Ucraina, devastata la chiesa di Antonivka. Il parroco: ma non distruggeranno la speranza

Vatican News

“La nostra piccola chiesetta della parrocchia dei Santi Martiri Cipriano e Giustina ad Antonivka ha cessato di esistere. È stata distrutta da un missile nemico”. È quanto ha scritto in un post su Facebook don Ihor Makar, domenica 11 agosto, dopo che un attacco russo ha devastato la chiesa greco-cattolica di cui è parroco. Ai media vaticani il sacerdote racconta la nascita di questo luogo che ha costruito quasi da solo con la sua famiglia e l’aiuto dei parrocchiani e che ha fatto tanto del bene

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano  

“Tutto era in fiamme, le case bruciavano e il fuoco si stava già avvicinando alla chiesa. La gente è corsa fuori, non c’erano pompieri: per loro era pericoloso andarci perché sarebbero stati attaccati immediatamente. La gente cercava di fare quello che poteva e ha salvato la chiesa: il fuoco si è fermato a un metro dalla cappella… Ma non so cosa abbia spinto coloro che hanno deciso di attaccare di nuovo la chiesa. Forse hanno visto che unisce le persone. Perché tutti hanno cercato di salvare quella chiesa. Ma ieri non potevano fare nulla perché c’è stato un bombardamento e hanno colpito direttamente la cappella, che è stata completamente distrutta”. Sono parole addolorate quelle che don Ihor Makar, parroco greco-cattolico di Antonivka, nella regione di Kherson, condivide con Radio Vaticana – Vatican News per descrivere il triste evento avvenuto domenica 11 agosto: la loro cappella dei Santi Martiri Cipriano e Giustina è stata completamente distrutta da un missile russo. Due giorni prima, venerdì 9 agosto, questa piccola chiesa ha rischiato di bruciare quando un drone ha provocato un incendio.

Una storia che non si conclude con il bombardamento

Don Ihor lo avevamo conosciuto circa un mese fa, durante la registrazione di un’intervista sul suo ministero pastorale nella regione di Kherson, una delle più colpite dall’esercito russo. Raccontava nel colloquio delle parrocchie situate alla periferia di Kherson: a Zelenivka, Antonivka e Inzhenerne, dove presta servizio da quasi vent’anni. Il sacerdote descriveva i parrocchiani come la sua famiglia. Il calore e l’amore per queste persone che si percepiva nelle sue parole sono tornati subito alla mente quando è giunta la triste notizia della distruzione della cappella. Raggiunto di nuovo dai media vaticani, don Ihor Makar ripercorre la storia della parrocchia di Antonivka. Una storia che certamente non si conclude con la distruzione della chiesetta, perché la cosa più importante è che è stata costruita negli anni come “tempio nel cuore”. Né i droni né i missili possono quindi distruggerla.

La parrocchia di Antonivka, prima e dopo l’attacco

Gli inizi

Don Ihor è arrivato nella regione di Kherson il 19 agosto 2005 e il 25 settembre dello stesso anno è stato ordinato sacerdote e diventato parroco della piccola comunità greco-cattolica ad Antonivka. “All’epoca – racconta – io e mia moglie eravamo in affitto in un appartamento a Kherson, perché ad Antonivka non c’era una casa parrocchiale, e celebravamo le messe in una piccola casetta. Dopo circa quattro anni, ci è stato chiesto di lasciarla libera. Nel 2006, grazie al supporto del nostro vescovo e della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS), abbiamo acquistato una piccola casa parrocchiale. Pertanto, quando siamo rimasti senza un luogo di culto, abbiamo trovato una via d’uscita: nel cortile della casa parrocchiale avevamo una dependance estiva di circa 10 metri per 4. Era molto vecchia, non c’era nemmeno il pavimento. Ma l’abbiamo allestita per celebrare le Messe e la gente veniva qui ogni domenica”.

Don Ihor allora ha iniziato a ristrutturarla per farne una cappella parrocchiale: “Ci siamo riusciti! Il 17 maggio 2014 il vescovo Mykhailo Bubniy, esarca di Odessa, ha consacrato la cappella. E così ho vissuto lì con mia moglie e i miei figli, che sono quattro e sono nati tutti lì. Questo fino all’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022… Dalle nostre finestre si vedeva molto bene il ponte sul Dnipro dove sono iniziati i combattimenti, e abbiamo dovuto andarcene perché c’era un pericolo molto grande per le nostre vite”.

