Marco Guerra – Città del Vaticano
Con il definitivo via libera alla legge sull’aborto da parte del Senato, con 38 voti a favore e 29 contrari, l’Argentina diventa uno dei pochi Paesi dell’America Latina dove l’aborto è legale. La decisione del governo di centro-sinistra del presidente Alberto Fernandez, consente il libero accesso all’interruzione di gravidanza fino alla 14esima settimana di gestazione, termine che potrà essere superato nel caso in cui la gravidanza sia conseguenza di stupro o se sia in pericolo la salute della donna. Violenza sessuale e rischio per la vita della madre erano considerate fino ad ora le due uniche condizioni per consentire un aborto. I minori di 13 anni potranno abortire con il consenso di almeno uno dei loro genitori o di un rappresentante legale, mentre quelli di età compresa tra 13 e 16 anni avranno bisogno di autorizzazione solo se la procedura compromette la loro salute, i maggiori di 16 anni potranno decidere da soli. E’ la seconda volta nella storia che un progetto per legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza viene discusso al Congresso argentino. Nel 2018 un testo simile, ma elaborato da una piattaforma civica, era stato approvato solo dalla Camera e bocciato dal Senato, questa volta, invece, è stato decisivo l’appoggio dell’esecutivo guidato da Fernandez il quale, dopo il voto, ha dichiarato: “Oggi siamo una società migliore che amplia i diritti delle donne e garantisce la salute pubblica”.
Le parole dei vescovi
In una nota pubblicata questa mattina, dopo il voto, la Conferenza episcopale argentina afferma che la Chiesa continuerà “a lavorare con fermezza epassione nella cura e nel servizio della vita”, rammaricandosi profondamente per “la lontananza di parte della leadership dal sentimento del popolo”. Difendere la vita senza compromessi, concludono i vescovi, “ci renderà capaci di costruire una nazione giusta e unita, dove nessuno viene scartato”.
Il paradosso della pandemia
La legalizzazione dell’aborto in Argentina è l’ennesimo colpo contro la tutela della vita che arriva in questi tempi di pandemia, mentre tutto il mondo è impegnato a salvare persone di ogni età e condizione di salute minacciate dal Covid-19. Solo lo scorso 17 dicembre, in Spagna, è stata approvata la proposta di legge sull’eutanasia che prevede la possibilità di ricevere assistenza per morire in caso di una malattia incurabile che causi costanti e intollerabili sofferenze psicofisiche, oppure nel caso di infermità invalidante con incidenza sull’autonomia fisica, senza possibilità di cura o di miglioramento. Si tratta di condizioni che non menzionano la fase terminale di una malattia e che permettono l’accesso all’eutanasia anche ad una persona con disabilità stabilizzate.
La spinta mortifera nel mondo
Sempre in queste ultime settimane, in Canada è proseguito il percorso legislativo per espandere le possibilità per i cittadini di ricorrere all’eutanasia, la cosiddetta MAID, Medical Assistence in Dying (Assistenza Medica a Morire). Nel Paese nordamericano le pratiche eutanasiche sono aumentate esponenzialmente in questi ultimi anni: nel 2019 ci sono stati 5.631 casi di MAID, pari al 2,0% di tutti i decessi. Risale invece allo scorso marzo la legge approvata in Nuova Zelanda che legalizza l’aborto fino alla 20esima settimana di gestazione.
Morresi: resistenza culturale contro l’aborto
“In Argentina c’è stata una grande mobilitazione dei laici, del popolo e dei pastori, senza ambiguità, non è stato un percorso facile quello della legge e la società è stata lacerata”, così Assuntina Morresi, docente all’Università di Perugia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, commenta per Vatican News l’esito del voto in Argentina. “Resta ancora il punto di maggiore divisione e in America Latina sono pochi i Paesi che lo consentono – Uruguay, Cuba, Guiana – e quindi c’è una forte resistenza culturale del continente a questa legge”. Morresi si sofferma poi su quanto è avvenuto recentemente nell’ambito dell’eutanasia in alcuni Paesi, come Austria, Spagna e Canada: “C’erano tutti i presupposti per percorrere una china fino in fondo, si tratta di provvedimenti che sono frutto di spinte decennali che non possono essere fermate con pochi mesi di pandemia, sebbene ora le società tornino a capire il valore della vita. La spinta mortifera è nata molto prima del Covid”.
La ritrovata sensibilità per la tutela della vita
“In questo momento esistono due tendenze, quella dei cosiddetti nuovi diritti, dello stravolgimento antropologico che fa i suoi passi dovuti come conseguenza di tutte le politiche degli anni precedenti, e poi c’è quella che intende riflettere sul fatto che esiste un bene comune, in cui il bene del singolo è legato al bene di tutti, non a caso si parla tanto delle vaccinazioni”, prosegue la docente, che ricorda come fino allo scorso anno si parlasse dell’autodeterminazione come valore assoluto, concetto che non è più applicabile in tempi di pandemia dove emerge la necessità l’uno dell’altro. “Ci si accorge che non ci si salva da soli – aggiunge Morresi – queste tendenze fanno emergere i valori comuni dell’interdipendenza, che in alcuni ambienti si fa fatica ad accettare”.
L’occasione per recuperare i valori
Morresi ritiene, quindi, che si possano “aprire delle praterie” rispetto alla valorizzazione di questi principi. “Siamo ad un incrocio, tanto più saremo fedeli a quanto osservato in questi mesi, tanto più potremo recuperare alcuni valori per arrivare ad una nuova normalità. Faccio l’esempio della famiglia che è stata una risorsa evidente per tutti i più fragili in questa pandemia, così come va ricordato che ci siamo ribellati al fatto che un anziano potesse essere lasciato fuori dalle terapie intensive. Abbiamo, inoltre, riscoperto il valore della scuola e dell’educazione. Abbiamo l’occasione per riprendere tutte le tematiche antropologiche con un nuovo approccio”.