Davide Dionisi – Città del Vaticano
“Si tratta di un evento che ci offre l’opportunità di ricordare tante persone coraggiose, sacerdoti, religiosi e laici, che durante la persecuzione del regime comunista hanno continuato a svolgere il loro servizio pastorale e si si sono impegnate per il bene della Chiesa”. E’ quanto ha detto l’arcivescovo Mieczysław Mokrzycki, arcivescovo di Leopoli dei latini in occasione del trentesimo anniversario del rinnovo delle strutture ecclesiastiche della Chiesa cattolica di rito latino.
Un lungo cammino e tanti cambiamenti
Era il 16 gennaio 1991 quando Giovanni Paolo II, di cui l’arcivescovo fu segretario, confermò l’Arcidiocesi di Lviv ed altre due diocesi latine, nominandone anche i vescovi. Uno dei testimoni di questo passaggio storico è stato il vescovo emerito di Kharkiv-Zaporizhia, monsignor Marian Buczek, che al tempo era sacerdote. Fondamentale fu la visita di Papa Wojtyla in Ucraina nel 2001, ha spiegato il presule, sottolineando che “fu un evento che diede un nuovo impulso allo sviluppo della Chiesa dei due riti in Ucraina e alla loro collaborazione”. Ripercorrendo le tappe più importanti di questo cammino, ha raccontato che “All’inizio i vescovi invitavano i sacerdoti ed i religiosi dall’estero. Ora invece la maggior parte sono locali. Inoltre ci sono due giovani vescovi che hanno terminato gli studi nel seminario a Horodok (regione di Lviv ndr), aperto all’inizio degli anni 90. Nelle parrocchie la Santa Messa si celebra in ucraino e in altre lingue. A seconda delle esigenze dei fedeli” ha aggiunto, rilevando che “Nella regione di Transcarpazia, per esempio, le liturgie sono in ungherese e slovacco. In Kharkiv, grande centro dell’Ucraina dell’est dove vivono persone di diverse nazionalità, ogni domenica si celebra in vietnamita. Questa è la testimonianza più chiara dell’universalità della Chiesa”.
Le sfide della Chiesa di rito latino
Il vescovo emerito Kharkiv-Zaporizhia ha poi parlato delle sfide pastorali della Chiesa di rito latino in Ucraina: “Innanzitutto l’emigrazione dei giovani” ha osservato. “Abbandoneranno le nostre chiese perché lasceranno il paese. Ma ci sono tanti altri che non sono mai venuti e che hanno l’esigenza di un’assistenza spirituale”. Mons. Buczek ha ricordato che durante il regime i sacerdoti invitavano i fedeli a pregare per la rinascita della Chiesa nel paese. “In tanti mostrarono diffidenza, ma la visita di San Giovanni Paolo II e il successivo rilancio delle strutture ecclesiastiche, ha confermato tutta la forza di quelle preghiere” ha concluso il presule. La visita di Papa Wojtyla fu preceduta, il 25 giugno dell’anno precedente, dalla riunione che per la prima volta vide riuniti in Vaticano lo stesso pontefice e i 28 vescovi ucraini (dieci in patria e 18 all’estero). Fu una plenaria durante la quale ci fu un incontro personale del pontefice con i 10 vescovi residenti in Ucraina che, per un’ora, raccontarono le loro vicende: storie spesso di deportazioni, con particolari sulla morte di uno di loro, in Siberia. Tre i punti principali del discorso che il Papa pronunciò: il perdono e la riconciliazione da parte dei cattolici, la strada dell’ecumenismo verso gli ortodossi; la responsabilità della chiesa per ridare organica unità a un’Europa artificiosamente divisa dalla Guerra Mondiale. La Chiesa cattolica ucraina “esce dalle catacombe”, disse, dopo “importanti cambiamenti di natura morale e sociale che hanno portato a riconoscere il diritto alla libertà religiosa”. Pur ricordando quanti “in questo lungo periodo di prova hanno reso testimonianza della loro fede”, Giovanni Paolo II invitò al perdono, dicendo tra l’altro che la “riconciliazione è uno dei primi compiti della Chiesa, oggi”.