Chiesa Cattolica – Italiana

Ucraina, le missioni di una famiglia italiana: aiutare ci ha cambiato dentro

La testimonianza dei coniugi Uslenghi che con le figlie dal 2022 porta beni di prima necessità, vicinanza e sensibilizzazione nell’accoglienza dei profughi. Ne sono nati legami di amicizia fortissimi, la possibilità di ritemprare la propria fede, e una serie di visite nelle scuole per far conoscere i drammi della guerra vera, non quella dei videogiochi a cui i giovani sono abituati. “Il popolo ucraino mostra una gran voglia di ricostruirsi e una grande capacità di socialità”

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

“Noi vediamo la nostra prima carovana in Ucraina come un ‘anno zero’, come se non ci fosse stato niente prima, ma tutto iniziasse da lì perché questa esperienza ci ha cambiato tanto”, dice Beatrice, 22 anni, che insieme ai suoi genitori Luigi e Cristina Uslenghi e alla sorella ventenne Rebecca – residenti ad Abbiategrasso, nei pressi di Milano – in due anni ha compiuto sei viaggi nel Paese per portare gli aiuti e la vicinanza al popolo che soffre per l’invasione russa su larga scala. Nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, la famiglia condivide la propria esperienza che, oltre a essere stata importante sotto il profilo emotivo per il pericolo di bombardamenti e la ricchezza di incontri, li ha portati anche a compiere un viaggio interiore e a riscoprire le nuove dimensioni della fede e del senso di umanità.

Ascolta la testimonianza dei coniugi Uslenghi

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2024/03/26/11/137834276_F137834276.mp3

Il primo viaggio in Ucraina la famiglia Uslenghi lo ha compiuto tra marzo e aprile del 2022: erano tra i 150 volontari italiani che che hanno preso parte alla rete StopTheWarNow, coordinata dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, per portare a Leopoli (nella parte occidentale del Paese) beni di prima necessità e medicinali. Al rientro hanno portato in Italia 300 profughi ucraini, soprattutto le persone con fragilità e madri con bambini.

“La loro vita è preziosa come la nostra”

“La cosa che ci ha spinto ad andarci – ricorda Beatrice – è stato il desiderio di aiutare. Credo che sia un valore umano quello di voler aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle e quindi siamo partiti con l’intento di fare quello che era in nostro potere per, magari, non fermare la guerra, sicuramente, ma per portare sollievo”. E la paura, come farci i conti? Dalla risposta della ragazza, la paura era superata da altro. “Noi siamo partiti con l’idea che non esistono vite di serie A e di serie B, per cui non è perché gli ucraini sono sotto le bombe che noi non dobbiamo andarci: la loro vita è preziosa come la nostra, quindi se loro possono farlo e lo fanno da due anni, allora perché non dobbiamo farlo noi?”. Rebecca, la sorella più piccola aggiunge: “Un po’ di paura si ha, però quello che vediamo ogni volta che torniamo a casa è il fatto che l’amore, l’amicizia, la vicinanza e la solidarietà hanno un peso molto più grosso rispetto alla paura. Quando si è lì a giocare con i bambini, quando vedi il sorriso delle donne e degli anziani, anche se non parlano la tua lingua, ti dicono grazie perché noi siamo lì, allora quello alla fine sovrasta la paura e sovrasta tutto quanto”.

Beatrice e Rebecca fanno parte del “Leo Club Abbiategrasso” del distretto di Milano, la branca giovanile dell’associazione Lions Clubs International a cui appartiene anche il padre. Con questa associazione, gli Uslenghi sono partiti per Leopoli per la seconda volta nel giugno del 2022 e hanno portato in Italia due famiglie di profughi che sono stati accolti nella regione lombarda.

Missione con il Lions Club

La preoccupazione ripagata

Cristina, la mamma spiega che portare con sé le figlie, soprattutto all’inizio della guerra quando la situazione era ancora molto incerta in tutta l’Ucraina, era fonte di timore: “Si, sicuramente ho avuto paura, però per il fatto che eravamo lì tutti e quattro, ero più tranquilla”. La preoccupazione di Cristina è stata ripagata vedendo quanto le ragazze abbiano preso a cuore l’esperienza vissuta e come, una volta tornate in Italia, siano riuscite a trasmetterla ad altri giovani. Perché, dice Cristina, “raccontare agli altri quello che veramente vedi e vivi sulla tua pelle, al di fuori di quello che vedi in televisione, è proprio un’altra cosa”. Questo ha portato anche frutti concreti: tra dicembre 2023 e gennaio 2024 Beatrice e Rebecca hanno partecipato ad una missione in Ucraina (a Mykolaiv e Odessa), composta da giovani dai 19 ai 30 anni, membri dei Leo Club della Lombardia e del Piemonte. La loro missione si è concentrata sull’aiuto e il gioco con i bambini e i ragazzi, le vittime più innocenti di questo terribile conflitto.

