Ucraina, la Chiesa greco-cattolica e lo Stato a fianco agli sfollati

Vatican News

Il Paese dall’inizio della guerra, due anni fa, vive una devastante crisi umanitaria e sociale. Per sostenere le persone più colpite e più fragili, i servizi dei greco-cattolici lavorano in collaborazione con i servizi sociali pubblici. È ciò che avviene nella capitale Kyiv e nell’area circostante

Xavier Sartre – Kyiv

A 23 mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, oltre 17 milioni e mezzo di persone hanno bisogno di assistenza sociale, tre milioni necessitano di aiuti alimentari, il 60% della popolazione è al di sotto la soglia di povertà, mentre – stima di un anno fa – un milione di ucraini era senza casa. Sono le cifre fornite da Caritas Ucraina, che dipende dalla Chiesa greco-cattolica, sulla base di quelli delle Nazioni Unite e che dimostrano la portata della crisi che l’Ucraina sta attraversando. E proprio loro, gli sfollati, sono costretti ad affrontare ogni tipo di difficoltà: dalla ricerca di una nuova casa e di un nuovo lavoro, al doversi creare una nuova cerchia sociale. Senza calcolare i danni psicologici causati dai bombardamenti, dai combattimenti e dalla perdita dei propri cari e dei propri beni. Il centro Caritas di Kyiv è essenziale per molte famiglie di residenti e sfollati che hanno trovato rifugio nella capitale ucraina dall’inizio della guerra, alla fine del febbraio del 2022. Gli aiuti statali sono troppo scarsi quindi, ogni giorno, 150 famiglie si recano nel cortile di questo modesto edificio a un piano per ricevere una scatola di generi alimentari di base che durerà circa un mese. In città vi sono altri due centri che distribuiscono questi aiuti, mentre in cinque altre regioni del centro e del nord del Paese se ne contano una trentina.

L’aiuto psicologico

Al piano superiore dell’edificio proviene il suono di una canzone per bambini. In una stanza, tre ragazzini stanno ballando seguiti da tre psicologi e cinque tirocinanti in psicologia. “Ciò che mi colpisce di questi bambini è la loro spontaneità e la loro capacità di provare gioia in modo diverso da noi adulti. Noi non sappiamo come fare, ma dovremmo imparare questa semplicità da loro”, confida Iryna, una delle psicologhe che lavorano con i bambini traumatizzati dai combattimenti. Lei stessa proviene da un comune vicino a Kyiv che, all’inizio dell’invasione, è stato brevemente occupato dall’esercito russo. La sua collega Ulyana è una sfollata a tutti gli effetti, avendo trovato rifugio a Mariupol dopo il 2014, all’inizio della guerra civile, e avendola poi dovuta lasciare a causa dell’assedio delle truppe russe, nel marzo 2022. Per questo la sua esperienza personale le è molto utile nel rapporto con questi bambini. “L’esperienza più forte è stata quella di capire che in qualsiasi momento avrei potuto perdere la mia vita e di percepirne quindi il vero valore, soprattutto perché ho visto anche bambini in aree occupate e sotto i bombardamenti”. Ulyana si ritiene fortunata per aver trovato lavoro presso la Caritas di Kyiv e per aver partecipato a un progetto di aiuto psicosociale dell’Unicef in fase di sperimentazione in cinque regioni dell’Ucraina. Lavorando in questo modo, si è resa conto che aiutare gli altri significa aiutare anche se stessa.

