La religiosa della Congregazione di San Giuseppe, dal 2018 è vicino ai più piccoli di una delle città più colpite dai bombardamenti russi. Nel suo racconto, gli attimi di terrore vissuti per l’attacco del 15 settembre scorso, la gratitudine verso chi, anche da lontano, prega e dimostra solidarietà e il suo ringraziamento speciale a Papa Francesco
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
“Quando è iniziato a suonare l’allarme antiaereo stavamo giocando con i bambini nel cortile della parrocchia. Dopo qualche minuto si è sentito il rumore dell’esplosione a circa un chilometro di distanza, abbiamo subito abbiamo portato i piccoli nel seminterrato della chiesa dove c’è anche una capella”. È il racconto di suor Oleksia Pohrsnychna della Congregazione di San Giuseppe, che dal 2018 svolge il suo servizio a Kharkiv, presso la cattedrale greco-cattolica di San Nicola. A Radio Vaticana – Vatican News, la religiosa descrive i terribili momenti vissuti domenica 15 settembre, quando a seguito degli attacchi russi su Kharkiv, una donna anziana ha perso la vita e 42 persone sono rimaste ferite, tra loro quattro bambini. Una tragedia che ha risparmiato il territorio vicino alla parrocchia.
Restare a Kharkiv
Kharkiv, che nel 2021 contava quasi un milione e mezzo di abitanti, vive continui bombardamenti sin dal primo giorno dell’invasione russa su larga scala. All’inizio del conflitto, in molti hanno lasciato la città per poi tornare, anche a seguito dell’allontanamento della linea del fronte. Inoltre, è qui che si trasferiscono le famiglie che scappano da piccole cittadine e da paesini recentemente colpiti dall’esercito russo. È per questo che a Kharkiv rimangono ancora tante famiglie con bambini, una scelta dettata dalla mancanza di risorse che rende impossibile un trasferimento, oppure dal fatto che qualcuno della famiglia combatte nelle vicinanze, o anche perché non si vogliono abbandonare parenti disabili o anziani.
Il lavoro con i bambini
Tra le numerose rovine causate dai ricorrenti bombardamenti e tra le sofferenze della popolazione, suor Oleksiya e la consorella Daria Panast, (rimasta ferita in un attacco mentre portava aiuti umanitari in un paese vicino) cercano di confortare coloro che incontrano. Uno dei servizi più importanti è sicuramente il lavoro con bambini, ragazzi e giovani presso la parrocchia greco-cattolica di San Nicola. «Un grande problema, – spiega suor Oleksia, – è che, purtroppo, oggi nella regione di Kharkiv quasi non ci sono scuole, asili o università aperte e l’insegnamento avviene online. Ai bambini e ragazzi manca lo spazio per comunicare e socializzare. Alcune classi sono state aperte nella metropolitana, ma sono davvero pochi i bambini che hanno la possibilità di frequentarle. È per questo che cerchiamo di coinvolgere i piccoli in qualche attività presso la nostra parrocchia. Gli stessi genitori, sin dall’inizio della guerra, ci hanno tante volte chiesto di organizzare per loro figli qualche attività e catechesi, anche se non la definirei proprio così, perché con loro bisogna iniziare tutto da capo. Io chiamo i genitori di questi bambini “cercatori di Dio”, sono tratta di persone che, forse, andavano raramente in chiesa, oppure che non ci sono mai andati».
L’esplosione del 15 settembre
Bambini e ragazzi vengono in parrocchia due volte a settimana, il mercoledì e la domenica. Suor Oleksia, che si occupa con il gruppo dei più piccoli, racconta che quella domenica, 15 settembre, lei spiegava loro la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, per poi guardare un cartone animato dedicato a questo tema, sono andati insieme nella chiesa per vedere la croce e hanno fatto anche un lavoretto: una croce di carta. «Sono sempre molto felici di fare questi lavoretti, – continua la suora, – anche perché dopo possono farli vedere ai genitori. Una bambina, il cui papà sta al fronte, ha detto: ‘Tutto quello che faccio, lo spedisco a lui’. Quando il tempo è bello, usciamo con i bambini per fare qualche attività all’aria aperta e stavamo proprio giocando con loro nel cortile della parrocchia quando è iniziato a suonare l’allarme antiaereo. Dopo qualche minuto si è sentito il rumore dell’esplosione a circa un chilometro di distanza e subito abbiamo portato i piccoli nel seminterrato della chiesa, dove c’è anche una capella. Lì abbiamo iniziato a cantare con loro, anche per distrarli un po’ perché si erano spaventati. E poi abbiamo distribuito loro i dolci che erano arrivati insieme all’aiuto umanitario da Roma».
Gli aiuti del Papa
Gli aiuti di cui parla suor Oleksia, sono giunti all’Esarcato greco-cattolico di Kharkiv il 12 agosto scorso. Camion carichi di cibo, abiti, prodotti per l’igiene e medicinali, partiti dalla parrocchia greco-cattolica ucraina di Santa Sofia, a Roma, che erano stati raccolti insieme al Dicastero per la Carità e caricati dalle Guardie Svizzere. «Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte le persone che non dimenticano l’Ucraina e non dimenticano la nostra Kharkiv che resiste, – dice commossa suor Pohranychna. – In particolare, ringrazio il Santo Padre e il cardinale Konrad Krajewski che ha personalmente visitato la nostra città due anni fa».
La speranza che resta accesa
La religiosa spiega che gli aiuti umanitari ricevuti vengono distribuiti sia agli abitanti della città, sia ai tanti sfollati che negli ultimi mesi sono dovuti scappare dai luoghi fortemente bombardati dall’esercito russo. Un grande sostegno arriva anche dalla diocesi di Como e dalle altre parti d’Italia. «Per questo l’Italia ci è molto cara, – continua suor Oleksia. – I bambini sono molto felici quando ricevono i dolci e giocatoli. Spesso ci chiedono: ‘Oggi arriva qualche regalo?’ Questo per loro è una piccola festa. Una volta, mente stavo spiegando qualcosa ai bambini, una di loro mi ha chiesto: ‘Per quanto tempo parlerai ancora?’ Io le ho chiesto cosa le servisse e lei mi ha risposto: ‘Sai, ho già un po’ di fame’. Questi episodi fanno ridere, però i bambini sono semplici e aperti. Per questo vorrei ringraziare tutti per il supporto materiale e spirituale. So che molti pregano per noi perché si possa resistere, superare questo periodo buio. Con la speranza possiamo arrivare alla fine di questa guerra».