In Ucraina la forza e la volontà di ricostruire

Anche per Luigi è stato importante vedere tutto con i propri occhi perché, dice, “quello che si vede in televisione è solo una parte, lì si respira un’aria diversa”. Pur riconoscendo che su tutta la linea del fronte continuano forti combattimenti e spesso i missili russi colpiscono anche le regioni lontane dal fronte, il volontario italiano sottolinea che “comunque la vita continua e il popolo ucraino ha una grandissima forza di andare avanti”. Secondo lui, i media occidentali dovrebbero far vedere “non solo la parte dei bombardamenti, ma anche il fatto che la gente si stia riprendendo, sta ricostruendo le case che sono state distrutte, dovrebbero far vedere i villaggi che continuano comunque a vivere”.

Luigi e sua moglie appartengono anche all’Associazione Società San Vincenzo De’ Paoli che ha aderito alle missioni organizzate dalla rete “StopTheWarNow”. Nelle regioni di Mykolaiv e Odessa hanno visto l’impegno di tutta la Famiglia Vincenziana e, in particolare, dell’associazione “DePaul” per aiutare a ricostruire le case e i palazzi distrutti.

La prima missione nel 2022

Non solo pane

Durante tutte queste missioni, i volontari italiani hanno portato in Ucraina cibo, materiale scolastico, medicine e farmaci, materiale e macchinari ospedalieri (tra cui carrozzine ed ecografi). E poi hanno portato la compassione e la vicinanza. “Durante la primissima carovana a Leopoli – racconta Cristina – quando eravamo nel Seminario cattolico di rito bizantino, è stato commovente vedere tutte queste persone sfollate, mamme con quei bambini, persone anziane che dovevano lasciare la loro casa. Loro si sono fidati di noi e sono venuti da noi, nel nostro territorio, dalle famiglie che ancora oggi li ospitano e ancora oggi noi li aiutiamo. C’è anche da dire che nonostante la guerra io ho visto tanta solidarietà anche fra di loro, cioè tra le stesse mamme. Anche quando siamo andati a Kyselivka [ndr. un villaggio vicino a Kherson che è sopravvissuto all’occupazione russa] lì abbiamo trovato tante mamme, tanti bambini, però anche fra di loro si danno veramente tantissimo aiuto e tantissimo coraggio”.

L’esperienza che trasforma

“Sicuramente, noi vediamo la nostra prima carovana in Ucraina come un ‘anno zero’, un inizio, una tabula rasa, come se non ci fosse stato niente prima, ma tutto iniziasse da lì proprio perché questa esperienza ci ha cambiato tanto”, condivide Beatrice. “Adesso noi siamo completamente vicine al mondo del volontariato, che ormai ci occupa quasi tutta la giornata e siamo contentissime di questo”. E aggiunge che questa esperienza non solo le ha rese più vicine “a tutto quello che è il popolo ucraino e il conflitto”, ma le “ha dato un occhio di riguardo, un’apertura rispetto a quelli che sono i bisogni anche sul proprio territorio”.

Non è solo una pagina di un libro di storia

“Un’esperienza del genere ti cambia – conferma Rebecca – perché vedi con i tuoi occhi e subisci sulla tua pelle quello che hai sempre studiato sui libri di storia: in due pagine vedevi magari dieci anni di guerra e hai sempre detto: ‘Sì, è successo’ e poi me lo sono dimenticata. E invece, andando in un Paese in guerra e vedendo tutto quello che effettivamente succede, ti rendi conto di quanto è diverso, ti rendi conto che la guerra esiste e non solo in Ucraina: le persone stanno combattendo e stanno morendo in giro per il mondo e non è solo una pagina di un libro di storia”.

