme e per le mogli che si incontrano ogni settimana e cercano di andare avanti insieme per vivere quel determinato dolore. Cerchiamo anche di spiegare come possono vivere il trauma della guerra, come si devono comportare, che tipo di domande si possono o non si possono fare alle persone care che stanno al fronte, oppure come possono comportarsi con qualcuno che ha perso qualcuno di importante. Insegniamo loro anche come offrire aiuto in caso di emergenza, nei momenti in cui si vive il trauma, nei momenti di dolore, nei momenti di perdita.

Quindi il vostro è un approccio che ha elementi sia di spiritualità, sia psicologici?

Sì. Oltre a questo, facciamo alcuni corsi di primo soccorso. Per esempio, nel caso di un bombardamento, spieghiamo come curare ferite che sanguinano. Quindi, cerchiamo di fare questa formazione delle persone su tre livelli: corpo, psiche e anche anima.

Lei come si è preparato a questo servizio?

Per quello che riguarda la parte spirituale, grazie a Dio, c’è stato il seminario e anche diversi altri studi teologici. Per ciò che riguarda la sfera psicologica, ci ha pensato la Provvidenza di Dio: prima della guerra, ho fatto un corso sui traumi in Germania e ho finito questo corso proprio nei primi giorni del febbraio scorso. Il Signore mi ha aiutato a procedere su questa strada, anche adesso sto seguendo diversi corsi in Germania per aiutare quanti soffrono traumi psicologici.

Qual è la chiave della proposta spirituale nell’accompagnamento di queste persone?

La chiave è di essere loro vicini, in modo tale che non si chiudano in se stesse e capiscano che cosa sta succedendo in loro. Devono comprendere che nel dolore e nel trauma alcuni comportamenti sono del tutto normali, perché così reagisce il nostro corpo, così reagisce la nostra psiche. E poi devono sapere come superare tutto questo, come devono uscirne, per non rimanere sempre nel trauma e nel dolore.

Lei dice che bisogna far capire loro che non sono soli. Credo che tutta la società, e soprattutto la comunità più vicina, debba essere pronta e preparata ad accompagnare ed aiutare queste persone…

Da più di un anno tutta la comunità ucraina, non dico solo la comunità delle Chiese, ma parlo di tutta l’Ucraina, si è unita, è diventata estremamente solidale, si cerca in diversi modi possibili di aiutarsi gli uni con gli altri. Perché se prima c’era una differenza tra credenti e non credenti, adesso tutti sono uniti dallo stesso dolore, da questa guerra. Per esempio, se la gente sa che in una comunità, in un certo posto, si può trovare aiuto, che qualcuno offre aiuto, la voce si sparge. E se noi non riusciamo a fare qualcosa, troviamo sempre chi può offrire aiuto, anche dal punto psicologico o umanitario. Sempre c’è questa solidarietà e la voglia di aiutare.

Ricorda qualche momento in cui, nonostante la disperazione delle famiglie e il grande dolore, ha visto nascere in qualcuno una piccola luce di speranza?

Quando una mamma non aveva più informazioni del figlio che combatteva al fronte. Lo avevano dato per scomparso, dicevano che non si poteva più trovare. Questa mamma aveva anche ricevuto una lettera che diceva che il figlio era morto. Poi, con l’aiuto di amici e di altre persone, questa donna ha saputo che il figlio era prigioniero in Russia e adesso stiamo provando a farlo tornare. Per questa mamma è stata una grande gioia e una grande speranza aver saputo che il figlio è vivo.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti