Ucraina, l’ausiliare di Donetsk: vado in mezzo alla guerra a portare coraggio e speranza

Vatican News

Monsignor Maksym Ryabukha parla del Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina, in corso a Roma sul tema dell’assistenza pastorale delle vittime della guerra. Ieri mattina l’incontro dei partecipanti con Papa Francesco, il giorno precedente con il segretario di Stato, il cardinale Parolin: è una tragedia ogni giorno ma non perdiamo la speranza e la fede

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Un momento privilegiato per confrontarsi, per discernere insieme come muoversi in quanto Chiesa nell’attuale contesto caratterizzato dalla guerra, è ciò che vuol essere il Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina che si è aperto domenica 3 settembre e proseguirà fino al 13 di questo mese. Sede dei lavori quest’anno è il Pontificio Collegio ucraino di San Giosafat nella capitale. 46 i vescovi partecipanti su un totale di 55 distribuiti nei diversi Paesi in Europa, in America e in Australia dove la Chiesa greco cattolica ucraina è presente. Al centro dei lavori in particolare la questione dell’assistenza pastorale delle vittime della guerra. Il Sinodo è anche un’opportunità per i presuli per far sentire la loro voce, per condividere con la Chiesa universale l’esperienza che loro e il loro popolo sta vivendo, per raccogliere sostegno spirituale e incoraggiamento. 

Ryabukha: ciò che più desideriamo è la fine della guerra

In apertura al Sinodo è stato il cardinale Claudio Gugerotti a portare il saluto di Francesco ai padri sinodali. Ieri, prima dell’udienza  generale, i vescovi hanno incontrato Papa Francesco, mentre il giorno precedente è stato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, a intervenire. Tra i membri del Sinodo monsignor Maksym Ryabukha, il giovane vescovo dell’esarcato arcivescovile di Donetsk nell’est dell’Ucraina, la regione in parte occupata dall’esercito russo e dove più intensamente si combatte e dove ieri, 6 settembre, un bombardamento russo su una zona residenziale di una città della regione dell’Ucraina orientale ha fatto strage causando la morte di 17 persone e oltre trenta feriti. Ai microfoni di Vatican News, il presule parla dell’impegno della Chiesa greco cattolica ucraina, e suo personale, a fianco della popolazione e spiega il significato del Sinodo in corso:

Ascolta l’intervista a monsignor Maksym Ryabukha

Monsignor Ryabukha, purtroppo la guerra nel suo Paese non è finita e il tema principale dei lavori di questo Sinodo è l’assistenza pastorale alle vittime della guerra. È la questione che oggi vi impegna di più, come Chiesa …

Certo, pensi che metà della nostra regione oggi è occupata dai militari russi e il nostro esarcato comprende la regione di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Dnipro. Ma la guerra, purtroppo, non ha toccato solo la nostra regione, ha toccato tutta l’Ucraina e tutti gli ucraini. Oggi tutto il mondo sente il dolore e le ferite della guerra. Ci sono tantissimi profughi che, sia all’interno del Paese sia all’estero anche fuori dall’Europa, stanno cercando la possibilità di sopravvivere al dramma della guerra.

A Roma per il Sinodo è riunita tutta la Chiesa greco-cattolica ucraina e anche le comunità che vivono all’estero. Obiettivo del Sinodo è coinvolgere tutti nell’aiuto e nell’assistenza alle vittime della guerra?

Questo Sinodo è un Sinodo di speranza per tutto il popolo ucraino, perché da una parte vogliamo fare il punto sulla situazione degli ucraini, sia all’interno del Paese che all’estero, in questo tempo drammatico, per capire dove sono e come vivono. In questo modo potremo capire meglio che cosa noi come Chiesa possiamo fare e in che modo possiamo accompagnare la nostra gente e come portare il messaggio della speranza ma anche della presenza di Dio nel nostro vivere quotidiano in questi giorni, in questi mesi e purtroppo in questi anni.

Il Papa ha più volte espresso gratitudine alla Chiesa greco-cattolica ucraina per l’aiuto che ha dato e dà al suo popolo. Ha detto che il vostro compito è asciugare le lacrime e confortare chi soffre. Lei visita spesso le parrocchie della sua diocesi: che cosa trova? Che cosa riesce a fare per la gente?

Devo dire la verità: ogni volta che vedo la gente nelle nostre parrocchie, ma anche nei vari centri sociali che abbiamo, i centri della Chiesa, io mi rendo sempre conto che ciò che faccio è una goccia nel mare rispetto ai bisogni e rispetto al mio desiderio di aiutare la gente. Tra le cose più necessarie ci sono i beni di prima emergenza, e cioè vestiti, cibo, medicine. Si cerca di aiutare le persone e di trovare per loro abitazioni temporanee, come anche di fornire l’assistenza psicologica perché quella a livello psicologico è tra le ferite più grandi inferte alla gente, e anche altre cose. Comunque il desiderio più grande è trovare il modo di chiudere con la guerra, di fermarla, di fermare le armi. È un dramma di fronte a cui non abbiamo una risposta. Quando leggi le notizie di ogni giorno come quelle dei militari russi che bombardano i civili innocenti, ti poni sempre la domanda: “Dio mio, ma come è possibile che nel XXI secolo una persona umana che si definisce cristiana può uccidere così? Sì, speriamo tanto che la pace arrivi più in fretta possibile.