A Rebecca vengono in mente le parole che spesso sentiva dire dagli adulti ai bambini: ‘Ti devi rendere conto di quanto sei fortunato che vivi bene, che vai a scuola, che hai accesso all’acqua potabile’. “E quando vai in un Paese in guerra – sottolinea – ti rendi conto davvero cosa vuol dire quella frase: di quanto si è fortunati a bere l’acqua potabile dal rubinetto perché adesso, per esempio, a Mykolaiv non possono più, dato che l’acquedotto cittadino è stato bombardato. O di quanto sei fortunato ad avere la corrente in casa o l’acqua calda, o banalmente, la cosa che mi ha sconvolto di più, di quanto sei fortunato di notte a poter dormire tranquillamente e di non avere paura del silenzio”.

Missione a Leopoli

Sensibilizzare i giovani: la guerra sui videogiochi e quella reale

Da due anni Beatrice e Rebecca vanno nelle scuole elementari, medie e superiori a raccontare la loro esperienza. “Quello che ripetiamo spesso durante le nostre testimonianze – dice Beatrice – è una frase di Martin Luther King: ‘Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla’. E questo solitamente un po’ le coscienze le smuove”. Però non è sempre facile per le giovani volontarie parlare della dura realtà della guerra a una generazione abituata a vedere la guerra e i combattimenti nei videogiochi. “Una cosa che sicuramente mi ha un po’ sconvolto, quando offrivamo le testimonianze – racconta Beatrice – era un ragazzino alla vista della foto di un palazzo distrutto: ‘Non mi fa impressione perché lo vedo nei videogiochi’. Insomma, in ballo c’è anche la necessità di far riprendere coscienza a questi ragazzi. E racconta del fortissimo legame che ha creato quest’esperienza, un legame “indissolubile” così come una “sensibilità particolare a tutti”.

Parlando dei giovani Rebecca ha ricordato le ragazze ucraine incontrate nella regione di Mykolaiv: organizzano dei centri, delle attività per i bambini impossibilitati ad andare a scuola o a girare liberamente. “Queste ragazze hanno 16-17 anni e hanno una forza immensa per fare queste attività che portano avanti costantemente nonostante abbiano anche loro delle situazioni pesanti, perché anche loro stanno vivendo la guerra, non possono più andare a scuola e magari hanno un fratello, il papà al fronte. Quindi comunque le persone reagiscono e le persone vanno avanti, si aiutano tanto e questa non è per niente una cosa scontata”.

Giovani italiani con giovani ucraini

L’umanità è la cosa più importante

Tornando dai viaggi in Ucraina, Luigi cerca di raccontare ai suoi amici italiani che la vita in Ucraina va avanti e che ci sono delle persone, che pur essendo martoriate da questa guerra o fuori dalla propria terra, hanno una vita molto più sociale rispetto alla nostra. “Sembra assurdo dirlo perché gli ucraini sono un popolo abbastanza freddo, rispetto agli italiani, come temperamento, però hanno questa cosa che si sono uniti subito”. Luigi racconta anche del suo amico, sacerdote ucraino, padre Vitalij Novak della Congregazione della Missione di San Vincenzo De Paoli, che ha allestito una cappella in un camioncino “con dentro un altare per andare a dire Messa in posti dove non c’è la chiesa”. È tutto espressione di una comunità che chiede di stare insieme. “Noi facciamo vedere agli italiani queste foto per far capire quanto è importante non stare isolati nei propri appartamenti anche qui da noi perché questa cosa si sente veramente tanto ed è uno dei messaggi che noi vogliamo portare avanti: far capire che l’umanità è la cosa più importante, al di là dell’effimero della nostra vita consumistica occidentale”.

!Sotto lo stesso Dio”

In Ucraina, dove convivono rappresentanti di diverse confessioni e religioni, il volontario italiano ha vissuto anche una nuova esperienza dal punto di vista della fede. “Noi siamo abituati in Italia a vedere prevalentemente la Chiesa cattolica, mentre in Ucraina ci sono diverse Chiese: le Chiese ortodosse, la Chiesa cattolica di rito latino e di rito bizantino, ci sono i protestanti. Noi nelle varie missioni abbiamo incontrato tutti. Facciamo parte tutti della stessa fede, alla fine, e la guerra unisce tutte le persone sotto un unico Dio. E anche la mia percezione della mia fede, delle mie convinzioni dopo cinquant’anni di vita sta un po’ cambiando, nel senso che lì si capisce proprio che siamo tutti sotto lo stesso cielo e sotto lo stesso Dio”. “Sicuramente – conclude Beatrice – queste esperienze ci hanno fatto pensare che non basta andare a Messa per essere buoni cristiani: forse per essere buoni cristiani bisogna agire e vedere quando c’è un bisogno, quando c’è un fratello o una sorella in bisogno, agire”.

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