Ucraina, la forza di chi crede nella preghiera per uscire dalla crisi

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

A Kiev, così come nelle altre città lontane dal fronte, si vive con preoccupazione, si discute, ma per ora nulla è cambiato nella vita quotidiana. La paura però è lì, perché “guerra significa andare al fronte, significa sentire gli aerei. Attorno all’Ucraina c’è una grandissima concentrazione di armi, Kiev è a centinaia di chilometri dalla frontiera, ma può succedere di tutto”. Yuriy Lifansé è calmo quando parla, ma le sue parole non nascondono l’apprensione di un popolo che guarda ad una situazione che “cambia veramente ogni minuto, perché le decisioni dei politici la cambiano”. Lui è il responsabile della Comunità di Sant’Egidio nella capitale ucraina, ed è convinto che l’ultima parola non l’avranno le armi, anche se i russi “hanno costretto tutti a reagire” nei confronti di un conflitto che ha già provocato migliaia di morti e condotto ad una continua escalation di violenza.  Al momento, ciò che Yura, come viene familiarmente chiamato, apprezza molto è anche il comportamento del governo ucraino che chiede “di restare tranquilli, di continuare a lavorare e di sperare nella pace e nella ricerca delle vie diplomatiche”. “Il problema – aggiunge – è che non si sa cosa succede e non ci si può preparare a niente”.  

Ascolta l’intervista conYuriy Lifansé

Una preghiera che unisce 

La guerra dunque non può essere l’ultima parola, quella deve averla la preghiera, per questo a Kiev, nella cattedrale cattolica latina di Sant’Alessandro, il 26 gennaio scorso, la Comunità di Sant’Egidio, rispondendo all’appello di Papa Francesco, si è svolta una particolare preghiera, presieduta dal nunzio in Ucraina, monsignor Vysvaldas Kulbokas, con la partecipazione di rappresentanti delle diverse Chiese cristiane e tra loro molti giovani. Stessa cosa è accaduta pochi giorni fa, il 20 febbraio, quando la Comunità ha dato vita ad un una veglia presieduta dal vescovo cattolico latino di Kiev, Vitalij Krivickij. La prima risposta è e sempre sarà la preghiera, aggiunge, “noi abbiamo voluto unire, come ha detto il Papa, la gente di buona volontà e questa formula è ideale, perché non conosce frontiere, né tra le confessioni, né tra le nazioni, unisce gente di diverse religioni e poi poveri, anziani, giovanissimi, famiglie, tutti hanno pregato e hanno ringraziato la comunità per questo momento di pace e di tranquillità. È Il momento di fermarsi e di ripensare alla situazione che si vive”.

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