Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano.
“Al momento, la situazione a Mykolaiv è costantemente molto tesa. Non c’è un solo giorno tranquillo: ogni giorno qui cadono i missili mandati dall’esercito russo. Arrivano di notte: a volte alle tre o alle alle quattro, a volte alle sei del mattino. E oggi (27 luglio) non fa eccezione: 7 razzi sono volati di nuovo su Mykolaiv. I campi nelle periferie della città sono in fiamme, il grano brucia ed è impossibile raccoglierlo”. E’ la forte testimonianza di don Taras Pavlius, parroco dell’unica comunità greco-cattolica a Mykolaiv, città portuale a sud dell’Ucraina.
Il problema maggiore è l’acqua potabile
Raccontando della situazione umanitaria nella città, don Taras sottolinea che il problema maggiore riguarda l’acqua potabile. “Quella che scorre nei tubi, – spiega – viene prelevata dal fiume Pivdennyi Bug e mescolata con l’acqua di mare. E’ salata e sporca, ed è un miracolo che non abbiamo ancora focolai di infezioni. Per un certo periodo l’acqua potabile veniva portata dalla vicina Odessa, pero al momento non lo fanno più. Naturalmente, la gente può acquistarla nei negozi, che sono aperti metà giornata, però tanti non hanno più soldi perché hanno perso il lavoro. In città sono stati realizzati alcuni pozzi artesiani, ma vengono usati principalmente per le strutture sociali, come ospedali o imprese comunali. Pertanto, ora, quando fa ancora caldo, la situazione non è catastrofica, ma il bisogno di acqua potabile pulita è davvero grande”. Don Taras, che è anche direttore della “Caritas Mykolaiv”, cerca di aiutare, portando con la sua auto bottiglioni d’acqua, mandati dai benefattori esteri, nei quartieri abitati e distribuendoli tra la gente.
C’è chi se ne va, e chi invece torna
Prima del 24 febbraio Mykolaiv aveva quasi mezzo milione di abitanti. Adesso, nella situazione di un continuo pericolo dei bombardamenti, le persone migrano. “C’è chi lascia Mykolaiv, e chi invece torna – racconta il sacerdote –. All’inizio della guerra, nei mesi di marzo-aprile, in città erano rimasti tra 150.000 e 250.000 abitanti. Adesso invece molti tornano, lo vedo dal numero di macchine, di persone per strada e dai bambini che si vedono sempre di più nei parchi giochi. Sono bambini piccoli e questo da un lato rallegra il cuore ma dall’altro mi spaventa, perché siamo vicini al fronte e può succedere di tutto in qualsiasi momento. Però la gente ha un grande desiderio di tornare nelle loro case. Mi dicono: ‘Padre, non importa quanto sia difficile, la casa è casa’.”
I bisogni concreti della gente
Don Taras dice che le farmacie in città rimangono aperte e le medicine ci sono, però i prezzi sono aumentati e le possibilità d’acquisto della gente sono diminuite. “Caritas Mykolaiv” cerca ad aiutare soprattutto quelli che soffrono di malattie croniche e hanno sempre bisogno di certe medicine. Anche il cibo diventa sempre più caro e per questo la Caritas distribuisce i pacchi alimentari. Il sacerdote racconta che recentemente la “Caritas Lettonia” gli ha mandato tanti sacchi di cereali e grazie a questo riusciranno a completare e distribuire circa mille pacchi. “Quello che manca, – aggiunge, – sono le conserve di carne e pesce. C’è bisogno anche di latte, perché i contadini hanno lasciato le loro fattorie e le mucche vagano per i campi”.
I campi che bruciano
Il sacerdote parla con tanta amarezza dei campi di grano intorno a Mykolaiv che bruciano perchè incendiati dai bombardamenti, campi che nutrivano non solo la gente di luogo, ma anche di tutto il Paese e oltre. “Per non esporre le persone a pericolo, – dice lui, – le autorità hanno vietato di fare la raccolta in tutte le aree che sono vicine alla linea di combattimenti. Però alcuni contadini cercano di raccogliere almeno qualcosa, mettendo a rischio la propria vita: lo fanno di sera, quando è buio. Lo stanno facendo non per arricchirsi, perché non gli conviene vendere il grano: il prezzo d’acquisto all’interno del Paese è sceso di più della metà. Lo fanno soltanto per poter offrire pane alla gente quest’inverno e per poter seminare di nuovo in autunno e in primavera”.