Alina (a destra), la direttrice del centro sfollati di Brovary

Collaborazione tra Chiesa e autorità locali

Un po’ più lontano, alla periferia di Brovary, piccola città industriale a ovest di Kyiv, quasi tutta la popolazione ha bisogno di aiuto. La Chiesa greco-cattolica sta facendo la sua parte. Padre Oleh Panchyniak, parroco della parrocchia greco-cattolica dei Tre Santi Gerarchi, guida un furgone con i colori di Mudra Sprava-La giusta causa, Fondazione di beneficenza della Curia patriarcale della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, per distribuire pasti caldi in un centro sociale gestito dall’autorità locale. Il suo arrivo è sempre accolto calorosamente dal direttore, ma soprattutto dai residenti, in particolare dalla decina di anziani che vi abitano. Nessuna violazione della laicità, anzi, il comune apprezza il fatto che il sacerdote venga a portare molto di più di un semplice piatto. Ma padre Oleh non si ferma qui. Successivamente riparte per dirigersi verso il campo modulare alla periferia della città, ai piedi di grandi condomini. Qui vivono 200 sfollati, tra cui 45 bambini. Molti di loro non hanno familiari che possano aiutarli, altri non possono lavorare perché troppo anziani o perché con figli disabili da accudire. La Polonia ha donato l’edificio, il Comune è responsabile della gestione e vari benefattori, come L’Œuvre d’Orient, contribuiscono a finanziare i pasti. Questo “villaggio” è un’oasi di pace per i suoi abitanti, come Maria, originaria di Berdiansk e con un figlio disabile. “Mi sento molto bene qui perché non si sente la pressione che si sentiva nella zona occupata – racconta – mi sento, questa è la nostra terra”. La sua speranza è che presto arrivi la vittoria: “Sto aspettando la liberazione e voglio tornare a casa”. Ogni famiglia ha la propria stanza, condivide la cucina, i bagni e gli spazi comuni ed è responsabile della pulizia. I bambini hanno la loro sala giochi e gli anziani la loro stanza. Tutto questo è pagato dallo Stato, dalle autorità locali, oppure da donatori che forniscono mobili, elettrodomestici e persino apparecchi acustici. “Cinque persone hanno ricevuto apparecchi acustici da una Ong. Un uomo di 86 anni che non riusciva a sentire da dieci anni ha finalmente potuto farlo”, spiega Alina, la giovane donna che gestisce il centro. “Quando ho visto che quest’uomo, il più anziano della comunità, mi sentiva e aveva le lacrime agli occhi, ho capito che non stavo lavorando invano”, ricorda, soprattutto parlando del suo sempre più forte desiderio “di aiutare queste persone, di sostenerle, così come di gestire l’aiuto di Ong e privati, tutto per potersi prendere cura di chi è in difficoltà, in modo che tutti possano sentirsi a casa”.

Mina e sua nipote Leira

La speranza riposta nella fede

Mina, 70 anni, della regione di Luhansk, è tra le persone che sono state accolte: “Non avevamo altra scelta. Abbiamo attraversato il confine russo due volte, prima nel 2014 e poi nel 2022″. Con lei, in questa odissea ci sono il figlio e la nipotina Leira, di 10 anni. “Siamo davvero felici di essere arrivati qui in questo centro. Non credo che avremmo potuto trovare di meglio, il nostro appartamento è stato distrutto nel marzo 2022”. Mina, naturalmente, vorrebbe vedere la sua Ucraina “prosperare” di nuovo. “Forse io non la vedrò, ma spero che mia nipote veda l’Ucraina come era prima”, confida. Leira, la nipote, ha gli occhi che brillano nonostante le difficoltà vissute. Da quando è arrivata al centro, frequenta la scuola locale e si è fatta nuovi amici. Il suo tono fanciullesco è avvolto da un velo di tristezza quando parla della madre, morta nel 2018. Anche se, come la maggior parte degli ucraini, la paura oggi è per gli allarmi aerei, Leira guarda con fiducia al futuro: “Sogno che non ci sia più la guerra, che il cielo sia sereno, che tutto questo sia solo un lunghissimo brutto sogno” esclama, con una risata condivisa dalla nonna. Prima di salutarci, Mina desidera ringraziare la Chiesa greco-cattolica per il suo quotidiano aiuto materiale, morale e spirituale. Quando le viene chiesto se sia di fede greco-cattolica, non risponde subito. Dopo qualche secondo di silenzio, con un bagliore di gratitudine negli occhi, risponde: “Sono cristiana”. Nella sofferenza della guerra, non importa quale sia il rito, ciò che conta per lei, come per molti ucraini, è che le parole di Cristo siano ascoltate e applicate.