La settantenne mongola, nonostante le difficoltà fisiche, è stata presente a tutti gli eventi di Francesco durante il viaggio. Il primo settembre ha accolto il Pontefice in una “ger” fuori dalla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Ulaanbaatar: “Lui mi ha benedetta, io ho detto grazie e gli ho fatto l’augurio del nuovo anno lunare: salute, un buon viaggio e un buon lavoro come capo della Chiesa”
Salvatore Cernuzio – Inviato a Ulaanbaator (Mongolia)
“Non ci siamo detti molto… Il Papa mi ha benedetto qui sulla fronte e mi ha augurato lunga vita”. E lei? “Io gli ho augurato pure lunga vita e anche quello che si augura durante il Isagaan Sar, il nuovo anno lunare, cioè la salute, un buon viaggio e un buon lavoro come leader della Chiesa e soprattutto la benedizione degli antenati”. Gli occhi di Tsetsege (“Come si pronuncia?”. “Zizghé!”), mentre sorride, diventano due fessure che si perdono nelle rughe della pelle inscurita dal sole. Guardandola, non si riuscirebbe ad indovinarne l’età. “69”, lo dice lei, con una nota quasi di orgoglio.
La Madonna nel viaggio del Papa
È la donna, madre di 11 figli, divenuta uno dei simboli del viaggio appena concluso di Papa Francesco in Mongolia. La piccola pastora che una decina di anni fa ha ritrovato in una discarica quella che oggi la Chiesa cattolica del Paese centroasiatico venera come la Madre del Cielo. Cioè la statua in legno della Madonna, intronizzata nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo alla quale il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, ha affidato lo scorso la Chiesa della Mongolia. L’effigie ha accompagnato gli appuntamenti del viaggio apostolico del Papa ed era presente pure domenica 3 settembre sul palco della Steppe Arena, il palazzo di ghiaccio dove Francesco ha celebrato la Messa con circa 2 mila fedeli di diverse zone dell’Asia.
Il saluto con Francesco in una ger
Tsetsege stava seduta su una delle poltroncine bianche sopra la moquette rossa sistemate in platea. Non riesce a stare molto in piedi e si poggia a un bastone a causa di un problema alla gamba che la costringe ad un’andatura claudicante. Sembrava camminare ancora più a fatica con i grandi stivaloni di pelle scura sotto il deel (l’abito tradizionale della festa) di colore bianco. Anche nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, lo scorso 2 settembre, era vestita a festa: prima che il Papa incontrasse missionari e consacrati nella chiesa, in una tipica ger, la tenda dei nomadi, Francesco, appena sceso dall’auto, si è diretto da lei. Anche lui appoggiato al bastone, ha camminato verso la khalga, la porta in legno della tenda sempre aperta in segno di accoglienza. Tsetsege era già all’interno, seduta ad attendere il Papa che voleva incontrare questa figura minuta, ormai notoria in tutta la Chiesa cattolica mongola.
L’incontro con la Madonna
Tsetsege si schermisce davanti alle domande sui contenuti del breve colloquio con il Papa: “La conoscete la mia storia?”, dice, sviando la conversazione, dinanzi ai microfoni dei media vaticani. Risponde con frasi stringate ma le piace soffermarsi nel ricordo di quell’evento avvenuto il 5 luglio del 2016, quando “lavorava” – come dice – in una discarica, cioè rovistava come tanti poveri qui in Mongolia tra i rifiuti nel distretto di Tarhan. Dalla spazzatura scaricata dal camion ha visto emergere un involucro di stoffa con dentro una scultura di legno di circa 62 cm e le fattezze di una
“bella signora”. Pur non avendo conoscenza neppure delle basi del cattolicesimo (era in contatto, però, saltuariamente con le suore di Madre Teresa), Tsetsege ha subito intuito che doveva togliere immediatamente dalla spazzatura quella statua. Non si è mai preoccupata di capire chi l’avesse buttata ma piuttosto di custodirla.
Il consiglio delle suore
“Ho tenuto questa statua a casa mia per un anno. L’ho vista e ho voluto tenerla per me. L’ho riconosciuta come Santa Maria e ho voluto conservarla. In Mongolia si possono trovare pezzi di ogni religione. La Mongolia è un Paese molto bello”, spiega. Le suore di Madre Teresa, nella loro incessante opera di carità in mezzo ai poveri, l’hanno vista e le hanno chiesto dove l’avesse prisa. Hanno quindi spiegato alla donna che si trattasse di una immagine della Madonna, la madre di Dio. “Io avevo sentito parlare dei cattolici. Negli anni ’80 è stata fondata la chiesa e fin dall’inizio sapevo chi ci viveva e lavorava. Le suore di Tarhan mi avevano spiegato che è preziosa, così io e mio marito abbiamo deciso di visitare la Chiesa”.
La Mongolia consacrata alla Madre del cielo
E proprio alla Chiesa, la donna ha deciso di donare quell’effigie tanto cara, rimasta per alcuni anni nell’ufficio parrocchiale locale. Venendolo a sapere il cardinale Marengo era andata a vederla con i suoi occhi e – come ha raccontato in alcune interviste l’anno scorso – ha pensato: “La Madonna ci vuole dire qualcosa. Sono andato sul posto, ho incontrato la signora. Poi il 25 marzo – nella festa dell’Annunciazione, d’accordo con la comunità – abbiamo traslato ufficialmente la statua a Ulaambaatar con l’idea di intronizzarla nella cattedrale, in modo che sia più conosciuta e venerata da tutti”.
E così la statua lignea ora è custodita nella cattedrale dei St. Peter & Paul a Ulaanbaatar e venerata dal “piccolo gregge” cattolico mongolo come Madre del Cielo. Lo scorso anno sempre Marengo ha deciso di affidare a Lei l’intera Chiesa in Mongolia. Un passo grande nato dalla piccola intuizione di una donna non cattolica: “Ora sono cattolica…” spiega, “mi sono fatta battezzare quest’anno a maggio, a Tarhan, dove ha trovato la statua”.
Il grazie al Papa
“Una grande emozione” allora, una grande emozione pure adesso ad aver potuto incontrare per pochi istanti il Papa,a tu per tu in una ger: “Gli ho detto anche grazie per questa visita che sarà molto positiva per la Mongolia. Grazie Papa Francesco”.