Ucraina, 500 giorni di un conflitto senza fine. Zelensky: “Una guerra totale”

Vatican News

Il presidente ucraino oggi, 8 luglio, nell’Isola dei Serpenti. Ieri a Istanbul per l’incontro con Erdogan e la preghiera con Bartolomeo. La comunità internazionale si divide sulla decisione degli Usa di fornire bombe a grappolo a Kyiv, intanto proseguono gli attacchi sul terreno. Salito a dieci il numero delle vittime nel condominio di Leopoli colpito da un missile nella notte del 5-6 luglio. Il direttore del collegio universitario di fronte: “Qui ci sentivamo al sicuro, ora siamo vulnerabili”

Michele Raviart e Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

Cinquecento giorni di guerra in Ucraina. Li ha ricordati il presidente ucraino Volodymir Zelensky in visita oggi, 8 luglio, all’Isola dei Serpenti sul Mar Nero, uno dei luoghi simbolo del conflitto. Nella “isola libera della libera Ucraina”, invasa e poi riconquistata ai russi, Zelensky ha deposto una corona di fiori in mare in memoria delle vittime di quella che ha definito una “guerra totale”. “Sono grato a tutti coloro che hanno combattuto qui contro gli occupanti”, ha affermato. Ieri mattina il presidente era stato a Istanbul per l’incontro con Receyp Erdogan il quale ha esortato ad accogliere Kyiv nella Nato. Russia e Ucraina “dovrebbero tornare ai negoziati di pace”, ha aggiunto Erdogan che riceverà il presidente russo Vladimir Putin ad agosto. Nella capitale turca Zelensky aveva pregato con il patriarca Bartolomeo ancora per i morti e i feriti.

La decisione degli Usa

Il conflitto intanto prosegue con l’avanzata nel Donetsk e i bombardamenti russi, mentre non si placano le polemiche sulla decisione degli Stati Uniti di fornire bombe a grappolo a Kyiv che ha registrato la contrarietà dell’Onu e di alcuni alleati. La notizia era stata confermata ieri, 7 luglio, dal presidente americano Joe Biden che aveva parlato di una “decisione difficile” e subito ha suscitato imbarazzo tra i partner occidentali, firmatari della convezione del 2008 che vieta le cluster munition. Di essa non sono firmatari né Washington né Mosca. Queste bombe rilasciano sotto-munizioni più piccole che possono rimanere inesplose a lungo e mettere quindi in pericolo i civili e soprattutto bambini che spesso le confondono come biglie colorate. Mentre il presidente ucraino Zelensky ha ringraziato per lo sforzo bellico americano, in queste ore si registrano appelli degli attivisti per i diritti civili, la contrarietà dell’Onu, il malumore di molti dem americani e la Russia che avverte: “Sarebbe una pericolosa escalation”, sebbene anche l’esercito di Mosca già le utilizzi sul terreno. 

Proseguono gli attacchi

E proprio sul terreno la controffensiva è avanzanzata di altri due chilometri a nord di Bakhmut; sei persone sono rimaste invece uccise da un bombardamento russo a Lyman. In queste ore è poi salito a dieci il numero dei morti estratti dalle macerie di un condominio di Leopoli colpito dai missili russi nella notte tra il 5 e il 6 luglio. Nell’attacco sono rimasti danneggiati diversi edifici intorno, tra cui anche il collegio degli studenti dell’Università Cattolica dove, al momento del tragico evento, si trovavano circa 200 persone. Tra loro anche il direttore don Yuriy Kozlovsky che, raggiunto telefonicamente da Vatican News, ricorda quei momenti: “Tutti dormivano, come pure le persone nell’edificio colpito. Un edificio abbastanza vecchio dove vivevano molte persone anziane. Il l campus dell’università si trova proprio di fronte al luogo dell’attacco, così noi tutti siamo stati svegliati dalle sirene… Poi nell’arco di una ventina di minuti un paio di missili hanno colpito questo edificio togliendo la vita a dieci persone e lasciando moltissime case intorno distrutte, inclusi edifici della nostra università con finestre, porte, strutture di vetro tutte rotte”.

La testimonianza di un sacerdote

Nessuna vittima, fortunatamente, nel collegio. Merito anche del fatto che trattandosi del periodo estivo, molti dei ragazzi hanno fatto ritorno nelle loro case. “Ma c’è sempre un gruppo di persone che rimangono vivono nei nostri dormitori anche durante l’estate, specialmente adesso durante la guerra”, spiega don Yuriy. “Molti studenti, specialmente dall’Oriente ucraino, non possono ritornare alle loro case, alla loro famiglia e rimangono qui ad un luogo abbastanza abbastanza lontano dalla zona di guerra e anche finora pacifico… La loro reazione l’altra notte è stata di paura, di forte paura. Ci troviamo infatti a più di 1000 chilometri dalla linea della guerra e spesso pensiamo di essere di essere lontani, di essere al sicuro. Questo episodio ci ha reso vulnerabili”. 

La solidarietà dei giovani

I giovani, durante l’attacco, si sono rifugiati nel seminterrato della chiesa al centro del campus universitario, un luogo che dall’inizio della guerra è divenuto un rifugio sicuro per gli abitanti della zona: “È ricoperto da una struttura di cemento che protegge bene da dei potenziali attacchi”, spiega il sacerdote, “in quella notte anche tanti, tanti da altre case sono venuti nella nostra chiesa per nascondersi”. C’è chi invece non è riuscito a trovare riparo, anziani soprattutto, morti infatti nell’attacco. Oggi sono stati pubblicati i loro nomi. “Molti dei nostri studenti sono poi corsi subito alla zona colpita per vedere se potevano aiutare in qualche modo la polizia della zona per salvare le persone che hanno cominciato a correre ancora di più verso il nostro campus per nascondersi. Molti avevano bisogno di aiuto anche medico. Molti dei nostri studenti subito si sono dati da fare per dare aiuto a chi lo necessitava. Ora c’è il senso di paura, c’è il senso di sentirsi sotto attacco. Tutto questo però crea una più forte responsabilità specialmente tra i ragazzi che, come hanno dimostrato, sono pronti a mettersi anche in situazioni difficili e pericolose ma vogliono essere d’aiuto”. “Questo attacco – afferma don Kozlovsky – ci farà in un certo modo tutti più forti nella solidarietà che è necessaria in tutto il Paese. È proprio la solidarietà che vincerà questa guerra”.

Ascolta l’intervista a don Yuriy Kozlovsjyi