Don Oleksandr Bohomaz, sacerdote greco-cattolico che svolge il suo ministero in una parrocchia di Zaporizhzhia, ha conosciuto l’occupazione russa, con interrogatori e poi l’espulsione: “Era come un grande campo di concentramento. Non sapevamo quando sarebbero arrivati a metterci un sacco in testa e portarci via”. Ho continuato a stare vicino alla gente: “Un onore essere al loro fianco”
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
“Ai cattolici di tutto il mondo voglio dire che Dio è più vicino di quanto possiamo immaginare. E poi vi chiedo di pregare per il nostro popolo, affinché possiamo essere tutti testimoni non solo delle rovine ma di come Dio rinnova”. Sono le parole che il sacerdote greco-cattolico don Oleksandr Bohomaz, 34 anni, sente di condividere a quasi due anni dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Per nove mesi dopo l’inizio dell’invasione russa fino a quando è stato espulso dagli occupanti accusato di “incitamento all’odio razziale e interreligioso”, don Oleksandr ha continuato a servire la comunità greco-cattolica di Melitopol, città al sud del Paese occupata il 26 febbraio 2022. Una comunità, fondata nel 2010 dal sacerdote slovacco don Peter Krenicky, che ha avuto uno sviluppo molto vivace: “Si fondavano nuove comunità in città e nei villaggi circostanti. A Melitopol, dove tutto è iniziato con un sacerdote e tre parrocchiani, fino al 23 febbraio 2022 c’erano cinque sacerdoti greco-cattolici e un sacerdote romano-cattolico. Abbiamo svolto attività pastorale con i bambini e i giovani, aperto centri per anziani soli e disabili e aiutato i senzatetto”.
I fedeli delle nuove comunità e la loro memoria della fede
La maggior parte dei membri di queste comunità greco-cattoliche appena fondate erano ex-prigionieri politici provenienti dall’ovest dell’Ucraina, deportati dal governo sovietico ai lavori forzati in Siberia. Quando sono stati rilasciati, è stato vietato loro di tornare nelle proprie regioni e così si sono stabiliti nel sud e nell’est dell’Ucraina. C’erano anche molte persone venute dalle regioni occidentali per lavorare nel dopoguerra. “E c’erano anche molte persone che prima non avevano nessun contatto con la Chiesa, non erano battezzate e che noi abbiamo battezzato da adulti”, spiega il sacerdote. “Erano comunità non molto grandi, ma solide. Certo, non era facile, bisognava sempre impegnarsi tanto, ma i ricordi sono bellissimi perché ho trascorso lì i primi sette anni del mio ministero sacerdotale ed è diventata la mia casa. Provengo dalla regione di Kherson, il mio villaggio è ancora sotto occupazione russa e Melitopol è diventata la mia seconda città natale. Vorrei tornarci, lo sogno, prego e credo che torneremo”.
“Perché proprio a noi?”
Come molti ucraini, e non solo, prima dell’invasione, Bohomaz non credeva che ci sarebbe stata la guerra. “All’inizio mi ponevo delle domande: perché? Cosa succederà dopo? Siamo più peccatori degli altri? Perché questo male ha colpito proprio noi? C’era disperazione…”. Non ha voluto però perdersi nei pensieri, don Oleksander e assieme ad altri parroci si è messo in azione per rispondere alle sfide pastorali e umanitarie. “Abbiamo continuato a lavorare anche se era difficile. Non sapevamo quando sarebbero arrivati a metterci un sacco in testa e portarci via. Sappiamo che due sacerdoti redentoristi di Berdiansk (a 120 km da Melitopol) sono in prigionia da più di un anno e non sappiamo nulla di loro. Pensavamo che sarebbe potuto accadere anche a noi, ogni giorno eravamo in ansia. Era difficile distrarsi in qualche modo o riposare. Il riposo era nel lavoro, nel servizio. Nelle prime settimane, in un momento di disperazione ho chiesto a Dio: Signore, chi sono? Cosa ci faccio qui? E la risposta che ho ricevuto nel mio cuore è stata che sono un sacerdote e devo svolgere il ministero. Così non ho smesso, insieme agli altri, di farlo: abbiamo visitato le comunità, celebrato Messe, confessato. A un certo punto – era già estate quando ci sono stati i primi interrogatori e le prime perquisizioni – mi sono reso conto che per me era un onore essere a fianco ai fedeli in quel momento. Non me lo meritavo, sono una persona piuttosto paurosa, ma Dio mi ha dato questa grazia e gli sono grato per essere potuto stare con la gente che aveva sete della parola di Dio e dei sacramenti. Molti parrocchiani erano andati via, ma non si notava durante la Messa della domenica perché venivano nuove famiglie. Questo dava un po’ di conforto anche se la corda intorno al collo si faceva sempre più stretta, ogni volta più stretta…”.
Momenti bui
“La cosa più difficile durante l’occupazione – ricorda ancora il sacerdote ucraino – è stata vedere come alcune persone hanno tradito la propria patria per denaro e sono diventati collaboratori dei russi. È stato difficile anche vedere come tutti gli aggressori che odiano la terra in cui sono nato, cresciuto e che amo così tanto, l’hanno distrutta, come hanno trattato le persone come se fossero bestie. Era come un grande campo di concentramento… L’occupazione è un enorme campo di concentramento e tutto quello che abbiamo sentito sulla Corea del Nord o che abbiano visto nei film sull’Unione Sovietica, ecco, lo abbiamo visto e vissuto davvero”.