La famiglia parrocchiale

Prima dell’occupazione russa e dei combattimenti nella regione di Kherson, nella chiesa greco-cattolica si celebrava regolarmente la Divina Liturgia e si svolgevano attività di catechesi e beneficenza. A causa del vuoto religioso creato dal sistema ateo sovietico in gran parte dell’Ucraina, non erano in molti a frequentare la chiesa. “La domenica avevamo dalle dieci alle quindici persone che partecipavano alla Messa. A volte a Pasqua si arrivava a cinquanta. Invece in tanti chiedevano il sacramento del Battesimo. Nel cortile della parrocchia ci riunivamo, ci sostenevamo a vicenda e ci aiutavamo come potevamo, ed era così che vivevamo…”,  racconta il parroco.

La famiglia parrocchiale

Tempi di prova

Don Ihor Makar ricorda che durante l’occupazione i militari russi sono venuti in chiesa solo una volta, chiedendo del sacerdote, ma non hanno fatto danni. “Quando il territorio è stato liberato, sono subito andato ad Antonivka, però quando ho visto che la linea del fronte era molto vicina, ho avuto paura per le persone stesse, e ho deciso di non celebrare più lì per non metterle in pericolo. Prego sempre per loro perché sono ancora il loro parroco, anche se la cappella è stata distrutta. Ho anche sempre cercato di inviare lì vari aiuti che abbiamo ricevuto o dalla Fondazione Mudra sprava o dai Cavalieri di Colombo. Ad esempio l’acqua, perché lì non c’è elettricità, acqua e gas. Anche come direttore della Caritas, l’anno scorso, quando abbiamo distribuito legna per le stufe, ho cercato di fare in modo che la ricevessero, perché avevano bisogno di riscaldare le loro case non avendo altri mezzi di sostentamento”.

Un momento pieno di amarezza

Parlando della distruzione della cappella di domenica, il sacerdote ricorda che due giorni prima, venerdì, il luogo di culto era quasi finito bruciato a causa del lancio di un drone russo. “Adesso nella regione di Kherson imperversano gli incendi anche perché ci sono aree che non sono state sminate e quindi, a seguito di bombardamenti o lanci di droni, il legno morto prende fuoco e tutto brucia”. “I vigili del fuoco – spiega don Ihor – non possono spegnerlo perché il luogo può essere minato, quindi si limitano a stare vicino alle strade”. Ad Antonivka è successo lo stesso: tutto era in fiamme, le case erano bruciate e il fuoco si stava già avvicinando alla chiesa. I vigili non hanno potuto aiutare più di tanto perché era pericoloso avvicinarsi: sarebbero stati attaccati immediatamente. La gente ha fatto il possibile per salvare la chiesa però la domenica non hanno potuto fare niente: c’e stato il colpo diretto del missile che l’ha distrutta completamente”.

L’interno della parrocchia dei Santi Martiri Cipriano e Giustina ad Antonivka

“Mi sono venute le lacrime agli occhi…”

Il parroco racconta di aver ricevuto la triste notizia da un vicino che lo ha chiamato quando i bombardamenti erano ancora in corso. “La connessione era molto scarsa ed era difficile sentire”, racconta. “Il vicino ha detto che non c’era più il tetto e ho pensato: ‘Non è così grave, lo ripareremo’. Poi, però, quando mi hanno mandato le foto, non l’ho detto nemmeno a mia moglie… quando le ho viste, mi sono seduto: ho visto che non era solo il tetto, non solo la cupola, ma che tutto era stato distrutto e non era rimasto niente… Io e mia moglie ci siamo impegnati tanto per rinnovare quell’edificio e per farne una cappella. Ho fatto l’intonaco da solo, perché non c’erano soldi. Mi sono venute le lacrime agli occhi… I miei anni migliori li ho passati lì, così come quelli dei miei figli. Sono nati lì, sono cresciuti lì, sono andati in chiesa lì, perché era molto vicino: 7 metri da casa alla cappella. Quindi è stata dura, ma comunque la vita va avanti, io non perdo la speranza e dico sempre che, grazie a Dio, tutti sono rimasti vivi, che nessuno è stato ferito lì vicino”.

Gli anziani che non vogliono andar via

Don Ihor spiega che circa 600 persone adulte, prevalentemente anziani, sono rimaste a vivere ad Antonivka. Tutti i bambini sono stati evacuati. Lui stesso ha proposto ad alcuni residenti di trasferirsi in un altro villaggio, nella sua casa parrocchiale, ma hanno rifiutato. “‘No, don Ihor, non posso andarmene… E poi chi rimane qui a sorvegliare?’, mi ha detto una vicina. ‘Vede, qualcosa brucia e noi lo spegnamo, aiutando a salvare qualcosa. Forse domani la guerra finirà e tutto andrà bene’”. “Io non posso né giudicarli né dire che è una decisione giusta: ognuno decide per se stesso – riflette il parroco -. Li capisco, perché lì hanno trascorso tutta la loro vita, hanno fatto tanti sacrifici per per costruirsi una casa, e sperano tanto che non sarà colpita. Invece vediamo cosa sta accadendo”.