Il pastore che rimane con la gente, anche se sono pochi
Don Taras Pavlus, che proviene dalla regione di Ternopil (ovest dell’Ucraina), è parroco in due comunità: una a Mykolaiv e un’altra nel paesino Shevchenkove, (circa 30 km dalla città), dove abitava prima dell’invasione russa e che ha dovuto lasciare perché è molto vicino alla linea del fronte. Adesso abita a Mykolaiv e ogni giorno continua a celebrare la Liturgia nella sua parrocchia, anche se quasi tutti i suoi parrocchiani sono partiti e sono rimaste soltanto quattro famiglie. “E queste famiglie vengono sempre in chiesa, – afferma il parroco – vengono anche i volontari ed i militari che provengono dalle diverse regioni dell’Ucraina. Loro sanno che nonostante la guerra, la preghiera non deve mancare perché hanno bisogno dell’aiuto di Dio. Nella chiesa distribuiamo anche l’aiuto umanitario alle persone bisognose del quartiere, alcuni si fermano a pregare, a parlare con me, altri vogliono confessarsi e per questo teniamo la chiesa sempre aperta”. Alla domanda se non ha paura e se non ha pensato di lasciare Mykolaiv, don Taras risponde: “Certo che ho paura, in queste circostanze è umano, però la paura si supera. Il fatto che i parrocchiani sono partiti, non significa che il parroco deve partire: vengono altre persone che bisogna servire. Il sacerdote greco-cattolico non è soltanto per i fedeli greco-cattolici, lui è soprattutto il sacerdote e deve servire a tutte le persone”.
Cappellano che sostiene nei momenti più bui
“Come posso lasciare i miei ragazzi che stanno in prima linea?” – si chiede don Taras, parlando dei militari ucraini per i quali svolge il ruolo di cappellano –. Spesso, dopo i bombardamenti loro si sentono sfiniti ed io porto il mio sostegno morale e spirituale, porto loro anche i dolci mandati dalle parrocchie dall’ovest del Paese”. Il sacerdote confida che spesso sono gli stessi soldati ad ispirarlo e a confermarlo nella sua scelta di rimanere: “Loro sono molto coraggiosi, mi raccontano che spesso sentono la protezione del Cielo. Sono coscienti che non combattono perché odiano, ma perché vogliono difendere la propria terra e cominciare a ricostruire il proprio Paese”. I momenti più difficili per il cappellano sono i funerali dei militari caduti nelle battaglie. Ce ne sono stati tanti dall’inizio della guerra che continua da cinque mesi e lui non riesce ad abituarsi. Ne parla con le lacrime negli occhi: “Ho già seppellito tre soldati che erano miei parrocchiani. E ogni settimana a Mykolaiv faccio in media due funerali dei militari. E ogni volta per me è un grande dolore, una grande sofferenza”. Questa compassione del sacerdote non rimane inosservata: i soldati che vengono a piangere il loro compagno la percepiscono come sostegno e accompagnamento nel loro dolore. “Cerco di trovare per loro le parole giuste, paterne, – racconta, – gli dico che anche se il corpo del loro fratello è morto, la sua anima rimane con noi, proteggendoci con la sua preghiera”.
Non dimenticare la guerra
Padre Taras Pavlus ringrazia il mondo per il sostegno di vario tipo e, soprattutto, per la preghiera. Chiede anche di non dimenticare che quello che sta succedendo in Ucraina non è un intervento militare, “ma è una guerra seria, in cui viene ucciso il popolo ucraino, muoiono civili, bambini, giovani, anziani, dove i razzi stanno colpendo edifici residenziali, e questi razzi non portano fiori o cibo, ma portano la morte”.