La Commissione europea ha annunciato l’accordo sull’importazione del grano ucraino con gli Stati dell’Est Europa. L’analisi dell’economista Moro: il fatto che oggi il prezzo del prodotto alimentare finale sia ancora alto è dovuto all’inflazione, che tuttavia sembra in riduzione
Sofiya Ruda – Città del Vaticano
L’Unione europea ha chiuso la crisi del grano con i Paesi dell’Est Europa che avevano annunciato il divieto dell’import dei prodotti agricoli ucraini. Gli elementi chiave dell’intesa tra la Commissione Ue e Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria sono il ritiro del divieto unilaterale all’import da parte dei Paesi interessati, misure eccezionali di tutela su grano, mais, colza e semi di girasole e un pacchetto di aiuti da 100 milioni di euro per gli agricoltori colpiti nei cinque Stati membri.
Le preoccupazioni della guerra
Lo scopo dell’intesa, spiega a Radio Vaticana – Vatican News l’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello Sviluppo all’Università statale di Milano, è soprattutto quello di risolvere un problema che si era creato nei Paesi di transito per consentire il flusso dei cereali ucraini, ovvero “che vi era prodotto ucraino a prezzo migliore rispetto al prodotto locale, ma così si spiazzavano i produttori del posto”. Dall’altro lato, continua l’esperto, le preoccupazioni per la guerra e il mancato afflusso dei prodotti ucraini sul mercato internazionale, che avrebbe portato a una crisi internazionale, non si sono in realtà verificate, o perlomeno, la crisi non è dovuta esclusivamente a questo problema.
L’andamento dei prezzi
La questione dei costi alimentari andrebbe divisa sotto due aspetti: come sottolinea Moro, da un lato, la preoccupazione che la guerra avrebbe spinto i prezzi a crescere non era reale, perché “il prodotto ucraino in parte è arrivato e ci sono stati andamenti produttivi positivi nel resto del mondo”. Dall’altro lato, però, “abbiamo un’inflazione piuttosto consistente nell’area europea e nordamericana, dovuta ad altre ragioni, come una ripresa rapida della domanda dopo la pandemia, dovuta all’aumento dei prezzi energetici, soprattutto in Europa”. Quando i prezzi salgono molto rapidamente, prosegue il docente, sono molto lenti a scendere. “Purtroppo chi paga questo prezzo sono sostanzialmente le famiglie, ma le notizie generali sull’inflazione sono relativamente positive perché vedono un dato di lieve decrescita”. Le prospettive, dunque, non sembrano negative. L’Italia, in particolare, ha registrato un Pil sopra le stime. “I dati economici direbbero che le cose stanno andando migliorando – continua l’esperto – ma dall’altra parte abbiamo nel contesto europeo la guerra in Ucraina che determina delle conseguenze: da un lato in termini di impatto economico, dall’altro il conflitto genera paura, quindi sfiducia verso il futuro”. Tuttavia, i numeri sembrano in miglioramento.
L’impegno per la transizione ecologica
Un dato interessante, spiega Moro, è che il reddito pro capite europeo sta convergendo. “Questo vuol dire che a fronte di un miglioramento del dato medio europeo la distanza tra i più ricchi e i più poveri si sta gradualmente riducendo”. Fare previsioni definitivamente ottimistiche, però, è difficile a causa della guerra, prosegue. Un impegno importante su cui si sta lavorando è quello della transizione ecologica. “Questo comporterà una trasformazione dei processi produttivi dei ruoli, anche del modo con cui le stesse famiglie si accostano al lavoro e ai propri consumi. Questo creerà delle preoccupazioni, però io sono abbastanza fiducioso nella capacità di adattamento di un contesto come quello europeo”.