Qual è la situazione attuale della Chiesa greco-cattolica ucraina nelle zone in parte occupate? Qual è l’atteggiamento della gente verso la fede?

Le dico la verità, la fede non è sparita. La gente cerca Dio. La gente cerca di essere vicino a Dio, di sentire la sua mano e la sua presenza nella quotidianità difficile, drammatica che deve vivere nelle parti occupate dell’Ucraina. Oggi purtroppo non abbiamo la possibilità di assistere spiritualmente i nostri fedeli: due dei nostri sacerdoti dell’Esarcato di Donetsk sono stati addirittura incarcerati e noi da quasi un anno non abbiamo nessuna notizia di loro, nonostante abbiamo cercato di avere il sostegno di tutte le vie diplomatiche per trovare la possibilità di sentirli e anche di liberarli. I nostri fedeli comunque continuano ad avere la loro vita spirituale, cercano comunque di mantenere la preghiera nelle case, di non smettere di fidarsi di Dio. Questa è una grande forza. Poi i sacerdoti cercano di comunicare con le persone, almeno attraverso i contatti web, per sostenerle, per incoraggiarle, per non farle sentire dimenticate. Perché il senso di solitudine uccide.

Lei è stato nominato vescovo ausiliare solo un anno fa. Che significato ha per il suo ministero essere vescovo in un tempo di guerra?

Io credo che la mia nomina a vescovo ausiliare dell’Esarcato di Donetsk prima di tutto sia un segno di grande speranza e io cerco di ricordarlo e di portarlo in tutti i luoghi dove vado, perché io visito le parrocchie, le nostre comunità religiose ma cerco anche di andare a trovare le persone che vivono lungo la linea del fronte, per portare a loro le parole di speranza e di incoraggiamento. Dio non si è dimenticato di noi.

Almeno in Italia, forse un po’ in tutto l’Occidente, si ha la sensazione che con il tempo si stia perdendo la memoria di come è cominciata questa guerra in Ucraina, cioè con un’aggressione della Russia. Si comincia a pensare solo ai danni che la guerra porta anche a noi, alla nostra economia. L’empatia con il popolo ucraino rischia allora di calare. Voi avete questa sensazione? Sono calati, ad esempio, gli aiuti che vi arrivano dal mondo?

Vorrei dire che ci sono due modi di leggere questa realtà: da una parte la realtà politica e dall’altra la realtà della gente. A livello umano noi non abbiamo smesso di sentire la presenza e la compartecipazione di tutto il mondo alla situazione drammatica della guerra. Una delle ultime esperienze che abbiamo fatto è stata durante la Giornata mondiale della gioventù a cui abbiamo partecipato anche con un gruppo di giovani della regione dell’est, dove la guerra si vive ogni giorno. Quando i nostri ragazzi hanno partecipato a questo evento mondiale intorno al Papa, noi abbiamo sperimentato per tutto il tempo della nostra presenza a Lisbona il sostegno, la vicinanza e proprio la compassione di tutto il mondo. I giovani di tutti i Paesi si avvicinavano a noi, davano parole di conforto e di speranza e cercavano di dire in tutti i modi che non solo con la preghiera, ma anche con le loro azioni quotidiane loro cercano di aiutare l’Ucraina. E noi questo lo sentiamo davvero tanto. Poi che cosa si dice a livello di politica, questo non lo so, ma all’interno dell’Ucraina noi non abbiamo mai smesso di sentire questa viva presenza di tutti i nostri fratelli e sorelle del mondo.

Desiderio del Papa è ascoltare il Sinodo dei vescovi ucraini e infatti vi ha incontrati prima dell’udienza generale di questo mercoledì…

Sì, da una parte per noi la presenza e la partecipazione del Papa alla nostra vita, le parole di sostegno e di difesa che rivolge costantemente sono molto importanti perché ci fanno sentire non figli abbandonati, ma figli amati. Cosa dire da parte nostra al Santo Padre? Ogni vescovo vive il dramma della guerra dal suo punto di vista. Per esempio, per me che vivo all’est dell’Ucraina il dramma della guerra in atto è molto forte. E allora è questo il mio messaggio principale che vorrei condividere, il vissuto quotidiano della gente alla ricerca di una speranza di pace. Altri vescovi vivono nelle zone più lontane dai combattimenti e sono impegnati nell’accoglienza dei nostri profughi, nel sostegno della vita umana, anche nell’aiuto psicologico e sociale. Allora ognuno di noi ha qualcosa di diverso da condividere e da dire al Santo Padre. E questo è bello perché lo vedo come un ritrovarci tutti in famiglia, intorno a un tavolo, quando si può condividere il vissuto, ma si può anche capire meglio, avere una coscienza più profonda delle cose, ma anche trovare le idee più belle, più efficaci.

Il Sinodo che state vivendo è anche un momento forte di preghiera a Dio, di ascolto dello Spirito Santo. Per che cosa pregherete in particolare in questi giorni?

La preghiera principale è sempre per la pace, per la vittoria sul male e per la chiusura di questa pagina drammatica della nostra storia umana. Preghiamo tanto per il nostro popolo, perché non smetta di credere, non smetta di vedere la luce di Dio che sa illuminare le tenebre più grandi dell’umanità. E preghiamo anche per tutte quelle persone che ci sono diventate care perché a noi affidate, attraverso il nostro servizio nella Chiesa in tutto il mondo, in quanto proprio pastori del popolo ucraino.