Anche gli interrogatori sono stati molto difficili: “Ai checkpoint russi era molto brutto”, ricorda don Oleksandr, “la domenica avevo sempre una liturgia a Melitopol e poi andavo nei villaggi, e dovevo attraversare alcuni posti di blocco. Tante volte mi maltrattavano verbalmente ed era molto fastidioso. A volte mi sentivo moralmente violentato e subito dopo dovevo andare nelle parrocchie dove la gente aspettava di essere incoraggiata. Ricordo che una volta arrivai in una parrocchia e dissi: ‘Voi aspettate che io vi incoraggi, ma io vi chiedo: datemi voi un incoraggiamento, pregate per me, perché mi sento molto male dentro’. Allo stesso tempo non ho mai visto un sostegno reciproco come quello che ho sperimentato durante l’occupazione”.
Gli insegnamenti della dura realtà
Molte persone che hanno attraversato gravi sofferenze dicono che, per sopravvivere, bisogna concentrarsi sul presente senza pensare molto al futuro. “La guerra mi ha insegnato a focalizzarmi sul singolo giorno”, dice padre Oleksandr. “Bisognava vivere l’oggi nel modo più efficiente e produttivo possibile, perché non sapevo cosa mi sarebbe successo domani. Già nel terzo o quarto mese di occupazione, mi sono accorto che avevo smesso di sognare… Ascoltavo molto le persone che venivano a parlare con me dalla mattina alla sera. Poi pensavo: Dio, la giornata è passata e non ho fatto nulla, ho ascoltato tutto il giorno. Ma anche questo è stato un ministero importante. Di solito, dicevano quasi tutti la stessa cosa, ma io dovevo ascoltarli e poi cercavo qualcuno tra miei amici per parlare, perché si accumulavano tante cose in testa. L’occupazione mi ha insegnato a concentrarmi sul presente, ad ascoltare la gente ed apprezzare la loro presenza. La sensazione della presenza di Dio era incredibile”.
L’espulsione
La mattina del primo dicembre 2022 i militari russi sono venuti da don Oleksandr Bohomaz per la settima volta e lo hanno interrogato per circa tre ore. Poi lo hanno portato a Vasylivka, in uno degli ultimi checkpoint, dove gli hanno comunicato l’espulsione, accusandolo di “incitamento all’odio razziale e interreligioso”. Il percorso attraverso la zona di demarcazione è durato circa tre ore. Non è stato difficile fisicamente, ma pericoloso: in alto volavano proiettili, il terreno era coperto di mine, racconta il sacerdote. Davanti a lui c’erano le postazioni ucraine e, alle spalle, la sofferenza e al contempo l’esperienza del sostegno umano e della presenza di Dio. “Quando stavo attraversando questa zona – ricorda, – ho pregato: Signore, non lasciarmi, sei così vicino a me. Ho paura di perderti. Capisco che lì c’è libertà, ma ti chiedo: in quella libertà, sii al mio fianco come lo sei stato nell’occupazione”.
Portare Gesù a chi è sovrastato dall’orrore
Ora don Oleksandr svolge il suo ministero in una parrocchia greco-cattolica di Zaporizhzhia, ma visita spesso anche i militari. “Sacrificano le loro vite perché io possa tornare a casa. Parlo anche di miei amici che sono caduti. Ogni volta che visito i soldati che combattono nelle zone più calde, vedo che sono così traumatizzati dalla guerra che è difficile esprimere a parole l’orrore. Non possono e non vogliono parlare. Quando vado lì, prego: Gesù, non vado io, ma sei Tu che ci vai. Non celebro io, sei Tu che celebri e dici nella Messa: Pace a voi”.
Testimoni di come Dio rinnova tutto
Don Oleksandr ha un messaggio per i cattolici in tutto il mondo: “Dio è più vicino di quanto ce lo immaginiamo. Ho fatto questa esperienza quando attraversavo la linea di demarcazione, non sapendo se sarei arrivato vivo o meno, e quando ero seduto in macchina con gli occupanti che mi stavano portando via”. Il sacerdote chiede di pregare per il popolo ucraino, “affinché tutti noi possiamo essere testimoni non solo delle rovine ma anche di come Dio rinnova”. “Di recente – dice – sono stato a Huljajpole (paese vicino alla linea del fronte, ndr) e ho avuto l’impressione che un gigante abbia preso un martello e distrutto l’intera città. I miei occhi volevano aggrapparsi a qualcosa di integro, ma non ci riuscivano. Vogliamo però essere testimoni di come Dio rinnova. Credo che sia questo: amare Dio e credere che Lui ci ama. Lo confesso: anche se ero un sacerdote, prima della guerra non ci credevo pienamente, ma durante questi due anni ho creduto davvero che Dio mi ama. E questa è la cosa più importante che i cattolici debbano sentire oggi: che Dio ama. Perché quando credo che Dio mi ama, allora non ho paura. E questo mi dà la libertà, la libertà di fare del bene, di sacrificarmi, e persino di dare la mia vita, perché so che Lui mi accoglierà lì”.